Che cos’è libertà

 

 

La libertà è il fondamento della stessa possibilità della vita morale:

hanno infatti significato etico soltanto quegli atti nei quali la libertà si esercita, e la loro eticità è misurata dal grado e dalla qualità di libertà che in essi si esprime. Libertà ed eticità sono dunque grandezze direttamente proporzionali, che rinviano l’una all’altra come a criteri correlativi di definizione del significato morale dell’agire.

 

Laddove non sussiste libertà non si dà eticità; gli atti che l’uomo realizza, in condizione di totale assenza di libertà sono infatti atti che provengono dall’uomo senza che ne sia padrone e possa farsene di conseguenza responsabilmente carico. Per questo vi è chi afferma che libertà ed eticità coincidono; che l’identità del soggetto umano è data dalla libertà — è questa l’opinione di Jean Paul Sartre  —; in altri termini, che l’uomo non ha la libertà ma è libertà.

 

tra libertarismo e determinismo

Questa concezione è oggi largamente condivisa, al punto che ad essa si ispirano molti comportamenti sia individuali che sociali. La dinamica del desiderio è spesso considerata l’unica sorgente delle scelte nei vari ambiti dell’esistenza. L’economia di mercato ha assunto come paradigma una forma di liberismo selvaggio, insofferente di qualsiasi regola. La società è caratterizzata dalla presenza di logiche corporative e da una esasperata rivendicazione dei diritti alla quale non corrisponde una altrettanto seria assunzione dei doveri e della responsabilità personale. Anche la politica si è fatta sempre più autoreferenziale in presenza di capi carismatici che fanno del populismo la loro bandiera e gestiscono il potere secondo la logica dello scambio, privilegiando le corporazioni forti e l’interesse privato.
La libertà rischia perciò di essere identificata con il capriccio individuale; di assumere cioè i connotati di un libertarismo individualistico, che prescinde da ogni legame con gli altri e con il mondo dei valori. La cultura «radicale» è l’espressione compiuta di questo assunto: i pilastri su cui poggia sono l’assolutizzazione del diritto soggettivo e il riferimento al principio del piacere come parametro valutativo dell’agire: «vale ciò che vale per me, vale per me ciò che mi piace». Così concepita la libertà dà origine a un’interpretazione soggettivistica della vita dalla quale è esclusa in
partenza ogni dimensione relazionale.
A questa affermazione della libertà in termini incondizionati si oppone la drastica negazione che fa di essa chi mette fortemente l’accento sugli esiti delle scienze umane — da quelle biologiche a quelle psicologiche, da quelle sociali a quelle culturali — , le quali insistono nel rilevare i condizionamenti cui l’uomo è soggetto. I meccanismi istintuali, i dinamismi della psiche e le strutture sociali e culturali incidono profondamente sulla condotta umana; le scelte che l’uomo fa sono spesso soltanto apparentemente libere; le loro cause profonde vanno ricercate in aree della soggettività che sfuggono al controllo — si pensi al mondo del subconscio — perché le dinamiche ad esse soggiacenti non sono
oggettivabili.
La trasformazione delle scienze umane in ideologie dà luogo a un rigido determinismo: l’agire umano, lungi dall’essere espressione della libertà, si trasforma in agire meccanicistico, frutto dell’intreccio di forze interne ed esterne che condizionano radicalmente la condotta dell’uomo. Le azioni dell’uomo sono il prodotto di fattori riconducibili alla struttura originaria della persona e al successivo sviluppo della personalità, che prescindono cioè dalla responsabilità soggettiva. L’assenza di libertà implica infatti la negazione dell’eticità, se è vero — come si è detto — che libertà ed eticità sono direttamente proporzionali.

 

dalla «libertà da» alla «libertà per»

Più che il risultato di una dimostrazione razionale, la libertà è una realtà che ciascuno sperimenta di fronte alle diverse scelte della vita: da quelle più impegnative a quelle più feriali. Tutti infatti avvertiamo, quando ci troviamo a dover decidere, che siamo noi gli attori della scelta; in altre parole, che essa dipende dalla nostra volontà.
La libertà si presenta dunque anzitutto sotto la forma di «libertà da» (o «libertà di elezione»); essa coincide con l’assenza di un condizionamento totalizzante che ridurrebbe l’agire ad agire deterministico. La volontà umana, che ha per oggetto il Bene assoluto, misurando la distanza esistente tra esso e i beni particolari (sempre limitati) con cui entra in contatto nel contesto della contingenza storica, percepisce di non essere da essi radicalmente condizionata. La sproporzione tra il Bene e i beni dà origine a uno stato di indeterminazione, che può essere superato soltanto autodeterminandosi, cioè mediante la libera decisione personale. Non essendo le motivazioni fornite dalla ragione apodittiche, vi è infatti spazio per una presa di posizione della persona, che deve farle diventare le proprie motivazioni, giustificando in questo modo la propria scelta.
Per quanto estremamente importante la «libertà da» non esaurisce tuttavia l’intero contenuto della libertà: essa è soltanto il presupposto a partire dal quale è possibile attingerne il senso più profondo, costituito dalla «libertà per» (o «libertà di perfezione»), la quale ha come obiettivo il perseguimento della piena liberazione. La libertà ci è data perché ci liberiamo, perché portiamo a compimento il processo della nostra realizzazione personale; in una parola, perché, attraverso le nostre opzioni concrete, perseguiamo la nostra vocazione. A contare non è dunque la possibilità di scegliere ma la scelta fatta in modo conforme alle istanze della propria soggettività. All’inizio e al termine della libertà vi è infatti la persona; all’inizio come dato ontologico che ne fonda possibilità; al termine come fine cui essa tende e che si identifica con la completa integrazione della personalità. Non è dunque libero chi rinuncia a scegliere per mantenere aperte tutte le possibilità di scelta; è invece libero chi fa scelte autentiche, conferendo attraverso di esse un  orientamento ben definito alla propria esistenza. Ogni scelta ha i suoi costi: comporta una rottura (sempre dolorosa) con altre possibilità di scelta che vengono automaticamente escluse o almeno accantonate; ma questo risvolto negativo è compensato dalla convergenza dell’agire attorno a un polo che conferisce unità alla vita della persona.
La libertà è, in definitiva, una realtà articolata, la cui traiettoria va dalla capacità di autode terminarsi – senza il riconoscimento del libero arbitrio non si può parlare di libertà – fino all’autodeterminazione, che ha luogo quando la scelta è finalizzata alla realizzazione di sé.

 

condizionamenti e libertà morale

Ma la libertà, di cui è stata fin qui delineata la struttura portante, non è mai una libertà assoluta; è una libertà «situata», soggetta a una serie di limitazioni che ne circoscrivono il campo di azione. Se infatti è giusto rifiutare la tesi del determinismo che affiora – come si è visto – nell’ambito delle scienze umane, non si deve tuttavia misconoscere il peso dei condizionamenti che si esercitano sulla libertà e che ne limitano la possibilità di espressione. La ragione di fondo di questi condizionamenti è di natura antropologica: in quanto esse-re essenzialmente corporeo – il corpo non è nell’uomo un dato accidentale, ma un fattore costitutivo della sua soggettività – l’uomo è inserito nello spazio e nel tempo; fattori che, se danno, per un verso, consistenza reale all’agire, ne segnano, per altro verso, in partenza la direzione obbligata.
La libertà morale, che è libertà-liberazione (o, come si è detto, libertà di perfezione), si realizza pertanto all’interno di ben definite coordinate che dettano le condizioni del suo esercizio. Essa si identifica anzitutto con la scelta di fondo messa in atto dal soggetto nel momento in cui progetta l’esistenza, conferendo in tal modo un indirizzo preciso al proprio agire. È questa – come giustamente rileva Sartre – la «libertà fondamentale», che si incarna nelle scelte particolari le quali possono confermarla (e dunque rafforzarla) oppure opporsi ad essa fino a provocarne il  ribaltamento.
Tra le due forme di libertà si dà un rapporto di interdipendenza dialettica: la libertà fondamentale si costruisce mediante le scelte particolari e all’interno di esse – e questo a causa del fatto che l’agire umano è, come si è detto, un agire «situato» -; ma essa esercita, a sua volta, il proprio condizionamento sulle scelte particolari, che sono da essa in parte influenzate.
La libertà è dunque doppiamente alla radice dell’eticità: lo è in origine, come condizione preliminare: solo un atto libero è infatti un atto autenticamente umano, e solo un atto autenticamente umano è un atto morale. Ma lo è anche in relazione al fine che l’eticità persegue, il quale non consiste tanto nella perfezione dell’atto ma nella perfezione dell’agente, cioè nel progetto di vita che l’uomo si dà e che non può che essere frutto della sua libera scelta.

 

l’ apertura al valore

Nonostante la sua grande rilevanza sul piano morale, la libertà non si identifica tuttavia totalmente con l’eticità. La piena identificazione rischia di condurre a un vicolo cieco. Non avendo né origine né fine, la libertà è destinata a implodere: l’uomo infatti – osserva Sartre – in quanto non è libero di essere libero, è condannato alla libertà. È allora necessario ancorare la libertà a un dato oggettivo che stabilisca, in qualche modo, le condizioni per il suo corretto sviluppo in relazione alla autentica promozione umana.
Il concetto che viene oggi utilizzato per dare contenuto a questo dato è quello di «valore». Esso rappresenta il momento di congiunzione feconda tra l’aspetto soggettivo e quello oggettivo della moralità. Se è vero infatti che la libertà rinvia al valore come a suo necessario approdo, non è meno vero che il valore rinvia alla libertà come a condizione essenziale della sua stessa possibilità di esistere. O forse, più correttamente, è vero che la libertà, in quanto «libertà per», ha quale oggetto la piena liberazione umana, che trova realizzazione in un progetto che ha nel mondo dei valori il proprio ineludibile riferimento.

 

di Giannino Piana
in “Rocca” n. 11 del 1 giugno 2011