“Cultura della comunicazione e nuovi linguaggi”.

La Chiesa e il Vangelo ai tempi di Internet Giacomo Dotta «Ascoltando le voci del mondo globalizzato, ci accorgiamo che è in atto una profonda trasformazione culturale, con nuovi linguaggi e nuove forme di comunicazione, che favoriscono anche nuovi e problematici modelli antropologici».
Con queste parole Papa Benedetto XVI ha ribadito l’apertura della Chiesa nei confronti dei nuovi strumenti della comunicazione.
L’evoluzione del Vaticano in tal senso è in auge ormai da tempo, con una apertura sempre più ampia ed una comprensione sempre più approfondita sulle dinamiche che il Web sta maturando.
Ancora un volta, in particolare, il Papa ha voluto sottolineare l’importanza di una comprensione a tutto tondo della Rete, tanto nelle sue opportunità quanto nei suoi pericoli.
I due lati della stessa medaglia sono stati approfonditi in occasione dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura sul tema “Cultura della comunicazione e nuovi linguaggi“: la Chiesa intende aprirsi al Web in modo sempre più radicale, sente di doverlo fare in virtù della propria vocazione all’evangelizzazione, ma intende altresì muovere i propri passi con tutta la consapevolezza necessaria.
L’impegno parte da una presa di coscienza circa le difficoltà comunicative che la comunità cristiana sperimenta tanto verso l’esterno, quanto al suo stesso interno: «i Pastori e i fedeli avvertono con preoccupazione alcune difficoltà nella comunicazione del messaggio evangelico e nella trasmissione della fede, all’interno della stessa comunità ecclesiale.
[…] tanti cristiani hanno bisogno che sia loro riannunciata in modo persuasivo la Parola di Dio, così da poter sperimentare concretamente la forza del Vangelo” .
I problemi sembrano talora aumentare quando la Chiesa si rivolge agli uomini e alle donne lontani o indifferenti ad una esperienza di fede, ai quali il messaggio evangelico giunge in maniera poco efficace e coinvolgente.
In un mondo che fa della comunicazione la strategia vincente, la Chiesa, depositaria della missione di comunicare a tutte le genti il Vangelo di salvezza, non rimane indifferente ed estranea; cerca, al contrario, di avvalersi con rinnovato impegno creativo, ma anche con senso critico e attento discernimento, dei nuovi linguaggi e delle nuove modalità comunicative».
In questa difficoltà è identificato uno dei maggiori problemi odierni della Chiesa: «L’incapacità del linguaggio di comunicare il senso profondo e la bellezza dell’esperienza di fede può contribuire all’indifferenza di tanti, soprattutto giovani; può diventare motivo di allontanamento[…], rilevando che una presentazione inadeguata del messaggio nasconde più che manifestare il genuino volto di Dio e della religione».
Il Santo Padre ha parlato di una necessaria “sincronizzazione” con il mondo dei giovani: oggi i codici linguistici sono differenti e ciò rende la comunicazione tra le parti non solo inefficace, ma di per sé dannosa poichè implica un errato passaggio dei messaggi, dei concetti e dell’immagine della Chiesa stessa.
Al tempo stesso, la Santa Sede pone l’accento sui problemi che la nuova realtà impone su una generazione che potrebbe non ancora avere la necessaria consapevolezza per affrontare in modo sano i nuovi strumenti comunicativi: «Oggi non pochi giovani, storditi dalle infinite possibilità offerte dalle reti informatiche o da altre tecnologie, stabiliscono forme di comunicazione che non contribuiscono alla crescita in umanità, ma rischiano anzi di aumentare il senso di solitudine e di spaesamento.
Dinanzi a tali fenomeni, ho parlato più volte di emergenza educativa, una sfida a cui si può e si deve rispondere con intelligenza creativa, impegnandosi a promuovere una comunicazione umanizzante, che stimoli il senso critico e la capacità di valutazione e di discernimento».
La Chiesa vede nel Vangelo una chiave interpretativa valida sempre e comunque, anche ai tempi dell’odierna cultura tecnologica: il paradigma rimane intatto, il dogma si conferma valido.
Cambia però in contesto e, quindi, la Chiesa dovrà sapervisi adattare per non trovasi a predicare il Vangelo in un linguaggio arcaico, inefficace ed inascoltato.
14/11/2010 http://www.webnews.it  Nella ricerca della verità e della bellezza la Chiesa vuole dialogare con tutti.
Per questo deve avvalersi, con impegno creativo ma anche con senso critico e con attento discernimento, dei nuovi linguaggi e delle nuove modalità comunicative.
È il senso del discorso rivolto dal Papa ai partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, ricevuti in udienza sabato mattina, 13 novembre, nella Sala Clementina.
 Signori Cardinali, Venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, Cari fratelli e sorelle! Sono lieto di incontrarvi al termine dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, nel corso della quale avete approfondito il tema:  “Cultura della comunicazione e nuovi linguaggi”.
Ringrazio il Presidente, Mons.
Gianfranco Ravasi, per le belle parole, e saluto tutti i partecipanti, grato per il contributo offerto allo studio di tale tematica, assai rilevante per la missione della Chiesa.
Parlare di comunicazione e di linguaggio significa, infatti, non solo toccare uno dei nodi cruciali del nostro mondo e delle sue culture, ma, per noi credenti, significa avvicinarsi al mistero stesso di Dio che, nella sua bontà e sapienza, ha voluto rivelarsi e manifestare la sua volontà agli uomini (Concilio Vaticano ii, Cost.
dogm.
Dei Verbum, 2).
In Cristo, infatti, Dio si è rivelato a noi come Logos, che si comunica e ci interpella, allacciando la relazione che fonda la nostra identità e dignità di persone umane, amate come figli dall’unico Padre (cfr.
Es.
ap.
postsinodale Verbum Domini, 6.22.23).
Comunicazione e linguaggio sono anche dimensioni essenziali della cultura umana, costituita da informazioni e nozioni, da credenze e stili di vita, ma anche da regole, senza le quali difficilmente le persone potrebbero progredire nell’umanità e nella socialità.
Ho apprezzato l’originale scelta di inaugurare la Plenaria nella Sala della Protomoteca al Campidoglio, cuore civile e istituzionale di Roma, con una tavola-rotonda sul tema:  “Nella Città in ascolto dei linguaggi dell’anima”.
In tale modo, il Dicastero ha inteso esprimere uno dei suoi compiti essenziali:  mettersi in ascolto degli uomini e delle donne del nostro tempo, per promuovere nuove occasioni di annuncio del Vangelo.
Ascoltando, dunque, le voci del mondo globalizzato, ci accorgiamo che è in atto una profonda trasformazione culturale, con nuovi linguaggi e nuove forme di comunicazione, che favoriscono anche nuovi e problematici modelli antropologici.
In questo contesto, i Pastori e i fedeli avvertono con preoccupazione alcune difficoltà nella comunicazione del messaggio evangelico e nella trasmissione della fede, all’interno della stessa comunità ecclesiale.
Come ho scritto nell’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini:  “tanti cristiani hanno bisogno che sia loro riannunciata in modo persuasivo la Parola di Dio, così da poter sperimentare concretamente la forza del Vangelo” (n.
96).
I problemi sembrano talora aumentare quando la Chiesa si rivolge agli uomini e alle donne lontani o indifferenti ad una esperienza di fede, ai quali il messaggio evangelico giunge in maniera poco efficace e coinvolgente.
In un mondo che fa della comunicazione la strategia vincente, la Chiesa, depositaria della missione di comunicare a tutte le genti il Vangelo di salvezza, non rimane indifferente ed estranea; cerca, al contrario, di avvalersi con rinnovato impegno creativo, ma anche con senso critico e attento discernimento, dei nuovi linguaggi e delle nuove modalità comunicative.
L’incapacità del linguaggio di comunicare il senso profondo e la bellezza dell’esperienza di fede può contribuire all’indifferenza di tanti, soprattutto giovani; può diventare motivo di allontanamento, come affermava già la Costituzione Gaudium et spes, rilevando che una presentazione inadeguata del messaggio nasconde più che manifestare il genuino volto di Dio e della religione (cfr.
n.
19).
La Chiesa vuole dialogare con tutti, nella ricerca della verità; ma perché il dialogo e la comunicazione siano efficaci e fecondi è necessario sintonizzarsi su una medesima frequenza, in ambiti di incontro amichevole e sincero, in quell’ideale “Cortile dei Gentili” che ho proposto parlando alla Curia Romana un anno fa e che il Dicastero sta realizzando in diversi luoghi emblematici della cultura europea.
Oggi non pochi giovani, storditi dalle infinite possibilità offerte dalle reti informatiche o da altre tecnologie, stabiliscono forme di comunicazione che non contribuiscono alla crescita in umanità, ma rischiano anzi di aumentare il senso di solitudine e di spaesamento.
Dinanzi a tali fenomeni, ho parlato più volte di emergenza educativa, una sfida a cui si può e si deve rispondere con intelligenza creativa, impegnandosi a promuovere una comunicazione umanizzante, che stimoli il senso critico e la capacità di valutazione e di discernimento.
Anche nell’odierna cultura tecnologica, è il paradigma permanente dell’inculturazione del Vangelo a fare da guida, purificando, sanando ed elevando gli elementi migliori dei nuovi linguaggi e delle nuove forme di comunicazione.
Per questo compito, difficile e affascinante, la Chiesa può attingere allo straordinario patrimonio di simboli, immagini, riti e gesti della sua tradizione.
In particolare il ricco e denso simbolismo della liturgia deve splendere in tutta la sua forza come elemento comunicativo, fino a toccare profondamente la coscienza umana, il cuore e l’intelletto.
La tradizione cristiana, poi, ha sempre strettamente collegato alla liturgia il linguaggio dell’arte, la cui bellezza ha una sua particolare forza comunicativa.
Lo abbiamo sperimentato anche domenica scorsa, a Barcellona, nella Basilica della Sagrada Familia, opera di Antoni Gaudí, che ha coniugato genialmente il senso del sacro e della liturgia con forme artistiche tanto moderne quanto in sintonia con le migliori tradizioni architettoniche.
Tuttavia, più incisiva ancora dell’arte e dell’immagine nella comunicazione del messaggio evangelico è la bellezza della vita cristiana.
Alla fine, solo l’amore è degno di fede e risulta credibile.
La vita dei santi, dei martiri, mostra una singolare bellezza che affascina e attira, perché una vita cristiana vissuta in pienezza parla senza parole.
Abbiamo bisogno di uomini e donne che parlino con la loro vita, che sappiano comunicare il Vangelo, con chiarezza e coraggio, con la trasparenza delle azioni, con la passione gioiosa della carità.
Dopo essere stato pellegrino a Santiago de Compostela ed aver ammirato in migliaia di persone, soprattutto giovani, la forza coinvolgente della testimonianza, la gioia di mettersi in cammino verso la verità e la bellezza, auspico che tanti nostri contemporanei possano dire, riascoltando la voce del Signore, come i discepoli di Emmaus:  “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via?” (Lc 24, 32).
Cari amici, vi ringrazio per quanto quotidianamente fate con competenza e dedizione e, mentre vi affido alla materna protezione di Maria Santissima, di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica.
(©L’Osservatore Romano – 14 novembre 2010) La plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura è stata aperta ieri pomeriggio con una seduta pubblica in Campidoglio, con la partecipazione del sindaco di Roma Gianni Alemanno.
I lavori si svolgono da oggi fino a sabato prossimo in Vaticano sul tema “Cultura della comunicazione e nuovi linguaggi”.
Luca Collodi ha chiesto a mons.
Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero per la Cultura e prossimo cardinale, perché la plenaria per la sua apertura abbia scelto di uscire dal Vaticano: R.
– E’ stata quasi una scelta obbligatoria, perché siamo in presenza di un tema che di sua natura suppone la “polis”, cioè la città; suppone il gioco delle strade che si incrociano; delle persone che comunicano tra di loro, che urlano e che qualche volta – invece – sussurrano soltanto.
Per questo motivo abbiamo scelto il Campidoglio che è una sorta di simbolo e dove la comunicazione dovrebbe diramarsi in tutta la città.
D.
– La Chiesa fa della Parola la sua testimonianza, però fatica a parlare il linguaggio dei tempi moderni.
Perché? R.
– Esiste un problema quasi preliminare: da un lato, noi dobbiamo riconoscere che la comunicazione e il linguaggio sono delle espressioni fondamentali dell’essere umano e della stessa religione.
Non dimentichiamo che la Bibbia comincia – nell’Antico e nel Nuovo Testamento – con la frase: “Dio disse” e “In principio c’era la Parola”.
Quindi come tale, la parola celebra i suoi trionfi, nella cultura, nella religione, nella comunicazione, come avviene ora tra di noi.
Dall’altra parte, però, si è riconosciuto che ormai la comunicazione e il linguaggio sono malati: hanno tante diverse malattie degenerative e al capezzale di questo malato ci sono tanti specialisti.
Tra questi ci deve essere, indubbiamente, anche la comunità ecclesiale, anche perché tante volte la comunità ecclesiale, forse, questo linguaggio non sa più usarlo.
D.
– Mons.
Ravasi è la Chiesa che non sa più usare il linguaggio o sono i contenuti ecclesiali che non interessano più l’opinione pubblica? R.
– Noi sappiamo il famoso detto, che viene sempre citato, “il mezzo è il messaggio”: contenuto e mezzo di comunicazione si intrecciano ininterrottamente tra di loro e costituiscono quasi come una sorta di realtà inestricabile.
Per questo motivo il contenuto è primario.
Noi abbiamo un messaggio da comunicare, che è tante volte alternativo rispetto a quello della società contemporanea, ma che riteniamo fondamentale per i valori che custodisce, per la ricchezza che contiene.
Dall’altra parte, però, c’è il mezzo e il mezzo purtroppo molte volte è stato perso: si è usato un linguaggio e un modo espressivo, da parte della società contemporanea, che non è stato raccolto dalla Chiesa e che ha continuato con un suo linguaggio.
Ecco allora la necessità di entrare non soltanto con in contenuto, ma anche con il mezzo, con la comunicazione.
D.
– C’è la necessità anche di una formazione dei pastori della Chiesa ai nuovi linguaggi… R.
– E’ questa una delle necessità, forse, fondamentali.
E non soltanto per evitare quella critica ironica che faceva Voltaire ai predicatori, dicendo che “l’eloquenza è come la spada di Carlo Magno: lunga e piatta, perché i predicatori quello che non sanno darti in profondità te lo danno in lunghezza!”.
La necessità di trovare un linguaggio certamente più capace di entrare in sintonia con la cultura e con l’uomo di oggi è indispensabile.
Non dimenticando, però, che esiste un linguaggio fondamentale di riferimento e dal quale non si può prescindere.
Ci sono delle parole che devono essere conservate! D.
– L’apertura della plenaria è avvenuta fuori dal Vaticano: ci dobbiamo aspettare nuove conclusioni dal lavoro dell’assemblea? R.
– Sicuramente l’originalità dell’apertura fuori dal Vaticano, come sempre si è fatto, è già significativa in sé.
L’altra novità è che la plenaria coinvolgerà persone diversissime: ci saranno registi cinematografici, ci saranno artisti ed architetti che interverranno, studiosi di linguaggio e specialisti di Internet ….
Questo è già un modo per parlare ad un areopago molto più esteso, ad una piazza molto più espansa.
Io penso che, d’altra parte – e qui ritorniamo alle parole di Cristo – non dobbiamo annunciare soltanto nell’interno della penombra aureolata – forse – di incensi, della comunità ecclesiale, delle chiese, ma dobbiamo parlare – come diceva Gesù – anche dalle terrazze e dai tetti: e noi siamo saliti, appunto, sulla terrazza del Campidoglio o – se si vuole – di tutta la società contemporanea.
(mg)

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