La “rivoluzione demografica”

Per il professor Ettore Gotti Tedeschi, economista e banchiere, presidente dell’Istituto per le Opere di Religione, la banca del Vaticano, la causa prima della crisi economica dell’Occidente è il crollo della natalità.
Gotti Tedeschi sostiene questa tesi da tempo, con molto vigore.
E la argomenta in frequenti conferenze ed articoli su “L’Osservatore Romano”.
Alcuni continuano però a pensare che a bloccare lo sviluppo economico non sia la diminuzione ma l’aumento incontrollato delle nascite.
Uno dei più accesi propagandisti di questa tesi neomalthusiana è un celebre professore di scienza della politica, con cattedra per molti anni a New York, il professor Giovanni Sartori, editorialista di spicco del maggior quotidiano italiano, il “Corriere della Sera”, dalle cui colonne attacca ripetutamente la Chiesa cattolica in quanto paladina di “una crescita demografica dissennata”, foriera solo di disastri.
Le due tesi sono opposte e del tutto inconciliabili.
A parere di Gotti Tedeschi, non è sufficiente a risolvere la crisi economica nei paesi occidentali neppure una compensazione del crollo della natalità tramite gli immigrati.
Su questo punto, però, non tutti sono d’accordo in tutto con lui.
Non solo tra i demografi, ma neppure in quel “think tank” della Santa Sede che è “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma le cui bozze, per statuto, sono lette e controllate prima della stampa dalla segreteria di stato vaticana.
Su “La Civiltà Cattolica” del 2 ottobre il direttore dell’autorevole rivista, il gesuita GianPaolo Salvini (nella foto), ha dedicato undici pagine a presentare un libro di due demografi i quali sostengono, cifre alla mano, che in Italia la popolazione non è affatto in declino, ma vive anzi una nuova “rivoluzione demografica”, nella quale le forti immigrazioni, l’aumento della durata della vita, la ripresa della natalità, la tenuta dei legami fra genitori e figli interagiscono tra loro in modo positivo.
Gli autori del libro sono Francesco C.
Billari, dell’Università Bocconi di Milano, e Gianpiero Dalla Zuanna, dell’Università di Padova.
Di quest’ultimo, www.chiesa ha recensito lo scorso settembre un saggio sul controllo delle nascite nella pratica pastorale della Chiesa.
Il libro recensito con evidente favore da padre Salvini è il seguente: F.C.
Billari, G.
Dalla Zuanna, “La rivoluzione nella culla.
Il declino che non c’è”, Università Bocconi Editore, Milano, 2009.
L’Italia è un caso di studio di prima importanza, tra i paesi occidentali, riguardo agli andamenti demografici e ai flussi migratori.
Il 27 ottobre, commentando sul “Corriere della Sera” l’ultimo rapporto annuale della Caritas-Migrantes sull’immigrazione, diffuso il giorno precedente, il professor Dalla Zuanna ha scritto: “Oggi vivono in Italia cinque milioni e mezzo di stranieri, undici volte di più rispetto al 1990.
Questa crescita ha conseguenze profonde su demografia, economia, società e cultura.
L’invecchiamento è rallentato, perché gli stranieri hanno in media 30 anni, contro i 45 degli italiani.
Oggi i giovani stranieri sostituiscono i figli che i genitori italiani non hanno voluto o potuto avere”.
Ma subito dopo ha aggiunto, prudentemente: “È difficile dire in che misura gli stranieri influenzano lo sviluppo economico”.
Quanto a padre Salvini, a riprova della sua competenza in materia, è uscito la scorsa primavera un libro a tre voci da lui scritto assieme a un economista dell’Università di Chicago e al direttore editoriale del Gruppo Il Sole 24 Ore: GianPaolo Salvini, Luigi Zingales, Salvatore Carrubba, “Il buono dell’economia.
Etica e mercato oltre i luoghi comuni”, Università Bocconi Editore, Milano, 2010.
Verso la fine della sua recensione al saggio di Billari e Dalla Zuanna, il direttore della “Civiltà Cattolica” sostiene che per far progredire l’economia la crescita demografica dovrebbe essere comunque “moderata”, col ricorso alla “procreazione responsabile” raccomandata dal magistero della Chiesa e da ultimo dall’enciclica “Caritas in veritate”.
Ecco qui di seguito un estratto della recensione di padre Salvini, uscita sul quaderno 3847 della “Civiltà Cattolica”, con la data del 2 ottobre 2010.
__________ DECLINO DEMOGRAFICO E IMMIGRAZIONE IN ITALIA di GianPaolo Salvini La tesi di fondo [dei demografi Francesco C.
Billari e Gianpiero Dalla Zuanna] è che la popolazione italiana, nel suo complesso, non è affatto in declino, neppure statisticamente, grazie alla massiccia immigrazione dall’estero.
[…] Nel giugno 2008 in Italia (calcolando anche gli stranieri in attesa di regolarizzazione) vivevano 60 milioni e 300.000 persone, cioè quasi tre milioni in più rispetto a dieci anni prima.
In alcune città, come Milano, Torino e Firenze, la fecondità è del 40-50 per cento più alta che a metà degli anni Novanta.
“Nell’ultimo decennio, la rapidità dell’invecchiamento è diminuita, malgrado il continuo aumento della sopravvivenza degli anziani, grazie all’ingresso di tre milioni di nuovi giovani cittadini, provenienti spesso da paesi lontani.
[…] Ciò che sta accadendo oggi e le tendenze per l’immediato futuro suggeriscono che è nata, e cresce oggi nella culla, una vera e propria rivoluzione demografica.
Proprio così: rivoluzione, non declino.
Almeno per i prossimi venti o trent’anni saranno attivi potenti meccanismi che permetteranno alla popolazione italiana di rinnovarsi, senza invecchiare in maniera socialmente insostenibile.
[…] Come mai invece la maggioranza degli osservatori continua a parlare di declino demografico e a sottolineare l’inevitabile squilibrio che si va producendo tra persone in età lavorativa e i pensionati? Anzitutto perché ci si basa su previsioni sbagliate, cominciando da quelle della divisione dell’ONU per la popolazione.
[…] Secondo i due demografi le proiezioni indicate non sono attendibili, in primo luogo perché la popolazione di partenza è largamente sottostimata, poiché non si tiene conto degli stranieri irregolari ma stabilmente presenti in Italia.
Questi, si voglia o no, saranno prima o poi quasi tutti regolarizzati, come è sempre avvenuto negli ultimi 15 anni.
Ma inoltre l’ONU suppone che nei prossimi 20 anni entreranno in Italia 140.000 immigrati ogni anno, mentre nel periodo tra il 1999 e il 2004 gli ingressi in Italia sono stati di circa 300.000 all’anno, e si sono mantenuti su questa cifra anche nel triennio successivo.
Se la tendenza continuasse, non diminuirebbero né i lavoratori né i minori di 20 anni, anche se gli anziani continuerebbero ad aumentare a causa del progressivo allungamento della vita media, e del fatto che arriveranno alla pensione i molti figli del baby boom, nati tra il 1950 e il 1970.
[…] Per molti perciò l’immigrazione è un freno allo sviluppo economico o, al massimo, un rimedio, insufficiente, per compensare l’incepparsi dei normali meccanismi di ricambio della popolazione, cioè natalità e mortalità, che in molte lingue sono tuttora considerate le sole due componenti “naturali” dell’evoluzione demografica.
Ma quando gli studiosi “parlano di ricambio naturale o di ricambio migratorio, più o meno consapevolmente formulano un giudizio di valore (‘per la demografia un nato è meglio di un immigrato’), scherzando con il fuoco del pregiudizio razzista e nazionalista”.
[…] È bene rievocare anche la storia passata dell’Italia, che ha sempre conosciuto profondi rimescolamenti di popolazione sia da una regione all’altra, sia provenienti dall’estero: tedeschi in varie valli delle Alpi, greci e albanesi al sud ecc.
Tesi del libro che presentiamo è che “una popolazione chiusa ai modelli migratori, con meno di due figli per donna, è destinata inevitabilmente a invecchiare e – alla lunga – a scomparire, anche quando la mortalità è molto bassa”.
A quanto detto si può aggiungere che in Italia il fenomeno dell’immigrazione dai paesi poveri non solo si è verificato più tardi che in altri paesi europei (alcuni già abituati, fra l’altro, a reclutare manodopera non qualificata nelle loro colonie), ma è avvenuto con una velocità del tutto imprevista, il che costituisce un vero primato.
Nell’ottobre 1981 erano stati censiti 210.000 stranieri residenti in Italia, dei quali solo 60.000 nati in paesi più poveri dell’Italia.
A metà del 2008 vivevano stabilmente in Italia più di 4 milioni di stranieri, quasi tutti provenienti dai paesi poveri.
[…] Le zone con forte flusso di immigrati sono spesso quelle [economicamente] più dinamiche, ed è un dinamismo destinato a protrarsi.
Un terzo dei nuovi assunti nel Veneto nel 2007 era straniero.
Non occorre molto per capire che nelle aree dove ci sono molti benestanti viene richiesta una manodopera che si occupi delle attività che il benessere acquisito consente di evitare, ma che sono indispensabili per vivere bene: pulire le case, fare da mangiare, lavare i vestiti ecc.
Anche se il fenomeno può essere deplorato sotto molti aspetti, è probabile che gli italiani continuino a fare pochi figli, cioè meno di 1,5 per ogni donna.
[…] Il rinnovo della popolazione italiana, lo si voglia o meno, sarà perciò assicurato dagli immigrati stranieri.
[…] Il problema che si pone è di sapere se questo flusso continuerà anche nel prossimo ventennio.
Non manca chi pensa a soluzioni alternative alle immigrazioni, o almeno complementari ad esse.
Ad esempio, innalzando di vari anni l’età della pensione, oppure agevolando il rientro nel mercato del lavoro delle donne anche dopo la nascita dei figli, oppure aumentando drasticamente la produttività (cioè la quantità di prodotto per ogni lavoratore), in modo da diminuire il fabbisogno di manodopera da parte delle imprese.
Ma, secondo i demografi, queste tre ipotesi, tutte da non trascurare, non saranno sufficienti a supplire alla mancanza di lavoratori.
Oltre al fabbisogno delle imprese c’è il problema sociale del pagamento delle pensioni in un sistema dove esse vengono pagate dagli attuali lavoratori.
I pensionati aumenteranno certamente e in modo rilevante, e questo renderà indispensabile allargare la base dei lavoratori attivi, poiché non è ragionevole ipotizzare un drastico abbassamento del livello delle pensioni.
A invecchiare infatti è il corpo elettorale, che reagirebbe energicamente a una decurtazione sostanziosa delle proprie pensioni.
Naturalmente si può sempre sperare in una ripresa della natalità a breve scadenza, ma questo incremento non modificherebbe il quadro dei prossimi anni, caratterizzato da una drammatica riduzione della popolazione italiana in età lavorativa.
I nuovi nati infatti arriverebbero in ogni caso sul mercato del lavoro dopo il 2030 e, nel frattempo, potrebbero anzi essere necessari nuovi lavoratori stranieri se la ripresa delle nascite distogliesse un numero rilevante di donne dal lavoro, o facesse aumentare la richiesta di lavoro domestico.
Da quanto abbiamo detto, sembra inevitabile che per i prossimi due decenni l’Italia dovrà accogliere ogni anno quasi 300.000 immigrati in età tra i 20 e i 59 anni, cioè quanti ne sono entrati annualmente nell’ultimo decennio.
[…] Se l’arrivo di lavoratori stranieri è inevitabile – a parte le considerazioni umanitarie e cristiane a cui il papa e molti vescovi hanno più volte accennato – sarà quindi bene essere previdenti.
Per questo abbiamo cercato qui di fare un discorso “laico”.
Certo non si tratta di accogliere tutti coloro che vogliono arrivare, o di consentire che si formino ghetti all’interno del nostro paese.
Tanto meno che si accolgano o si sia tolleranti verso persone che non si adeguano al nostro ordinamento, che non osservano le leggi civili e penali del paese o non ne vogliono parlare la lingua.
Ma, se intendono restare, è bene che vengano aiutati a integrarsi nel modo migliore possibile.
[…] C’è certamente il problema umano e sociale della riduzione del numero di figli, a cui, ad esempio, il prof.
Ettore Gotti Tedeschi ha fatto molte volte allusione.
Si tratta certamente di una componente che ha modificato profondamente la struttura umana e produttiva della nostra società.
Nel clima di una polemica con l’economista, il prof.
Giovanni Sartori ha negato, un po’ troppo drasticamente, ogni correlazione tra crescita demografica e crescita economica.
Sembra invece esistere, anche in base all’esperienza storica passata e attuale, un certo consenso tra i demografi e gli economisti nell’affermare una correlazione fra la crescita economica e una costante, ma moderata, crescita demografica.
Non per nulla l’enciclica “Caritas in veritate”, certamente a favore della vita, parla della necessità di “prestare la debita attenzione a una procreazione responsabile ” (n.
44), cioè non fatta a casaccio.
Un drastico e inarrestabile calo demografico ha sempre accompagnato le epoche di declino delle varie civiltà.
A meno che – qualora un grande paese non riesca a trovare in se stesso la speranza nel futuro e le condizioni che portano a fare più figli, almeno per conservare l’equilibrio demografico – non si apra in modo umano e corretto alle immigrazioni da altri popoli, come sta avvenendo in Italia in modo per ora alquanto contraddittorio e spontaneo.
Ma anche questa soluzione non è indolore, come abbiamo cercato di dimostrare, e richiede lungimiranza e coraggio, che sinora in Italia non sembra siamo stati capaci di trovare.
__________ La rivista dei gesuiti di Roma su cui è uscita la recensione: > La Civiltà Cattolica E il testo integrale della stessa, riprodotto per gentile concessione della rivista: > Declino demografico e immigrazione in Italia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *