Privacy e Irc

Privacy e Irc   di Sergio Cicatelli     L’Autorità garante per la protezione dei dati personali ha pubblicato nella scorsa primavera un opuscolo intitolato La privacy tra i banchi di scuola in cui presenta in forma divulgativa le più comuni problematiche relative al trattamento dei dati personali nella scuola e al rispetto della privacy, spesso in conflitto con le altrettanto obbligatorie regole di trasparenza.
Il documento è scaricabile all’indirizzo web http://www.garanteprivacy.it/garante/document?ID=1721480.
Con l’inizio dell’anno scolastico il Garante ha rilanciato la pubblicità del suo vademecum e la stampa ha sottolineato che le scuole possono farne richiesta e utilizzare il documento per le proprie attività didattiche, in particolare per quelle legate all’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione.
Gli argomenti di interesse scolastico sono molti e su di essi spesso si accumulano pregiudizi e false interpretazioni che fanno usare la privacy come scudo o alibi per fare vero e proprio ostruzionismo nei confronti di comportamenti a vario titolo indesiderati: pubblicità delle valutazioni, informazioni ricavabili dai temi d’italiano, foto di classe, registrazione delle lezioni, sistemi di videosorveglianza, ecc.
Tra i dati sensibili che la legislazione sulla privacy tende a tutelare con particolare attenzione, accanto alle condizioni di salute, alle convinzioni politiche e alle abitudini sessuali, ci sono anche le convinzioni religiose, che la scuola può utilizzare ad esempio per organizzare i servizi di mensa (quando si tratta di rispettare tradizioni o divieti alimentari di origine religiosa).
Accanto a questi dati, che sono senz’altro rivelatori di un’appartenenza religiosa, il Garante pone però anche la scelta di avvalersi dell’Irc, dando di essa un’interpretazione semplicemente inaccettabile sul piano culturale oltre che illegittima da un punto di vista giuridico, facendo vacillare la fiducia che si dovrebbe riporre in una autorità di “garanzia”.
Scrive testualmente il Garante che «gli istituti scolastici possono utilizzare i dati sulle convinzioni religiose al fine di garantire la libertà di credo – che potrebbe richiedere ad esempio misure particolari per la gestione della mensa scolastica – e per la fruizione dell’insegnamento della religione cattolica o delle attività alternative a tale insegnamento» (p.
7).
Non solo si afferma che i dati sulle convinzioni religiose servono per la fruizione dell’Irc, ma addirittura anche delle attività alternative, rafforzando il carattere identitario di queste scelte che, in positivo, farebbero riconoscere i cattolici dal fatto di aver scelto l’Irc e, in negativo, i non cattolici per aver optato per le attività alternative.
È di tutta evidenza a chiunque frequenti le scuole (non solo durante le ore di Irc) che questa interpretazione è anche empiricamente falsa, in quanto sono numerosi i cattolici che preferiscono non avvalersi dell’Irc e, viceversa, i non cattolici che scelgono di avvalersene perché vi riconoscono una proposta culturale e formativa che prescinde da una personale adesione di fede.
Ma l’interpretazione del Garante è sbagliata anche in termini giuridici, dato che il Concordato del 1984 colloca inequivocabilmente l’Irc «nel quadro delle finalità della scuola» e dunque esclude che possa trattarsi di una pratica di fede o di una catechesi travestita.
D’altra parte, per una attività catechetica mancherebbero i presupposti teorici ed il contesto ecclesiale o comunitario.
Né vale il fatto che l’Idr sia fornito di idoneità ecclesiastica o che i programmi siano approvati dalla Cei: si tratta di garanzie di autenticità (dei contenuti insegnati e dell’affidabilità del docente) derivanti dalla mancanza di competenza dello Stato.
Semmai – ma il Garante non lo dice o non se ne è accorto – l’unico dato sensibile di cui la scuola è in possesso in relazione all’Irc è proprio il certificato di idoneità dell’Idr, che attesta inequivocabilmente l’appartenenza ecclesiale del docente, la quale non può rimanere nascosta perché coincide con la materia insegnata.
Ma il fatto di avere a che fare con un insegnante cattolico non vuol dire che anche gli alunni debbano essere cattolici.
Il Garante però insiste sulle sue posizioni e, a proposito del “Trattamento dei dati nelle istituzioni scolastiche private”, anziché parlare della possibile rivelazione dell’appartenenza confessionale derivante dalla frequenza di eventuali scuole di ispirazione religiosa, torna a insistere sul fatto che si possano «elaborare informazioni sulle convinzioni religiose degli studenti, al fine di permettere la scelta di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica» (p.
9).
Con maggiore equilibrio, in passato, il Garante era intervenuto con propri comunicati per denunciare alcune «leggende metropolitane», per esempio in materia di valutazione, affermando che «non esiste alcun provvedimento del Garante che proibisce agli alunni di rendere nota la fede religiosa o che ostacola le soluzioni da tempo in atto per la partecipazione o meno degli alunni all’ora di religione» (comunicato stampa 3-12-2004).
E di nuovo il 14-6-2005 il Garante tornava sull’argomento ribadendo che «i dati relativi agli esiti scolastici, per quanto riferiti a minori, non sono dati sensibili, non riguardano cioè informazioni sullo stato di salute, le opinioni politiche, le appartenenze religiose, l’etnia o gli stili di vita, ma attengono esclusivamente al rendimento scolastico degli allievi».
Ora, se la valutazione dell’Irc non è rivelatrice della fede dell’alunno, non si vede come possa esserlo il fatto di aver scelto di avvalersi di quella disciplina.
A questo punto il Garante, oltre a sanare la contraddizione con i propri precedenti pronunciamenti, dovrebbe chiarire quale sia la reale portata della scelta di avvalersi dell’Irc, correggendo le sue ultime imprudenti affermazioni.
Ma ormai il danno è fatto: gli opuscoletti stanno andando in giro nelle scuole in migliaia di esemplari e veicoleranno la falsa interpretazione di un Irc confessionale non solo nei contenuti ma anche nella forma e nell’adesione personale richiesta.
L’eventuale smentita o rettifica, se anche dovesse arrivare, finirebbe in qualche comunicato di scarsa pubblicità.
E la campagna in atto da tempo per divulgare la falsa immagine dell’Irc come corpo estraneo all’interno della scuola proseguirebbe indisturbata.

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