Dio esiste.

ANTHONY FLEW- A.
ROY VARGHESE, Dio esiste.
Come l’ateo più famoso del mondo ha cambiato idea, Alfa&Omega, 2010,  ISBN: 8888747915, pp.
206, euro 17,90.
«Credo che l’universo sia stato creato da un’Intelligenza infinita e che le sue intricate leggi manifestino ciò che gli scienziati hanno chiamato la Mente di Dio.
Ritengo che la vita e la riproduzione abbiano origine da una Fonte divina».
Sembrerebbe la solita affermazione teistica di un onesto pensatore in ricerca religiosa il quale, osservando il cosmo, ne deduce la provenienza da un Dio creatore.
Ma se tale frase è uscita dalla penna di quello che per decenni è stato uno degli atei più celebri del pianeta, beh, allora, la faccenda si fa interessante.
È lo stesso Anthony Flew, filosofo inglese nato nel 1923 e morto lo scorso 8 aprile, docente in diverse università (Oxford, Aberdeen, Toronto), ad aver messo nero su bianco che “Dio esiste.
Come l’ateo più famoso del mondo ha cambiato idea” (Alfa&Omega, pp.
206, euro 17,90).
Libro che, richiamando il celebre “Storia di un’anima” di Teresa di Lisieux, potremmo definire «Storia di un cervello che passò dalla negazione granitica di Dio all’adesione “scientifica” ad un Essere superiore».
Volume, quello di Flew, che nella sua versione originale (2007) aveva suscitato un vespaio di polemiche.
Compresa la reprimenda del biologo ateo Richard Dawkins, che nel suo “L’illusione di Dio” aveva attribuito a una decadenza senile la conversione di Flew.
Proprio da tale accusa parte il testo dell’ex anti-Dio, quando afferma che «questi critici giunsero alla conclusione che le previsioni di un imminente ingresso nell’aldilà avessero scatenato una conversione sul letto di morte».
Tutt’altro, replica Flew, e l’andamento del racconto – scritto insieme al filosofo cattolico Roy A.
Varghese – ne è la controprova.
Quasi memore del procedimento filosofico classico, Flew procede prima in chiave destruens e quindi costruens rispetto all’ipotesi che Dio esista.
Si scopre così che l’ateo di Oxford fece la sua prima, pubblica professione di ateismo davanti ad un gigante del pensiero cristiano novecentesco, lo scrittore (e apologeta convertito) Clive S.
Lewis, il narratore delle celebri “Cronache di Narnia”.
Infatti nell’estate del 1951 Flew espresse i suoi principi che avrebbero poi costituito il nucleo del primo dei suoi tre libri fondamentali – 35 le opere da lui vergate – sulla sua mancanza di religiosità, “Theology and Falsification” (poi ripubblicato in “Nuovi saggi di teologia filosofica”, curato da Alasdair MacIntyre), nel contesto del Socratic Club di Oxford, uno spazio di discussione tra atei e cristiani il cui presidente, dal 1942 al ’54, fu appunto Lewis.
Flew quindi fece tesoro del pensiero del filosofo analitico Ludwig Wittgenstein.
E ne interpretò il pensiero in chiave anti-religiosa: «Sfidavo i credenti religiosi a spiegare come dovessero essere comprese le loro assunzioni», ovvero ad affermare la «logica» del dichiarare vera l’esistenza di Dio.
Nel suo iter intellettuale – durante il quale incrociò le lame anche con il pensatore neotomista Ralph McInerny, di recente defunto – Flew produsse altre due opere fondamentali, “God and Philosophy” e “The Presumption of Atheism”, nel quale, rifacendosi a David Hume, sosteneva che «le tesi cosmologiche e morali a favore dell’esistenza di Dio non fossero valide.
[…] Sostenevo che una discussione sull’esistenza di Dio dovesse iniziare col supporre l’ateismo e che l’onore della prova dovesse spettare ai teisti».
Dopo una vita di studi in cui si è anche occupato di scienze sociali, avendo abiurato il marxismo giovanile già all’epoca del patto Ribentropp-Molotov del ’39, ebbene 6 anni fa Flew – l’immagine è sua – cambiò casacca e passò nella squadra dei teisti.
Per l’occasione scelse una platea importante, un convegno a New York: «Annunciai che accettavo l’esistenza di un Dio».
E la motivazione era opposta e speculare alla negazione di un tempo: «Perché credo così, pur avendo esposto e difeso l’ateismo per più di mezzo secolo? È per il quadro del mondo, come lo vedo io, che è emerso dalla scienza moderna».
In particolare, a convincere l’anziano pensatore di Oxford, è lo studio del Dna: «Credo che il materiale del Dna abbia dimostrato, con la complessità quasi incredibile delle disposizioni di cui si necessita per generare la vita, che l’Intelligenza debba essere stata così coinvolta nel far sì che questi elementi diversi operassero insieme».
Flew riconosce di essere sulla scia di altri che, come lui, hanno trovato nella ricerca scientifica una chiave per dimostrare che affidarsi a Dio non è una pia illusione.
L’ex ateo cita, in primis, Charles Darwin, padre della teoria dell’evoluzione, di cui riprende questo passaggio: «La ragione mi parla dell’impossibilità quasi di concepire l’universo e l’uomo come il risultato di un mero caso o di una cieca necessità.
Questo pensiero mi costringe a ricorrere a una Causa Prima dotata di un’intelligenza».
Tra gli altri, Flew cita John Polkinghorne, pastore anglicano e grande filosofo della scienza di Cambridge, e Francis Collins, colui che ha portato a termine la mappatura del genoma umano e autore del fortunato “Il linguaggio di Dio” (Longanesi).
In fin dei conti il percorso di Flew, retrospettivamente, è coerente con quel principio socratico di cui si era abbeverato durante gli studi oxfordiani: «Seguire il ragionamento fin dove porta».
Flew chiude così la sua confessione: «Alcuni sostengono di aver stabilito un contatto con questa Mente.
Io no.
Ma chi lo sa cosa potrebbe accadere in seguito? Un giorno potrei sentire una Voce che dice: Puoi sentirmi adesso?».
Lorenzo Fazzini Avvenire 27 agosto 2010

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