“dire Dio”

“Nel momento di nominare Dio, le parole della fede vengono meno, ed ogni discorso che Gli viene applicato non potrà dire né come Lui è, né quanto Lui è grande”: già nel IV secolo Sant’Ilario di Poitiers esprimeva la difficoltà di “dire Dio” con le parole di cui gli uomini dispongono.
Una constatazione tanto più cruciale nel contesto attuale, in cui, malgrado una forte richiesta di spiritualità, ogni discorso su Dio viene sospettato di essere una proiezione delle nostre rappresentazioni umane o, anche, di “mettere le mani su Dio”.
Organizzando, dal 2 al 5 luglio, nell’antica città di Poitiers in cui ancora aleggia la memoria di Sant’Ilario e di santa Radegonda, il 2° forum delle spiritualità cristiane, il mensile Panorama (proprietà del gruppo Bayard, editore di La Croix) ha offerto ai 400 partecipanti venuti da tutta la Francia e anche dal Belgio, l’occasione di approfondire quella che può essere una spiritualità cristiana oggi: come dire l’indicibile, l’inesplicabile? Quali relazioni tra linguaggio e vita spirituale?…
Il forum ecumenico era organizzato con la diocesi di Poitiers, col suo arcivescovo Mons.
Albert Rouet, e con la vicina abbazia di Saint Martin de Ligugé.
Come faceva notare padre Jean-Marie Ploux, prete della Missione di Francia (1), la sfida attuale viene in particolare dal fatto che le teologie da noi ereditate sono tributarie di un mondo in cui l’esistenza di Dio appariva ovvia, mentre oggi non è più così.
“La teologia dominante della Redenzione, forgiata sulla nozione di peccato originale, risolve in maniera semplicistica la disgrazia, il male, ciò che deriva dalle “disfunzioni” della natura.
Per molti, il problema della disgrazia è divenuto un ostacolo insormontabile sulla via del riconoscimento del Dio redentore.
Parlare di Dio con il linguaggio dei primi secoli, significa condannarsi a non essere capiti.” Per Padre Ploux, Dio non rientra più nell’ambito del bisogno o della necessità, ma della gratuità.
Dire Dio oggi significa scegliere di vedere il mondo a partire dai più deboli: “Quando i cristiani vivono così, le persone lo capiscono bene”, ha aggiunto, lungamente applaudito…
Spesso, le parole riducono, rinchiudono.
Anche i gesti o una preghiera silenziosa possono “dire” la presenza di Dio.
Diverse persone intervenendo hanno insistito sulla necessità del silenzio.
“Si può arrivare a parlare di Dio senza deserto, senza notte, senza esodo, senza silenzio?” chiedeva Mons.
Albert Rouet, arcivescovo di Poitiers, che suggeriva del resto che “più della precisione del vocabolario, sono importanti il tono, il timbro della voce, il modo in cui si dice”.
Tutte le forme di linguaggio – oggetto di diversi laboratori – meritano di essere esplorate come vie di accesso alla vita spirituale: arti plastiche, musica, letteratura, poesia, ascolto dei Padri del deserto, “lectio divina”, fotografia…
E anche il linguaggio cinematografico non deve essere trascurato tra i mezzi moderni di dire Dio, come ha spiegato Henri Quinson (2), parlando delle riprese del film Des hommes et des dieux.
Pluripremiato a Cannes, questo film, dedicato ai monaci di Tibhirine (sarà nelle sale cinematografiche francesi a partire dall’8 settembre), ha già segnato profondamente i suoi attori.
Un’osservazione liminare di Dom Jean-Pierre Longeat, abate di Ligugé, merita di essere meditata: “Se cerchiamo solo delle parole per dire Dio, è inutile che stiamo qui.
Noi cerchiamo della parole per fare l’esperienza di Dio, e per formare insieme il Corpo di Cristo…” Nel cristianesimo, dire e fare, cioè vivere, non sono separabili.
(1) autore di Dieu n’est pas ce que vous croyez, Bayard, 2009 (2) autore di Moine des cités.
De Wall Street aux Quartiers-Nord de Marseille, Ed.
Nouvelle Cité 2008 Gli atti del Forum saranno inviati gratuitamente su semplice richiesta a panorama@bayardpresse.com di Béatrice Bazil in “La Croix” del 6 luglio 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)

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