Card. Bagnasco: “La Chiesa non fa politica ma sui valori dei cattolici non si tratta”

Intervista ad Angelo Bagnasco Eminenza, con la reazione fredda del quotidiano della Conferenza episcopale Avvenire alla nascita del Terzo polo non c’è il rischio di uno spostamento a destra dei vescovi italiani? “Non c’è alcuno spostamento, perché la Chiesa non è un’agenzia politica chiamata a prendere parte alla battaglia dei partiti.
Il suo compito è quello di annunciare la salvezza di Cristo e quindi di elevare la coscienza morale e spirituale della società, rendendo Dio presente nello spazio pubblico.
Solo da coscienze maggiormente avvertite della nobiltà e della gratuità che esige l’arte della politica, sarà possibile sperare trasformazioni profonde e non semplici cambiamenti”.
Il cardinale Angelo Bagnasco, 67 anni, capo dei vescovi italiani, è come sempre in viaggio fra Roma, dove presiede la Conferenza episcopale italiana, e Genova, sua arcidiocesi, città in cui ha lavorato fin dai primi Anni sessanta e che segue con particolare attenzione.
La stessa attenzione che Bagnasco riserva alle vicende che competono non solo al suo ufficio religioso, ma anche al rapporto fra i vescovi e il mondo della politica.
Nessuno degli eventi chiave della settimana è sfuggito al suo occhio attento di pastore d’anime (molti a Genova ricordano ancora gli anni in cui “don Angelo” guidava i giovani scout), e di uomo al vertice del potere ecclesiastico.
Lo si capisce dalla completezza con cui risponde, nell’intervista concessa a Repubblica, a tutte le domande.
Senza sottrarsi a quelle più scomode.
Lei ha detto, dopo il voto sulla mozione di sfiducia, che è importante garantire la governabilità.
Ma la Chiesa italiana si sente obbligata a difendere Berlusconi? “La governabilità è quello che tutti chiedono per affrontare i nodi irrisolti.
La mia preoccupazione e quella dei vescovi è che il nostro Paese da troppo tempo è inceppato nei suoi meccanismi decisionali.
A noi certo non competono suggerimenti tecnico-politici, ma un invito pressante a cambiare registro, a fare tutti un passo in avanti verso soluzioni utili e il più possibile condivise.
Il rischio è che, diversamente, il Paese inceppato finisca per disarticolarsi con una parte che resta agganciata all’Europa e l’altra che se ne distacca definitivamente.
Non può lasciarci indifferente questo epilogo: significherebbe spaccare l’Italia”.
C’è però anche chi, nella base cattolica, tra i fedeli, manifesta dubbi, e accusa la Chiesa di essere schiacciata sul governo…
“La Chiesa è ben cosciente che i cattolici sono presenti in tutti gli schieramenti politici, dunque nella maggioranza e nell’opposizione.
A tutti indistintamente fa presente una serie di valori non  divisivi, ma unitivi perché costituiscono – al di là delle legittime differenze – il terreno dell’unità politica dei cattolici.
Su molte cose in politica ci sono buoni compromessi, ma ci sono valori che non sono soggetti a mediazioni perché non sono parcellizzabili.
L’elenco è noto e cioè la vita, la famiglia, la libertà di educazione e ancor prima quella religiosa.
La Chiesa non cerca l’interesse di una parte della società ma è attenta al bene comune.
Il suo sguardo, me lo lasci dire, va ben oltre le contingenze di un momento”.
Ma lei non ha l’impressione che oggi per lo Stato ci sia il rischio di rinchiudersi nel Palazzo, finendo per estraniarsi dalle esigenze dei cittadini? “Questa crisi non è semplicemente politica, ma culturale, anzi spirituale.
Occorre ricostruire l’ethos profondo del popolo che è la “spina dorsale” senza la quale lo Stato non sta in piedi.
L’anima della nostra gente, che nasce dal Vangelo, è stata “terremotata” dal relativismo e dal consumismo”.
Eminenza, il Natale si avvicina mentre l’Italia affronta un difficile momento anche economico e sociale.
Che cosa ha da dire la Chiesa? “Già da qualche anno, prima che scoppiasse la crisi economica, l’aumento della distribuzione dei pacchi-viveri nelle parrocchie mi aveva impressionato.
La situazione da allora non è migliorata”.
Di “cultura del dono” parla espressamente l’enciclica “Caritas in veritate”.
A Natale si fanno bellissimi regali impacchettati, ma il dono non ha forse anche un altro tipo di significato? “Dimenticare che la gratuità, e dunque la fiducia reciproca e la collaborazione senza interessi personali, sono coefficienti decisivi del buon andamento economico, è stato purtroppo una sventura, pagata come sempre dai più deboli.
Il dono è un mettersi in gioco che caratterizza tutti: dall’imprenditore all’operaio perché sempre di più, ad esempio, il lavoro sia un’impresa sociale”.
Siamo anche alla fine dell’anno, e il 2010 non è stato facile per la Chiesa, soprattutto per le accuse sullo scandalo della pedofilia.
Il Papa ha usato spesso parole molto chiare e dure.
Ma come uscire definitivamente da questo caso? “La strada è tracciata ed è quella della riforma.
Non la riforma delle strutture, ma delle persone, cioè dei cuori.
La Chiesa è chiamata anzitutto ad avvicinarsi alle ferite psicologiche, morali e spirituali delle vittime coinvolte.
Non sarà mai abbastanza per chi ha sofferto così nel profondo.
I preti che si sono macchiati di questo peccato che è pure un reato, oltre a rendere conto del proprio comportamento nei riguardi della giustizia umana e di quella ecclesiastica, vanno anche aiutati a ritrovare l’equilibrio di sé stessi.
E’ stato obiettivamente uno scandalo fino a qualche mese fa non immaginabile, ma è possibile uscirne”.
Un bilancio dell’anno per la Chiesa? “E’ difficile tracciarlo.
Ciò che muove la Chiesa è annunciare il Vangelo e testimoniarlo con la vita.
Nonostante polemiche ricorrenti, non cerca posizioni di rendita o privilegi di sorta.
Il fatto che ogni anno domandi a tutti, credenti e non credenti, di destinare l’8 per mille delle tasse per le sue necessità, attesta che non ha alcuna garanzia.
D’altra parte, il servizio delle parrocchie, la passione educativa di tanti religiosi nelle scuole, la cura dentro centri sanitari, la presenza in situazioni a rischio (droga, alcool, gioco d’azzardo, usura…) dice che la Chiesa riceve, ma offre ancor di più agli italiani.
Mi accorgo, quando si trasferisce un parroco o si accorpa una parrocchia, che a mobilitarsi spesso non sono solo i praticanti, ma anche quelli che stanno a distanza.
Segno che la presenza della Chiesa sul territorio è apprezzata, attesa, difesa”.
in “la Repubblica” del 19 dicembre 2010

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