Sant’Antonio

È la quarta volta in otto secoli che sant’Antonio si mostra.
Alle nove e venti di sera, nel buio della basilica chiusa, davanti ai suoi frati che lo salutano commossi con un applauso.
Il teschio lascia immaginare zigomi alti, mento sporgente, occhi infossati.
Lo scheletro, tenuto insieme da un filo trasparente, rivela – secondo gli studi anatomici del professor Meneghelli – che il santo più ritratto e scolpito al mondo era alto un metro e 70, molto per l’epoca.
Ha rotule ampie e appiattite, segno delle tante ore trascorse in ginocchio.
Ha tibie e peroni robusti, segno delle tante ore trascorse in cammino.
Non manca nulla: prova che le innumerevoli reliquie di sant’Antonio sparse in molte chiese tra Italia e Francia sono false.
L’argano ha sollevato la lastra di marmo, gli operai hanno aperto la cassa di rovere.
Ora i frati estraggono l’urna di vetro e, all’apparire del santo, innalzano l’inno «O gloriosa Domina», l’ultimo che Antonio cantò prima di spirare, sul carro che lo portava da Camposanpiero a Padova: «O gloriosa tra le vergini, splendente più che stella…».
Non ci sono giornalisti, tranne gli inviati del Corriere e di Avvenire; testimone dell’avvenimento è il notaio Marco Silva, che scrive l’atto di traslazione.
Sei frati portano la teca in spalla, verso l’abside: Giovanni Voltan, vicario provinciale, Giuseppe Casarin, rettore del seminario, Alberto Fanton, direttore della biblioteca, due teologi romeni, Eugen Blajut e Joan Butacu, e Ugo Sartorio, direttore del Messaggero di Sant’Antonio, 520 mila abbonati in Italia e nove edizioni in tutte le lingue della cristianità.
La cristianità è rappresentata in ogni sfaccettatura, sul sagrato.
L’ostensione comincia stamane all’alba, ma fin da ieri Padova è piena di pellegrini.
Bambini con le maschere di carnevale.
Suore arrivate in bicicletta.
Parrocchiani scesi dai bus che riempiono il Prato della Valle.
Portoghesi ansiosi di ricordare che il santo si chiamava in realtà Fernando Martim de Bulhoes ed era di Lisbona.
Zingari, molto devoti ad Antonio, che considerano il patrono delle cause impossibili.
Quando, il 10 ottobre 1991, tre uomini mascherati rubarono il reliquiario con la mandibola, le indagini puntarono sui rom, che reagirono indignati: come avrebbero potuto profanare le spoglie del loro santo? Due mesi dopo, la reliquia fu ritrovata in un campo presso l’aeroporto di Fiumicino.
Una voce, mai verificata, volle che fossero stati proprio gli zingari a mettere gli inquirenti sulla pista giusta.
L’urna traballa appena sulle spalle dei frati, seguiti dai ceri accesi e dalle telecamere del Tg1.
Rito medievale e tecnologia, latino e foto con i telefonini.
I confratelli intonano le litanie: «Sant’Antonio, gloria del Portogallo, prega per noi; amico di Cristo, prega per noi; entusiasta seguace di Francesco, prega per noi…».
Il corpo percorre il deambulatorio, sale gli scalini della cappella delle reliquie, viene adagiato su una semplice grata di ferro battuto, coperta da un drappo rosso e uno giallo.
Sono le dieci di sera, i frati recitano la compieta: «Gesù, luce da luce/ sole senza tramonto/ tu rischiari le tenebre/ nella notte del mondo…».
Da fuori arriva il suono delle campane.
A Padova sono attesi almeno 200 mila fedeli in una settimana.
L’avanguardia è già pronta a passare i quattro metal-detector ed entrare in basilica.
Molti sono venuti con gli ex-voto — fotografie di auto accartocciate, con il superstite che vi appoggia la mano come su un trofeo — o con suppliche a volte molto specifiche.
Chi invoca la guarigione dal fuoco di sant’Antonio, e non sa di aver sbagliato santo (quello del fuoco è l’altro, Antonio abate ed eremita).
Chi cerca la fede nuziale, chi un assegno perduto, chi uno sposo (i frati conservano la lettera giunta vent’anni fa dal Sud America e scritta da una signora che, indispettita con il santo che non trovava marito alla figlia, gettò la sua statuetta per strada.
Un passante ne fu colpito in testa.
Era il futuro genero).
Sant’Antonio, com’è noto, fa trovare le cose.
Una credenza nata dall’invocazione con cui nella notte i frati chiudono il rito: «Si quaeris miracula, mors, error, calamitas….» «Si quaeris» significa appunto «se cerchi»: nella tradizione popolare, Antonio divenne il santo delle cose perdute.
Quando fu ritrovata la mandibola, si parlò anche di un furto ordinato da Felice Maniero, il boss del Brenta, e di un suo successivo ravvedimento.
I frati considerarono che fosse stato Antonio a ritrovare la sua stessa reliquia.
Il ministro provinciale Giovanni Cappelletto ricorda che la prima volta fu san Bonaventura da Bagnoregio ad aprire la cassa, l’8 aprile 1263, e a trovare miracolosamente incorrotta la lingua con cui Antonio, grande oratore, pronunciava i suoi leggendari sermoni.
Nel 1350 il legato pontificio Guy de Boulogne collocò il corpo nella Cappella dell’Arca, e per oltre sei secoli nessuno lo toccò più.
Nel 1981, a 750 anni dalla morte, l’ostensione partì in sordina.
Il primo giorno si creò un flusso continuo di visitatori, ma l’attesa non superava la mezz’ora.
Poi i pellegrini aumentarono, e il portale sinistro venne riservato a loro; l’attesa era già di due ore.
Quindi i frati dovettero costruire un labirinto di transenne di legno, per regolare un flusso del tutto inatteso.
Dopo due settimane si doveva attendere una notte intera per avvicinare il santo.
L’ostensione fu prolungata di altri 15 giorni; alla fine a Padova giunsero un milione di fedeli.
È un pezzo d’Italia poco raccontato, che torna a mobilitarsi in queste ore.
Meno ardente rumoroso di quello che si rivolge a padre Pio (San Giovanni Rotondo contende a Padova lo status di terzo luogo più visitato della cristianità, dopo San Pietro e Lourdes); diverso anche da quello che va ad Assisi per san Francesco che non fa miracoli.
Antonio, uomo di cultura, dottore della Chiesa, è divenuto il santo degli umili, che ne hanno reinventato la figura.
«Come taumaturgo, come rifugio della fantasia e della mente, sant’Antonio è una creazione del popolo – ha scritto 29 anni fa Ferdinando Camon -.
Perciò l’esplosione del caso san’Antonio è uno dei momenti in cui si può calare un colpo di sonda nel popolo, fin dentro al suo cuore».
Per assistere i fedeli sono già arrivati 500 volontari: la milizia dell’Immacolata, la Pia Confraternita dei macellai, la Gioventù francescana, e pure 120 uomini della Protezione civile, molto congratulati da tutti.
La bandiera pontificia sventola accanto al tricolore, a ricordare che la basilica appartiene al Vaticano; il che acconsentì all’allora direttore del Messaggero padre Placido Cortese, di salvare molti ebrei – prima che la Gestapo lo portasse via a morire sotto le torture nella Risiera di San Saba -, e più di recente agli spacciatori di penetrare indisturbati nel chiostro, fino quando i frati hanno ottenuto di poter comunicare con la polizia.
Folla pure al Pedrocchi, dove si offre il caffé a tutti gli Antonio e le Antonietta, e senza chiedere la carta di identità.
Sono quasi le undici quando i frati salutano il loro santo, accarezzando e baciando l’urna: «Il Signore ci conceda una notte serena e un riposo tranquillo, vengano i santi angeli a custodirci nella pace»- Il corpo resterà visibile sino a sabato sera.
quando sarà ricollocato definitivamente nella Cappella dell’Arca, tra i marmi abbaccinanti di Tullio Lombardo e Sansovino appena restaurati.
Fino ad allora una web-cam lo mostrerà 24 ore su 24 a chi non può venire di persona.
«Si è squarciato il velo della storia, ed è apparso un corpo» disse nell’81 il ministro provinciale.
«Antonio è uscito dalle pagine dei libri per diventare una presenza vera, viva in mezzo a noi» commenta ora padre Ugo.
«Ostentazione» l’ha chiamate per sbaglio un tg locale.
Un lapsus che i frati hanno trovato indicativo: Stanotte sant’Antonio ci mostra la differenza tra farsi vedere ed essere visti».
in “Corriere della Sera” del 15 febbraio 2010