43° Rapporto Censis

“La società italiana è una società testardamente replicante.
Quel ‘non saremo più come prima’ che un anno fa dominava la psicologia collettiva è mutato in un ‘siamo sempre gli stessi'”.
Sono insolitamente venate di pessimismo le “considerazioni generali” del 43° Rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese, illustrate questa mattina dal suo presidente storico, Giuseppe De Rita.
L’Italia ha saputo resistere alla crisi meglio di altri Paesi per la nostra migliore capacità di adattamento (“galleggiamento”, diceva De Rita già 25 anni fa) e perché il sistema economico italiano è caratterizzato da una “diffusissima presenza di piccole aziende, il mercato del lavoro è elastico (si pensi al sommerso) e protetto (si pensi al lavoro fisso e agli ammortizzatori sociali), e le famiglie sono patrimonializzate”.
Ma la crisi “ha finito per rallentare il processo di uscita dal puro adattamento intravisto lo scorso anno, quando all’orizzonte si presentava quasi una ‘seconda metamorfosi’, dopo quella degli anni fra il ‘45 e il ‘75”, anche se proseguono alcuni processi di trasformazione.
Essi riguardano in primo luogo il settore terziario (istruzione compresa), che non può più essere considerato come la valvola di scarico della disoccupazione intellettuale.
Per uscire davvero dalla crisi occorre avere consapevolezza di questo, e di quanto faticoso sarà l’impegno per un “modello vocazionalmente replicante” come quello italiano.
Il “dopo”, così si concludono le considerazioni generali, parte dall’oggi.
Si tratta di una sfida faticosa, ma che non può che partire “qui e adesso”.
Il 47,7% dei genitori non incontra mai o quasi mai gli insegnanti dei propri figli.
E’ questo un altro dei dati che più colpiscono nel Rapporto Censis di quest’anno.
Inoltre il 59,7% dei genitori con figli in età scolare ritiene che il fenomeno del bullismo sia in crescita, mentre il 52% non ha fiducia nella capacità della scuola di proteggere i ragazzi da questo fenomeno.
La responsabilità però non viene scaricata sugli insegnanti: il 59,7% dei genitori intervistati ritiene infatti che gli insegnanti non abbiano gli strumenti per fermare i bulli.
I docenti, a loro volta, individuano nella scarsa motivazione degli allievi verso l’apprendimento uno dei principali problemi da affrontare in classe:  è quanto pensa il 54,4% di un campione di insegnanti neoassunti nella scuola secondaria di II grado.
Lo stesso esito, d’altra parte, aveva avuto qualche anno fa una grande inchiesta condotta in Francia in migliaia di scuole.
Il problema, da noi come in altri Paesi, è destinato a complicarsi perché si intreccia con la crescente perdita di attrattiva della professione docente, che risulta essere la meno preferita tra i giovani che si affacciano all’università.
Nell’insolitamente limitato spazio dedicato quest’anno all’istruzione, spicca un’indagine realizzata dal Censis sugli atteggiamenti degli studenti nei confronti della scuola.
Il dato è impressionante: “Circa l’80% dei giovani di età compresa tra 15 e 18 anni si è chiesto almeno una volta che senso abbia stare a scuola o frequentare corsi di formazione professionale”.
Dominano il disincanto e lo scetticismo, prosegue il Rapporto: “il 92,6% dei giovani in uscita dalla scuola secondaria di II grado ritiene che anche per chi ha un titolo di studio elevato il lavoro sia oggi sottopagato, il 91,6% pensa che sia agevolato chi può avvalersi delle conoscenze”.
Ma anche il 63,9% degli occupati giudica inutili le cose studiate a scuola per il proprio lavoro.
La visione pessimistica travalica i confini dell’universo educativo: “il 75% dei laureati e l’85% dei non laureati di 16-35 anni pensano che in Italia vi siano scarse possibilità di trovare lavoro grazie alla propria preparazione”, e comunque i laureati italiani in economia e in ingegneria hanno stipendi annui inferiori rispettivamente del 20,2% e del 21,4% rispetto a di quelli medi europei.
Forse la scarsa considerazione per il valore degli studi concorre a spiegare il fatto che il 19,3% dei giovani italiani di 18-24 anni non sia in possesso di un diploma e non sia più in formazione, contro il 12,7% di Francia e Germania, il 13% del Regno Unito, il 14,8% medio europeo.
I dirigenti scolastici, benché li ritengano utili, segnalano anche le criticità nell’adozione di percorsi di alternanza scuola-lavoro per i propri studenti.
La più diffusa tra queste (55,1%) è quella delle risorse finanziarie, cui si correla la difficoltà ad offrire percorsi di alternanza a tutti gli studenti interessati (53,6%).
Negli ultimi tre anni questo tipo di esperienze sono cresciute nelle scuole: nel 2008/2009 hanno attivato l’alternanza scuola-lavoro più di 1.000 istituti coinvolgendo 69.375 studenti (+51,2% rispetto al 2006-2007).
La probabilità di poter usufruire di un’esperienza di alternanza scuola-lavoro è stata superiore nelle aree del Centro-Nord, che raccolgono il 53,5% degli studenti coinvolti nel 2008-2009, e soprattutto nelle regioni del Nord-Ovest, dove il raccordo con il mondo del lavoro è probabilmente agevolato dalla incidenza maggiore di realtà aziendali di media e grande dimensione.
Anche la durata e l’articolazione delle esperienze è ampiamente differenziata nelle diverse aree del Paese.
   La presentazione del rapporto annuale Censis è stata anche l’occasione per scoprire anche alcuni aspetti “di nicchia” per quello che attiene la scuola in Italia.
Un segmento di indagine ha riguardato l’opinione dei capi d’istituto delle scuole superiori italiane sull’alternanza scuola-lavoro: per il 53,2% dei dirigenti aver fatto una piccola esperienza lavorativa durante il percorso di studi aumenta, alla fine delle superiori, le possibilità occupazionali dei diplomati.
Non solo, queste iniziative aiutano a contrastare la dispersione e motivano i ragazzi.
In particolare, il 71,2% dei presidi sottolinea che il ricorso all’alternanza scuola-lavoro permette agli studenti di avere una migliore conoscenza del mondo del lavoro, il 55,9% pensa che consenta di offrire un curriculum di studio più adeguato alle esigenze delle imprese, il 53,2% ritiene che aumenti le opportunità occupazionali dei diplomati.
Positiva è anche la ricaduta che l’attivazione di questa opzione ha sull’ambiente scolastico: per il 52,9% dei presidi l’introduzione dell’alternanza influenza i livelli motivazionali, contrastando i fenomeni di dispersione, e per il 51,0% funge da stimolo ad una continua innovazione della didattica.
Le iniziative di contatto con le imprese, poi, secondo oltre un terzo dei presidi, aumentano l’attrattività di un istituto (33,9%), mentre un altro 30,6% ne evidenzia l’influenza positiva sul livello di aggiornamento e specializzazione dell’intero corpo docente.

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