Chiesa for Africa

“Africa, alzati e cammina!”.
L’esortazione lanciata dal messaggio finale del sinodo dei vescovi africani è eloquente: il continente deve trovare in sé le risorse per cambiare.
Il documento, che fa la sintesi dei lavori svolti in Vaticano dal 4 al 25 ottobre 2009, contiene numerosi appelli.
Ai cattolici impegnati nella vita pubblica i vescovi dicono che l’Africa ha bisogno di politici santi, in grado di combattere la corruzione e di lavorare per il bene comune.
Coloro che non hanno questo orientamento si convertano o abbandonino la scena pubblica, per non danneggiare la popolazione e la credibilità della Chiesa cattolica.
Alla comunità internazionale viene chiesto di trattare l’Africa con rispetto.
Occorre cambiare le regole del gioco economico, mettere fine al dramma del debito estero, fermare lo sfruttamento delle multinazionali che distruggono le risorse naturali africane, e non nascondere dietro agli aiuti intenzioni per niente nobili.
Ai maschi cattolici è chiesto di essere uomini veri, mariti e padri responsabili, capaci di difendere la vita fin dal concepimento e di educare i figli.
“La povertà – si legge – spesso rende i genitori incapaci di prendersi buona cura dei propri figli, con conseguenze disastrose”.
Ma le parole più accorate sono per le donne cattoliche, definite “la spina dorsale della nostra Chiesa locale”.
A loro i vescovi africani si rivolgono come alla risorsa più preziosa della società.
Il loro contributo “dovrebbe essere riconosciuto e promosso, non solo in casa come moglie e madri, ma più generalmente anche nella sfera sociale”, il che vale per la Chiesa stessa, chiamata a creare “strutture concrete per assicurare la reale partecipazione delle donne a livelli appropriati”.
Alle donne la Chiesa chiede di prendere parte ai progetti di sviluppo delle Nazioni Unite, tenendo ben desto però il senso critico: “Munite di una buona informazione e della dottrina sociale della Chiesa, dovreste fare in modo che le buone idee non vengano distorte dagli spacciatori di ideologie straniere moralmente velenose che riguardano il genere e la sessualità umana”.
Ricordando poi che in molti paesi africani più del sessanta per cento della popolazione ha meno di venticinque anni, i vescovi si rivolgono alle nuove generazioni chiedendo loro di essere “strumenti di pace” all’avanguardia nel cambiare la società.
“Voi giovani adulti – si legge – siete spesso trascurati, lasciati alla deriva come bersagli per ideologie e sette di ogni tipo.
Voi siete reclutati per pratiche violente.
Esortiamo tutte le Chiese locali a considerare l’apostolato verso i giovani come un’alta priorità”.
Circa il problema aids il sinodo ribadisce che la Chiesa non ritiene possibile una soluzione attraverso la distribuzione di profilattici.
Più importante è riconoscere “il successo già ottenuto dai programmi che consigliano l’astinenza tra i non sposati e la fedeltà tra gli sposati”.
I giovani non permettano a nessuno di dire che non è possibile autocontrollarsi.
Di fronte alla situazione politica del continente, se da un lato i vescovi si congratulano con i paesi che sono riusciti a introdurre la democrazia, dall’altro esprimono desolazione per le numerose situazioni di conflitto, sempre mescolate alla corruzione e alla bramosia di potere.
Anche in questo caso la denuncia è netta: qualunque sia l’incidenza degli interessi stranieri, dietro queste situazioni c’è sempre “la vergognosa e tragica collusione dei leader locali, politici che tradiscono e svendono le loro nazioni, uomini d’affari corrotti che sono in collusione con multinazionali rapaci, commercianti e trafficanti di armi, agenti locali di organizzazioni internazionali pagati per diffondere ideologie letali alle quali essi stessi non credono”.
“Che ne è – si chiedono i vescovi – del nostro tradizionale senso di vergogna?”.
E’ tempo di cambiare.
Infine la denuncia del fanatismo religioso, che si sta diffondendo ed è causa di rovina in molte parti dell’Africa.
“Dalla cultura religiosa tradizionale gli africani hanno assorbito un profondo senso di Dio creatore”, portandolo anche nella loro conversione al cristianesimo e all’islam.
Ma troppo spesso questo fervore religioso “è male indirizzato dai fanatici o manipolato dai politici”.
Ecco perché occorre tornare a una fede genuina, ben sapendo che nel rapporto tra le religioni dialogo e collaborazione sono possibili solo se c’è rispetto reciproco.
Ai paesi islamici i vescovi ricordano che “la libertà di religione comprende anche la libertà di condividere la propria fede, di proporla, di accettare e accogliere coloro che si convertono”.
Le nazioni che per legge impediscono tale libertà privano i loro cittadini di un diritto umano fondamentale.
“Poiché i cristiani che decidono di cambiare la loro religione sono ben accolti tra le fila musulmane, ci deve essere reciprocità in questo campo.
Nel nuovo mondo che sta nascendo abbiamo bisogno di dare spazio a ogni fede perché contribuisca pienamente al bene dell’umanità”.
in “Europa” del 24 ottobre 2009

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