Sugli approcci musulmano e cattolico alle ermeneutiche sacre

Sugli approcci musulmano e cattolico alle ermeneutiche sacre di Aref Ali Nayed Nel nome di Dio, il Compassionevole.
Sotto il titolo “Anche l’islam ha i suoi Lutero.
Ma una riforma è lontana” Sandro Magister scrive: “Al cuore della crisi attuale del mondo musulmano vi sono le differenti concezioni della tradizione e il rifiuto di leggere il Corano con metodi scientifici, oltre che teologici.
[…] La questione della tradizione […] appare ancor più bruciante per l’islam.
Essa è strettamente intrecciata con quella dell’interpretazione del Corano.
Le correnti fondamentaliste ispirate dai Fratelli Musulmani, ad esempio, idealizzano l’islam delle origini, lo assumono come unico modello e rifiutano di applicare al Corano criteri di lettura scientifici, oltre che teologici.
Sono rari e isolati i musulmani che leggono il Corano con metodi analoghi a quelli applicati alla Bibbia dall’esegesi cristiana.
I grandi centri della teologia islamica, come l’università al-Azhar del Cairo, sono molto diffidenti nei confronti delle metodologie moderne di analisi del testo sacro.
I frutti di una lettura critica del Corano provengono quasi esclusivamente da studiosi non musulmani”.
Magister offre quindi “la lezione di un grande islamologo, Michel Cuypers” presentando un suo testo sotto il titolo: “La tradizione vista dalla fede musulmana, ieri e oggi”.
Un testo che Magister vede in questa luce: “Nel finale, Cuypers mostra quanto sia importante che il mondo islamico si apra a una lettura critica del Corano”.
Lo spirito dell’introduzione di Magister e il modo in cui egli legge la parte conclusiva del testo di Cuypers riflettono la stessa attitudine che alcuni studiosi e dirigenti cattolici hanno manifestato in più occasioni, negli ultimi anni, riguardo al Corano e alle sue interpretazioni.
Essi parlano dallo stesso punto di vista, per loro indiscutibile, che nel recente passato ha prodotto la tesi infondata secondo cui il dialogo cattolico-musulmano è ostacolato dalla convinzione musulmana che il Corano è l’autentica parola di Dio (che esaltato Egli sia).
È importante sottolineare, ancora una volta, che tale tesi chiaramente soffre di un doppio blocco: primo, il fraintendimento e l’errata esposizione dell’insegnanento islamico riguardo al Corano; secondo, l’errata esposizione della dottrina cattolica sulle Sacre Scritture, falsamente messa in contrasto col primo.
Ora spiego come questo doppio blocco opera.
Il Corano è l’autentico parlare (kalam) del nostro supremo unico Dio (Allah), rivelato al profeta Maometto (che la pace sia su di lui) e fedelmente conservato attraverso un’ininterrotta trasmissione comunitaria (tawatur).
Il Corano è eterno (qadim) in essenza, in origine, e come essenziale prerogativa divina a parlare (kalamullh as kalam nafsi).
Ma esso è anche storico nel suo svelarsi, come atto di rivelazione (kalamullah as kalam lafzi), ed è stato rivelato al Profeta (che la pace sia su di lui) in profondo intreccio con le viventi circostanze e gli eventi storici della comunità musulmana (tanzil, tanjim).
Per saperne di più su questo si veda “Al-Insaf” dell’Imam Abu Bakr Al-Baqillani, morto nel 1013 dell’era cristiana.
Gli studiosi musulmani hanno sempre fondato le loro interpretazioni ed esegesi del Corano sulla base di varie scienze incluse le scienze delle “circostanze della rivelazione” (asbabulnuzul), sulle scienze della storia del Corano (tarkhulqur’an) e su un accurato studio delle forme linguistiche familiari agli arabi del tempo della rivelazione (ulumulugha).
Gli studiosi musulmani hanno sviluppato un apparato comprensivo delle metodologie storico-critico-linguistiche per la comprensione del Corano (ulumulqur’an).
Per saperne di più su questo si veda “Al-Itqan” dell’Imam Jalaloddin Al-Suyuti, 1445-1505 dell’era cristiana.
Gli studiosi musulmani sono stati sempre consapevoli del fatto che l’interpretazione, la comprensione e l’esegesi dell’eterno parlare di Dio sono forme dell’umano, strenuo sforzo (ijtihad) che deve essere obbligatoriamente rinnovato in ogni generazione credente.
La solenne fede nell’eternità e nella divina autorità del Corano non ha mai trattenuto gli studiosi musulmani dal trattare con esso storicamente e linguisticamente.
Al contrario, la fede nella verità rivelante del Corano è stata la vera motivazione di vite spese nel diretto studio professionale del parlare di Dio.
Per saperne di più su questo si veda “Kitab Al-Ilm” dell’Imam Ibn Abd Al-Barr.
Imponenti biblioteche di opere interpretative ed esegetiche, teologiche, giuridiche, etiche e spirituali sono state prodotte da successive generazioni di studiosi, dai tempi iniziali fino ad oggi.
È precisamente sulla base della loro fede solenne che il Corano è l’autentica parola di Dio che studiosi musulmani, nel corso dei secoli, hanno impegnato in un dialogo ebrei, cristiani, zoroastriani, indù, buddisti ed anche scettici e naturalisti.
Tutti i principali manuali di teologia musulmana, siano essi maturidi, ashariti, mutaziliti, jafariti, ismailiti o ibaditi, mostrano una notevole larghezza di vedute e chiamano a confronto attivamente le credenze di filosofi, ebrei, cristiani, zoroastriani, indù e buddisti.
In modo interessante, l’apparato storico-critico-linguistico dell’esegesi musulmana, in sintesi con le antiche metodologie ermeneutiche talmudiche di un Rabbi Hillel e di un Rabbi Ishmael, è stato trasmesso attraverso studiosi ebrei sefarditi come Hasdai ben Abrahan Crescas (1340-1410/1411) e Baruch Spinoza (1632-1677) fino ai primi maestri dell’ermeneutica protestante, come Johann August Ernesti (1707-1781).
Il “criticismo alto” e il “metodo storico-critico” che discendono dall’ermeneutica della riforma protestante sono stati direttamente influenzati dall’ermeneutica talmudica andalusa che risale a Spinoza, a sua volta imbevuta dell’ermeneutica coranica degli studiosi musulmani andalusi.
È anche interessante notare che le metodologie e le conclusioni del criticismo protestante sono state, per secoli, rifiutate dalla Chiesa cattolica.
Questo rifiuto è stato particolarmente sistematico ed esplicito nell’enciclica “Providentissimus Deus” di Leone XIII, del 1893, e nell’enciclica antimodernista “Pascendi dominico gregis” di Pio X, del 1907.
Sotto la forte pressione della scuola biblica protestante, alla fine la Chiesa cattolica, ma solo malvolentieri, parzialmente e a determinate condizioni, ha accettato alcuni aspetti del metodo storico-critico.
Papa Benedetto XV diede inizio a questo processo di accettazione condizionata nella “Spiritus Paraclitus” del 1920, ma  fu solo con la “Divino afflante Spiritus” di papa Pio XII, del 1943, che gli studiosi cattolici sono stati finalmente autorizzati a mettersi al passo con gli stadi avanzati degli studi biblici protestanti.
Per questo è abbastanza ironico che alcuni studiosi cattolici ora accusino i musulmani di un’immaginaria chiusura, che descrive invece molto meglio la chiusura pre-1943 del Vaticano alle metodologie storico-critiche.
Ciò che è ancor più ironico è il fatto che alcuni cattolici non solo inventano una simile chiusura musulmana, ma arrivano ad attribuirla alla fede musulmana nella divina autorità del Corano, cioè al fatto che il Corano è l’autentica parola di Dio.
Ciò è davvero strano, perché induce a pensare che chi crede nella divina autorità di un testo sacro non può essere un interlocutore di dialogo in materie teologiche! Nel sostenere questa strana tesi sul credo musulmano riguardo al Corano, alcuni cattolici sembrano dimenticare le posizioni dogmatiche cattoliche romane riguardo alle Sacre Scritture.
Almeno dal Concilio di Trento, il magistero della Chiesa cattolica romana ha ripetutamente affermato una dottrina molto netta, quasi impositiva, riguardo alla divina rivelazione, e ha sempre tenuto fermo che “la santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr.
Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa” (Concilio Vaticano II, “Dei Verbum”, III).
La “Providentissimus Deus” di papa Leone XIII del 1893 mette in chiaro che una forte fede nella divina ispirazione delle Scritture cristiane è stata “sempre ritenuta e apertamente professata” dalla Chiesa: “Questa rivelazione soprannaturale, secondo la fede universale della Chiesa, è contenuta sia nelle tradizioni non scritte, sia anche nei libri scritti che vengono chiamati sacri e canonici, perché, essendo stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati affidati alla Chiesa.
Questo certamente, riguardo ai libri dell’uno e dell’altro Testamento sempre ha ritenuto e apertamente professato la Chiesa: ben noti sono gli importantissimi documenti antichi, nei quali si afferma che Dio, il quale parlò prima per mezzo dei profeti, poi egli stesso e quindi per bocca degli apostoli, è anche autore delle Scritture che sono chiamate canoniche, e che sono oracoli e locuzioni divine, una lettera inviata dal Padre celeste trasmessa per mezzo degli autori sacri al genere umano, peregrinante lontano dalla patria”.
È vero che la Chiesa cattolica dal 1943 e specialmente dal Vaticano II, alla luce delle acquisizioni dell’esegesi storico-critica, ha cominciato a dare rilievo al coinvolgimento degli autori umani delle Scritture.
Tuttavia, anche nella “Dei Verbum” l’ispirazione inerrante di Dio continua a essere affermata dalla Chiesa, come sempre.
Anche la “Divino afflante Spiritus” di papa Pio XII del 1943 riafferma lo stesso credo, ed espande invece che restringere le posizioni sulla Scrittura della “Providentissimus Deus” di papa Leone XIII del 1893.
Pertanto, posti i dogmi della Chiesa cattolica riguardo alla Scritture cristiane, è strano e davvero ironico che alcuni studiosi cattolici continuino a sostenere che affermare la divina ispirazione di un testo sacro sia un ostacolo al dialogo teologico! Se una simile fede nella divina ispirazione trattiene i suoi aderenti dal dialogo teologico, allora gli studiosi cattolici dovrebbero avere la stessa inibizione che alcuni di loro immaginano abbiano gli studiosi musulmani.
Inoltre, la tradizionale posizione sunnita su come accostarsi rispettosamente al Corano e alla tradizione non è così distante dalla posizione cattolica su come accostarsi rispettosamente alle Sacre Scritture e alla tradizione.
Lo stesso papa Benedetto XVI ha recentemente raccomandato la tipica cautela cattolica riguardo a un eccessivo entusiasmo per le metodologie storico-critiche: “Lo studio scientifico dei testi sacri è importante, ma non è da solo sufficiente perché rispetterebbe solo la dimensione umana.
Per rispettare la coerenza della fede della Chiesa l’esegeta cattolico deve essere attento a percepire la Parola di Dio in questi testi, all’interno della stessa fede della Chiesa.
In mancanza di questo imprescindibile punto di riferimento la ricerca esegetica resterebbe incompleta, perdendo di vista la sua finalità principale, con il pericolo di essere ridotta ad una lettura puramente letteraria, nella quale il vero Autore – Dio – non appare più” (Discorso alla pontificia commissione biblica, 23 aprile 2009).
È davvero ironico che alcuni cattolici consiglino ai musulmani di produrre dei “Lutero” e degli approcci di “stile luterano” al Corano.
Tali consiglieri dovrebbero ricordare piuttosto gli strenui sforzi fatti dalla Chiesa cattolica per arginare le conseguenze dell’affermazione del principio protestante della “Sola Scriptura”.
Sfortunatamente, alcune posizioni cattoliche riguardo agli approcci musulmani al Corano sembrano basate sull’infondata tavola dei contrasti “islam contro cristianesimo” sviluppata e sostenuta da taluni “esperti dell’islam”.
È essenziale, per amore di una mutua comprensione e per amore di Dio, fermare la costruzione di queste nocive false distinzioni, e smetterla di fare prediche all’islam circa la saggezza nell’uso del metodo storico-critico per studiare il Corano.
Dio sa cos’è il meglio! Il testo di fr.
Michel Cuypers al quale Nayed ha qui replicato: > Anche l’islam ha i suoi Lutero.
Ma una riforma è lontana
(7.9.2009) E un precedente servizio di www.chiesa con un’intervista di Cuypers a “Il Regno”, sull’applicazione al libro sacro dell’islam dei metodi di analisi letteraria già applicati alla Bibbia: > Per una rinnovata lettura del Corano: la lezione di un grande islamologo (4.6.2007) __________ La nota con cui Aref Ali Nayed criticò su www.chiesa la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona: > Due studiosi musulmani commentano la lezione papale di Ratisbona (4.10.2006) E il successivo botta e risposta tra Nayed e il professor Alessandro Martinetti, che gli aveva replicato: > Chiesa e islam.
A Ratisbona è spuntato un virgulto di dialogo
(30.10.2006) La critica di Nayed a Benedetto XVI che aveva battezzato il convertito Magdi Allam, “un infelice episodio che riafferma la famigerata lezione di Ratisbona”: > Storia di un convertito dall’islam.
Battezzato dal papa in San Pietro
(28.3.2008) E la replica a Nayed del professor Pietro De Marco: > Per il Vaticano re Abdullah pesa più di 138 dotti musulmani (31.3.2008) __________ Il libro dell’islamologo Massimo Campanini citato in apertura del servizio: Massimo Campanini, “L’esegesi musulmana del Corano nel secolo ventesimo”, Morcelliana, Brescia, 2008.
__________ Il documento più aggiornato e più autorevole sull’esegesi cattolica delle Sacre Scritture, pubblicato nel 1993 dalla Pontificia Commissione Biblica per ordine di Giovanni Paolo II e con la prefazione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger: > L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa __________ Sulla corrente teologica asharita, alla quale Aref Ali Nayed dichiara di appartenere, sono uscite interessanti valutazioni sul numero 35-36 del 2008 di “Nuntium”, la rivista della Pontificia Università Lateranense, dedicato a “Le sfide di Ratisbona.
Fede, ragione, ricerca e dialogo”.
In particolare, tracciano profili differenziati della teologia asharita lo studioso musulmano Mustafa Abu Sway e gli islamologi François Zabbal, Adel Theodor Khoury (citato da Benedetto XVI nella lezione di Ratisbona) e Miguel Ángel Ayuso Guixot, preside del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica di Roma.
Sandro Magister Nella sua udienza generale di mercoledì 14 ottobre Benedetto XVI ha portato ad esempio Pietro il Venerabile, il grande abate di Cluny che nel secolo XII, per “favorire la conoscenza” dell’islam, “provvide a far tradurre il Corano”.
Oggi, all’inizio del secolo XXI, accade qualcosa di più.
Un numero crescente di studiosi cristiani applica al Corano, per approfondirne la comprensione, i metodi di lettura già applicati alla Bibbia: fondati non solo sulla tradizione e sulla teologia, ma anche sull’analisi storico-critica e letteraria.
Questi ultimi metodi hanno faticato ad essere approvati dalla Chiesa cattolica, ma da molti decenni sono divenuti di uso comune.
Fanno parte di quelle “conquiste dell’illuminismo” accolte dalla Chiesa che Benedetto XVI – in un importante discorso del 22 dicembre 2006 – ha auspicato vengano accolte anche dal mondo islamico.
In effetti, l’esegesi musulmana del Corano ha conosciuto nell’ultimo secolo “un’intensa attività interpretativa non inferiore a quella medievale”, come ha documentato tra altri l’islamologo Massimo Campanini in un saggio pubblicato nel 2008 dalla Morcelliana col titolo: “L’esegesi musulmana del Corano nel secolo ventesimo”.
Ma l’esegesi musulmana contemporanea – mostra Campanini – si esplica soprattutto nell’applicare il Corano all’agire umano, ai comportamenti pratici; è eminentemente “un’ermeneutica della prassi”.
Per il resto, essa non innova in nulla rispetto ai metodi di esegesi tradizionali dell’islam.
*** Uno degli studiosi cattolici che applica al Corano gli strumenti della moderna esegesi, specie letteraria, è fr.
Michel Cuypers, che vive al Cairo.
Il suo ultimo libro, uscito due anni fa in Francia, è di grande suggestione.
È dedicato all’analisi di un capitolo del Corano: “Le festin: une lecture de la sourate al-Mâ’ida [Il banchetto: una lettura della sura al-Mâ’ida]”, e reca la prefazione dell’eminente studioso musulmano Mohamed-Ali Amir-Moezzi.
Di Cuypers www.chiesa ha rilanciato tempo fa un’ampia intervista e, più di recente, un articolo sul ruolo della tradizione nell’interpretazione islamica del Corano, pubblicato anche da “L’Osservatore Romano”.
In quest’ultimo articolo, nel descrivere gli ultimi sviluppi dell’interpretazione del Corano in campo musulmano, Cuypers ha mostrato come vi siano oggi dei “modernisti” che tendono a escludere il ricorso alla tradizione, con questa conseguenza: “Il Corano diventa dunque la sola fonte realmente normativa dell’islam.
Una ‘sola Scriptura’ che non è priva d’influssi da parte del modello protestante (alcuni modernisti sono volentieri chiamati i ‘Lutero dell’islam’).
Questa liberazione dalle maglie della tradizione permette d’ipotizzare una nuova esegesi del Corano, oggi richiesta da alcuni intellettuali musulmani.
Le ‘occasioni della rivelazione’, attinte agli hadîth, non sono più il metodo privilegiato d’esegesi, come nel passato.
Un’esegesi critica è ormai possibile.
“Questa posizione aperta ha tuttavia come contropartita il fatto di situare gli intellettuali musulmani modernisti ai margini della corrente generale dell’islam, che resta massicciamente legata alla sunna come norma di fede e legge, organicamente connessa al Corano.
Si comprende così che le differenti concezioni dei musulmani rispetto alla tradizione sono al cuore della crisi attuale dell’islam”.
*** Ebbene, a questo passaggio dell’articolo di Cuypers reagisce con veemenza – nella nota riprodotta più sotto – uno studioso musulmano che appartiene invece a una corrente dell’islam sunnita molto ortodossa e legata alla tradizione: la corrente asharita, il cui fondatore fu il teologo Abu ‘l-Hasan Al-Ashari (873-935) e il cui massimo esponente fu Abu Hamid Al-Ghazali (1058-1111), molto critico del suo contemporaneo Averroè, da lui accusato di razionalismo.
L’autore della nota è Aref Ali Nayed (nella foto), un nome familiare ai lettori di www.chiesa.
In questo sito egli pubblicò nel 2006 una doppia replica al memorabile discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, e due anni dopo un commento polemico alla conversione dall’islam al cristianesimo di Magdi Allam, battezzato da papa Joseph Ratzinger nella notte di Pasqua del 2008.
Nayed è una personalità di rilievo nel dialogo tra la Chiesa cattolica e l’islam.
Nato in Libia, ha studiato filosofia della scienza ed ermeneutica negli Stati Uniti e in Canada, ha seguito corsi alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e ha tenuto lezioni al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica.
È consulente all’Interfaith Program dell’università di Cambridge.
Ha diretto il Royal Islamic Strategic Studies Center di Amman, in Giordania.
Ha fondato quest’anno a Dubai un centro di studi islamici chiamato Kalam Reseasrch & Media.
Ma, soprattutto, Nayed è uno dei 138 saggi musulmani che hanno indirizzato a Benedetto XVI nel 2007 la celebre lettera “Una Parola comune”.
Anzi, ne è stato il principale estensore.
Ha fatto parte della delegazione di cinque rappresentanti musulmani che il 4 e 5 marzo 2008 hanno concordato col Vaticano i successivi forum interreligiosi di dialogo, al primo dei quali ha partecipato in posizione eminente.
Insomma, con queste credenziali viene naturale classificare Nayed tra le personalità musulmane più impegnate ed “aperte” nel dialogo con la Chiesa di Roma.
Ma a leggere i suoi interventi si ricava anche che nel suo dialogare Nayed non attenua affatto gli elementi di contrasto.
Anzi, sembra quasi che li esasperi.
La lezione di Ratisbona è per lui “infamous”.
Battezzando Magdi Allam il papa ha compiuto un atto “infelice”.
E così via.
Anche nel replicare a Cuypers, Nayed adotta toni battaglieri.
Ne elude completamente le ampie e fini argomentazioni, per appuntarsi su una sola frase.
E da questa prende spunto per rovesciare sulla Chiesa cattolica, in materia di esegesi biblica, le stesse accuse di oscurantismo tipiche della polemica laicista.
E, viceversa, per rivendicare all’islam la primogenitura di quei metodi storico-critici e di analisi letteraria divenuti poi appannaggio dell’esegesi ebraica, protestante, illuminista e infine cattolica.
La lettura di questo testo inviato da Nayed a www.chiesa è istruttiva, perché fotografa il reale livello a cui si trova oggi il dialogo intellettuale tra la Chiesa cattolica e l’islam.
Gli abbracci e le dichiarazioni di pace che si producono in tante cerimonie interreligiose non devono illudere.
Nayed è persona coltissima ed amabile.
Così come lo è Cuypers, piccolo fratello di Gesù.
Ma tra i due mondi culturali c’è un abisso.
Il servizio di www.chiesa col quale Nayed polemizza è il seguente: > Anche l’islam ha i suoi Lutero.
Ma una riforma è lontana
(7.9.2009)

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