La scuola? Un cambiamento senza fine

Questi, secondo l’Aimc, gli elementi di maggior rilievo di questo situazione: “immersione in un cambiamento senza fine, ben diverso da una positiva innovazione graduale e condivisa; mancanza di standard nazionali di riferimento che assicurino un minimo di tenuta del sistema; espansione e consolidamento della tendenza a considerare il criterio organizzativo dominante rispetto alle finalità della scuola, come succede, ad esempio per il tempo scuola prestabilito che condiziona quello su cui centrare l’apprendimento invece di fare il contrario, cioè stabilire l’essenziale da apprendere e determinare poi, di conseguenza, il tempo occorrente per realizzarlo”.
Ne derivano alcune conseguenze di non poco conto – sostiene l’Aimc – che vanno a consolidare un trend degli ultimi anni poco promettente, che contribuisce alla delegittimazione del ruolo istituzionale della scuola e all’erosione, nell’opinione pubblica, del credito sociale degli insegnanti.
Nel documento conclusivo non poteva mancare uno specifico riferimento alle recenti riforme che interessano la scuola primaria, maestro unico e compresenze.
“L’unitarietà dell’apprendimento rimanda all’unitarietà della persona e della cultura e si presuppone venga garantita dall’unicità del docente, mentre nei fatti si realizza solo grazie a una progettazione coerente attenta alla personalizzazione e alla pluralità dei percorsi formativi di ciascuno, capace di muoversi nelle dinamiche proprie dell’elaborazione culturale e sociale dando essenziali coordinate di senso”.
“La compresenza è assimilata al solo spreco di risorse e non colta come elemento di qualità, nell’assicurare la centralità dell’apprendimento.
È importante invece considerare cosa non si riuscirà più a realizzare in favore degli alunni perché le opportunità formative introdotte in questi anni costituiscono la vera novità delle ultime riforme”.
——————————————————————————– TuttoscuolaFOCUS lunedì 16 febbraio 2009 Incertezza e confusione connotano l’attuale momento della scuola e determinano una sorta di destabilizzazione anche nei suoi professionisti.
E’ il parere del Consiglio Nazionale dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici, riunitosi a Roma nei giorni scorsi, che si è interrogato sullo “stato d’animo” della scuola in questo momento e sui segnali per il futuro.
Dove va la scuola? di Consiglio Nazionale AIMC ——————————————————————————– http://aimcsicilia.wordpress.com/ Dove va la scuola? Pronunciamento del Consiglio Nazionale Aimc Il CN dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici, riunitosi in Roma nei giorni 7-8 febbraio u.
s., si è interrogato sullo “stato d’animo” della scuola in questo momento e sui segnali per il prossimo futuro.
Quanto emerso, viene qui organizzato intorno a tre nuclei, con una struttura comune: il senso del nucleo, la sua argomentazione anche attraverso esemplificazioni, la postazione associativa e il suo ruolo ora problematizzzante, ora propositivo.
Clima che si vive (il presente ossia il “dove” operiamo) Incertezza e confusione sono termini che connotano l’attuale momento della scuola e che determinano una sorta di destabilizzazione anche nei suoi professionisti.
Gli elementi/indicatori di maggior rilievo possono essere sinteticamente indicati nei seguenti: – immersione in un cambiamento senza fine, ben diverso da una positiva innovazione graduale e condivisa; – mancanza di standard nazionali di riferimento che assicurino un minimo di tenuta del sistema; – espansione e consolidamento della tendenza a considerare il criterio organizzativo dominante rispetto alle finalità della scuola; un esempio per tutti: il tempo scuola prestabilito che condiziona quello su cui centrare l’apprendimento invece di stabilire l’essenziale da apprendere e determinare poi, di conseguenza, il tempo occorrente per realizzarlo.
Ne derivano alcune conseguenze di non poco conto che vanno a consolidare un trend di questi ultimi anni poco promettente, che contribuisce alla delegittimazione del ruolo istituzionale della scuola e all’erosione, nell’opinione pubblica, del credito sociale dei professionisti di scuola.
Chiave di lettura (quali chiavi di lettura per interpretare gli eventi) Il CN ha individuato come chiave di lettura, al fine della comprensione e interpretazione di quanto segnalato, una sorta d’incapacità a “reggere” la complessità con conseguente ricorso a categorie e strategie di semplificazione e riduzione, per cui c’è da chiedersi se i punti di approdo siano realmente in grado di risolvere il problema.
Fra le tematiche emerse, che vanno a supportare tale affermazione: – la complessità della valutazione che viene affrontata attraverso la reintroduzione del voto con il rischio, magari non voluto ma possibile nei fatti, di perdere di vista il processo e mirare solo all’esito espresso in termini di prestazioni predefinite; – l’unitarietà dell’apprendimento, che rimanda all’unitarietà della persona e della cultura, che si presuppone venga garantita dall’unicità del docente, mentre nei fatti si realizza solo grazie a una progettazione coerente attenta alla personalizzazione e alla pluralità dei percorsi formativi di ciascuno, capace di muoversi nelle dinamiche proprie dell’elaborazione culturale e sociale dando essenziali coordinate di senso; – la ricchezza del modello pedagogico e didattico non riconducibile alla sola questione del tempo scuola, un’affermazione che trova conferma nell’idea di pensare di garantire il tempo pieno solo attraverso le 40 ore di tempo scuola; – l’autonomia delle istituzioni scolastiche che pare percepita come esito del semplice accostamento dell’autonomia dei singoli soggetti, più che come attenzione ai legami propri dell’interazione fra di loro e con la comunità sociale; – l’innovazione vista come esito finale di tanti e notevoli cambiamenti che non sono mai stati sistematicamente valutati, con la conseguente mancata capitalizzazione dei passi di avanzamento realizzati; – la compresenza assimilata al solo spreco di risorse e non colta come elemento di qualità, nell’assicurare la centralità dell’apprendimento.
È importante invece considerare cosa non si riuscirà più a realizzare in favore degli alunni perché le opportunità formative introdotte in questi anni costituiscono la vera novità delle ultime riforme.
Le conseguenze che ne derivano: – il prospettare una visione “velata”, quasi “virtuale” (staccata dalla realtà) della scuola, che perde la connotazione, per l’Aimc irrinunciabile, di comunità educativa; – l’esasperazione del localismo, che può anche essere di eccellenza (se misurato secondo il rispetto degli standard nazionali), ma che comunque rompe i legami di sistema.
Una visione di scuola OGM? (quale futuro per la scuola?) Si avverte da tempo l’esigenza di un quadro normativo di riferimento che superi l’approccio “a frammento” (presa in carico di singoli aspetti, non interrelati); assuma il nuovo rapporto Stato/Regioni/Enti e autonomie locali contestualizzando l’autonomia scolastica in termini educativo-formativi e istituzionali, non alienabili ad altri soggetti; ridisegni uno stato giuridico, ormai obsoleto, dei docenti.
Fra le proposte di legge in campo, la 953, firmataria l’on.
Aprea, sembra la sola a presentare un disegno organico di autogoverno della scuola e stato giuridico dei docenti.
Per decidere se la si può considerare strumento contenente potenziali-tà per valorizzare la scuola e i suoi professionisti, è opportuno esaminarla alla luce di una idea-guida che faccia da chiave di lettura: il diritto all’educazione di cui l’ alunno-persona è portatore, ossia il diritto a una scuola che assicuri a ciascuno il pieno sviluppo e educhi progressivamente a quella competenza di vita che fa sentire responsabili della comunità e del mondo in cui si vive.
In rapporto a questo diritto primario sono da considerare anche i diritti di cui sono portatori i professionisti di scuola.
Tutto ciò che è favorente in tal senso è da accettare (anche se costa impegno, fatica di “cambiare”, rischio di esporsi alla valutazione sociale) e tutto ciò che ostacola è da respingere (anche se più comodo, più gratificante, meno rischioso), pur assicurando il dovuto rispetto della normativa.
Esaminando la proposta di legge Aprea attraverso questa chiave di lettura, riscontriamo: – l’uso di una terminologia e la scelta di soluzioni che richiamano l’idea di una scuola centrata più sulla dimensione amministrativa che su quella comunitaria, con il rischio di limitare il senso di appartenenza e di cittadinanza della scuola e dei soggetti che la compongono.
Occorre una proposta che contemperi partecipazione della comunità territoriale nell’organo di governo della scuola, tutela della natura della scuola stessa, garanzia della legittimità degli atti; – l’accentuazione di una prospettiva economicistica che va ben al di là dell’esigenza del risparmio indotta dalla congiuntura del momento, che rischia di svuotare una visione pedagogico-educatica garante della natura propria del mandato costituzionale dell’istituzione scolastica; – lo schiacciamento della scuola primaria (che pure insieme a quella dell’infanzia è riconosciuta di eccellenza in campo internazionale) ad opera del modello della scuola secondaria, con una visione estremamente riduttiva della primarietà; quasi una scuola piccola per bambini piccoli, che hanno bisogno solo delle strumentalità del “leggere, scrivere e far di conto”.
Come arginarlo? È da coltivare anzitutto nella mentalità e nell’atteggiamento dei professionisti, perchè non si riconsegnino a questa logica apparentemente rassicurante, come avverrebbe ad esempio enfatizzando la proposta di articolazione del Collegio Docenti in dipartimenti disciplinari o sottovalutando il valore e la dignità della cultura di scuola.
Uno spazio percorribile è quello della riqualificazione del tirocinio nel corso di laurea in termini di autentico partenariato università-scuola e non semplicemente università-docente accogliente, riprendendo, aggiornandola, la ricca elaborazione associativa a suo tempo portata avanti in proposito.
L’Associazione intravede tre aspetti, in particolare, che preoccupano e necessitano di attenzione, in quanto segni del debole profilo che la professione assumerebbe se la proposta di legge andasse in porto così com’è e che rischia di render ancor meno allettante la scelta di dedicarsi all’insegnamento.
 Una linea di sviluppo della professione che, nonostante le dichiarazioni contrarie, si verrebbe a profilare comunque gerarchizzata, perché i tre “livelli” previsti non configurano solo una progressione economica, ma l’attribuzione di compiti e la possibilità di accesso a funzioni che, di fatto, pongono alcuni in posizione sovraordinata rispetto ad altri.
Non si vuole certo sostenere l’omogeneità professionale ed è giusto che chi lavora di più e meglio abbia di più; non sembra, però, promettente che la progressione verso il livello di “esperto” avvenga prevalentemente attraverso compiti e funzioni che allontanano dalla diretta relazione educativa.
Siamo coscienti di un contesto di mobilità professionale che comporta l’esigenza di confrontarsi con i criteri di sviluppo della professione applicati per lo meno in altri Paesi dell’Occidente europeo, ma l’uso stesso della terminologia proposta potrebbe ingenerare nelle famiglie interrogativi inquietanti: ogni bambino/ragazzo ha diritto alla qualità alta e intera dell’insegnamento, che si potrebbe leggere invece presente in “quote diverse” nell’insegnante iniziale e in quello esperto.
 Una evidente debolezza del Collegio dei Docenti riscontrabile nelle scarne righe dedicate alle sue potestà e funzioni, che sembrano privilegiare aspetti tecnico-funzionalistici nonostante a tale organo competa l’elaborazione del Pof.
In particolare, non è mai affermato che i processi decisionali riguardanti la scuola nel suo divenire devono essere collegiali.
Occorre mantenere la collegialità nell’intera linea decisionale, lasciando alle articolazioni (la cui composizione va affidata al regolamento di ciascuna scuola) compiti istruttori.
Il Collegio va potenziato senza renderlo, però, l’unico organismo “politico” e contemperando le sue potestà con l’esigenza di salvaguardare la partecipazione delle famiglie e della comunità.
Una proposta praticabile potrebbe essere il rendere vincolanti le linee di indirizzo del Consiglio che il Collegio deve assumere e tradurre nell’elaborazione del Pof, così che l’unico elemento per non adottarlo da parte del Consiglio stesso sia il mancato rispetto di tali linee.
 Un vuoto pesante: la mancanza di un momento/contesto/organismo di autotutela della professione che garantisca la possibilità di accesso alle procedure concorsuali previa “validazione” del possesso delle competenze che caratterizzano l’insegnante.
Chi può certificare che l’aspirante al concorso è un professionista? L’Organismo tecnico regionale, composto di rappresentanti della professione, potrebbe intervenire in sede di discussione e formulazione del giudizio con attribuzione del punteggio da parte della commissione di valutazione, per portare a compimento (sulla base di indicatori nazionali della “qualità” del lavoro d’aula) il processo sia di autovalutazione che di valutazione della comunità professionale locale.
Va tenuto presente che l’aspetto più problematico per una seria valutazione del docente è proprio quello relativo al lavoro d’aula, fatto anche di modalità comunicative e relazionali, clima collaborativo costruito, coinvolgimento dei soggetti in apprendimento… aspetti non direttamente rilevabili attraverso gli esiti di apprendimento degli alunni e per i quali occorre condividere necessari indicatori.
Relativamente alla formazione in servizio, si ritiene giunto il momento di chiedere con forza che essa, in qualsiasi momento della “carriera”, torni ad essere un dovere e non solo un diritto dei docenti e sia legata in percentuale consistente agli obiettivi che l’istituzione scolastica di appartenenza dichiara nel Piano dell’Offerta Formativa Infine, l’Aimc segnala una carenza registrabile in tutte le proposte in campo.
Non si fa mai riferimento a un organismo che possa dirimere eventuali conflitti.
Non vorremmo leggere questo come poca stima e attenzione ai processi decisionali che sono il cuore pulsante dell’autonomia.
Se ci crediamo, occorre pensare anche a chi e come possano essere gestite prevedibili conflittualità affinché la scuola non diventi campo di inutili diatribe da risolversi di caso in caso.
Il Consiglio Nazionale Aimc Roma, 8 febbraio 2009

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