NATIVITA’ DI S. GIOVANNI BATTISTA

Prima lettura:Isaia 49,1-6

Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». Io ho risposto: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio». Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra».

      

 

v Nel libro di Isaia sono inseriti quattro brani lirici, detti i canti del servo, i quali presentano un servo di Dio perfetto, adunatore del suo popolo e luce delle nazioni, che predica la vera fede, che espia con la sua morte i peccati del popolo ed è glorificato da Dio.

Riguardo a questi quattro poemetti gli esegeti non sono d’accordo sulla loro origine e sul loro significato; anche l’identificazione del Servo è molto discussa; vi si è visto la figura della comunità di Israele, ma le caratteristiche individuali sono molto accentuate; perciò altri esegeti, che sono attualmente in maggioranza, riconoscono nel servo un personaggio storico, del passato o del presente. In questa prospettiva l’opinione più probabile è quella che identifica il servo sofferente con Isaia stesso. Alcuni pensano di poter combinare le due interpretazioni, considerando il servo come un individuo che incorpora i destini del suo popolo.

In ogni caso il servo è mediatore della salvezza futura, il che giustifica l’interpretazione messianica che è stata data a questi passi. Gesù ha evocato questi passi applicandoli a se stesso e alla sua missione (Lc 22,19-20.37; Mc 10,45).

Il brano della lettura costituisce il secondo dei canti del servo.

Questo secondo canto riprende i temi del primo (Is 48,1-8) insistendo su alcuni aspetti della missione del servo; la sua predestinazione (Is 49,1,5), la missione estesa non al solo Israele che il servo deve riunire, ma anche alle nazioni che deve illuminare (Is 49,6). Egli deve compiere una predicazione nuova che scuote (Is 19,2), che porta luce e salvezza (Is 49,6). Si accenna anche a un insuccesso del servo (Is 49,4) e viene esaltata la sua fiducia in Dio solo (Is 49,4-5) che si conclude con il trionfo finale. Il fatto che nel testo sia nominato Israele nella frase: «Mio servo sei tu, Israele» suggerisce l’ambivalenza della figura del servo, che ora è Israele, cioè tutta la comunità del popolo eletto, ora il suo capo e salvatore.

 

Seconda lettura: Atti 13,22-26

 

In quei giorni, [nella sinagoga di Antiochia di Pisìdia,] Paolo diceva:
«Dio suscitò per i nostri padri Davide come re, al quale rese questa testimonianza: “Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri”. Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù. Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di conversione a tutto il popolo d’Israele. Diceva Giovanni sul finire della sua missione: “Io non sono quello che voi pensate! Ma ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di slacciare i sandali”. Fratelli, figli della stirpe di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi è stata mandata la parola di questa salvezza».

       

 

v I capitoli 13-15 degli Atti sono come il cuore del libro; in essi avviene il passaggio dell’annuncio evangelico dai Giudei ai pagani, in modo tale che ciò che era accaduto già con Pietro nella predicazione in casa di Cornelio, ora diventa prassi abituale, e il concilio di Gerusalemme sancisce la dottrina ufficiale sulle relazioni tra i credenti in Cristo di origine ebraica. Come Pietro dopo il discorso inaugurale di Pentecoste si era rivolto dapprima agli Ebrei di Gerusalemme e poi ai pagani presenti nella casa del centurione Cornelio per annunciare il messaggio di fede su Gesù, lasciandosi condurre dagli avvenimenti provvidenziali e dall’iniziativa di Dio in essi operante, così l’apostolo Paolo prima si rivolge ai membri del popolo eletto per annunciare il messaggio della risurrezione di Gesù, poi di fronte al loro rifiuto, si rivolge ai pagani.

     Il brano della lettura è una sezione del primo grande discorso di Paolo agli Ebrei della diaspora in Antiochia di Pisidia, il secondo sarà rivolto ai pagani, ai Greci dell’areopago di Atene. Con la presente allocuzione si può dire che inizia la missione e l’opera dell’apostolo nella Chiesa primitiva, dopo quella di Pietro. Si va realizzando il programma enunciato da Gesù (At 1,8): dopo Gerusalemme e la Giudea, l’evangelizzazione si avvia verso gli estremi confini della terra. Nasce così la comunità di Antiochia di Siria (At 11,19-26) che a partire da questo momento diviene anch’essa centro di spinta missionaria. Da Antiochia di Siria parte l’avventura missionaria di Paolo che si spinge fino all’altra Antiochia, quella di Pisidia città nell’interno dell’altopiano anatolico per raggiungere la quale era necessario un viaggio lungo, faticoso e pericoloso. L’intero discorso di Paolo, che può ritenersi un paradigma della sua predicazione ai Giudei, si trova perciò collocato in un tempo forte per la Chiesa nascente.

     La prima parte traccia un compendio della storia di salvezza, dall’elezione del popolo al periodo dei giudici, al tempo della monarchia (At 13,16-21). La seconda parte da Davide passa direttamente all’annuncio di Gesù, è l’evangelo su Gesù (At 13,22-37). La terza parte proclama il perdono dei peccati e la giustificazione mediante la fede. Il passo della lettura appartiene alla seconda parte (At 13,38-41).

     L’intera seconda parte del discorso è incentrata su Gesù e la sua risurrezione. La sezione che costituisce il brano della lettura è incentrata sulla persona di Giovanni Battista, precursore di Cristo. Egli è presentato come colui che ha predicato il battesimo di penitenza; le frasi su di lui rivelano che il Battista appartiene al tempo dei profeti che preparano la venuta di Gesù. Luca ripete le frasi con le quali nel vangelo il precursore aveva presentato se stesso e insieme aveva presentato Cristo: «Ma ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di slacciare i sandali» (At 13,25).

     Questo annuncio è denominato come «parola di questa salvezza» (At 13,26). Nella persona di Gesù infatti si è realizzata la salvezza che costituiva la grande attesa della fede del popolo eletto.

 

Vangelo: Luca 1,57-66.80

 

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

 

  

Esegesi

Dopo il duplice quadro delle annunciazioni — a Zaccaria del concepimento e della nascita di Giovanni Battista, a Maria del concepimento e della nascita di Gesù — ecco ora il quadro della nascita di Giovanni e della sua circoncisione, ricco di riferimenti biblici all’antico Testamento. Con il fatto della nascita di Giovanni avviene il compimento della promessa fatta a Zaccaria suo padre nell’annunciazione datagli dall’angelo Gabriele.

L’economia della salvezza è giunta a un momento decisivo con la venuta nel mondo del precursore di Gesù; l’atmosfera di gioia e di benedizione che inquadra tutta la scena prepara l’espansione dell’allegrezza messianica e della glorificazione di Dio che sta per avvenire con la nascita di Gesù.

Il passo evangelico si struttura nel modo seguente: il parto di Elisabetta, la reazione gioiosa dei parenti e vicini; la circoncisione e imposizione del nome al bambino, la fine del mutismo di Zaccaria, la reazione dei vicini. A questo insieme, dopo la proclamazione dell’inno di Zaccaria, va congiunta la notizia finale sull’infanzia e la vita nascosta di Giovanni nel deserto.

La nascita di Giovanni: «Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio» (Lc 1,57). Con la nascita di Giovanni viene dato compimento alla promessa dell’angelo a Zaccaria: «tua moglie ti darà un figlio» (Lc 1,13). L’espressione sul compiersi del tempo indica l’attenzione dell’evangelista all’aspetto temporale storico degli avvenimenti salvifici; l’azione di Dio a favore degli uomini entra nel ritmo temporale, si accompagna alla loro storia, l’assume e così eleva il tempo e la storia degli uomini all’altezza dell’eternità. È questa la dialettica del mistero divino: entrare nell’umano, nello storico, per comunicare il divino e l’eterno.

La gioia dei parenti e dei vicini: «I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei» (Lc 1,58). Dio rende grande la sua misericordia come manifestazione del suo favore, della sua grazia, che opera la salvezza umana. I parenti e i vicini di Elisabetta non avevano ancora appreso la notizia della sua maternità durante il tempo della sua gravidanza perché la donna si era tenuta nascosta (Lc 1,24). I parenti e i vicini di Elisabetta ascoltano la notizia della nascita, vengono messi ora di fronte a una espressione della bontà e della grandezza di Dio e partecipano alla gioia che si diffonde e diviene comune.

La nascita del bambino è immersa nella gioia; si realizza ciò che l’angelo aveva detto a Zaccaria: «avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita» (Lc 1,14). Nel caso di Giovanni si tratta di un bambino nato da una donna anziana ritenuta sterile. Trattandosi del compimento della volontà divina di salvezza anche San Paolo invita i cristiani a partecipare alla sua gioia per il servizio e il sacrificio apostolico: «anche voi godetene e rallegratevi con me» (Fil 2,18). Il tema della gioia è caratteristico per il vangelo dell’infanzia e per l’intera opera di Luca.

Circoncisione e imposizione del nome: «Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati (Lc 1.59-63).

Secondo il comando di Dio ad Abramo, ripreso nella legge di Mosè, un bambino doveva essere circonciso l’ottavo giorno dalla sua nascita (Gn 17,12; Lev 12,3). La circoncisione richiama a Dio la sua alleanza e all’uomo la sua appartenenza al popolo eletto con gli obblighi che ne derivano. Per i singoli Israeliti maschi la circoncisione era il segno della dignità di membri del popolo sacerdotale regale e profetico, era la garanzia di partecipare alle benedizioni promesse da Dio e il segno distintivo dai non Israeliti.

Viene elaborata tutta una dottrina teologica riguardante la circoncisione; san Paolo la interpreta come «sigillo della giustizia nella fede» (Rm 4,11), cioè segno di una giustizia che consiste nel credere con fede vissuta. La circoncisione poteva venire eseguita da qualunque israelita; la sua importanza dispensava perfino dalla legge rigorosa del riposo sabbatico.

Nel nostro testo, secondo la consuetudine del tempo, con il rito della circoncisione è congiunta la imposizione del nome. Il passo che consideriamo costituisce una concentrazione della teologia del nome. È precisamente sulla imposizione del nome che l’evangelista fissa la sua attenzione. Il testo è costruito sulla opposizione tra la proposta umana e la scelta divina. Coloro che vengono per circoncidere il bambino seguendo le consuetudini, propongono di dare un nome presente nell’ascendenza fa-  miliare, in questo caso il nome del padre Zaccaria. Il piano di Dio è un altro, esso si rivela nell’accordo che emerge tra Elisabetta e Zaccaria, senza che fra di loro sia avvenuta comunicazione a causa del mutismo di Zaccaria. L’accordo dei genitori sullo stesso nome da assegnare al figlio esprime la loro volontà di ricordare a tutti che quel bambino indica l’iniziativa libera e gratuita di Dio; il nome sarà Giovanni, che significa: Dio è favorevole, nome che era stato rivelato dall’angelo a Zaccaria durante la visione avvenuta nel tempio (Lc 1,13). Tale nome del bambino apre uno spiraglio di luce sul segreto della sua missione futura, la benevolenza, la grazia, il favore divino verso i credenti avranno in lui l’inizio della realizzazione definitiva.

Il passo si conclude con l’annotazione: «tutti furono meravigliati». Viene così annunciato un altro tema caratteristico, la meraviglia gioiosa, l’ammirazione per le opere di Dio. La gioia e la meraviglia sono il clima operato dal dispiegarsi dell’agire salvifico di Dio entro la dimensione dello spazio e del tempo umano per realizzare il suo piano attraverso coloro che egli manda; qui il mandato da Dio è Giovanni, il precursore di Gesù.

Fine del mutismo di Zaccaria: «In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio» (Lc 1,64). Gli eventi annunciati dall’angelo a Zaccaria durante il servizio liturgico nel tempio ottengono ora il loro ultimo compimento; si tratta del segno che Zaccaria aveva domandato all’angelo e l’angelo aveva accordato dicendogli: «Sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole le quali si adempiranno a loro tempo» (Lc 1,20).

Adesso il figlio è nato, il nome stabilito è stato dato, perciò finisce per Zaccaria l’impossibilità di parlare, la sua bocca si apre, la sua lingua si scioglie, egli parla. Aveva perduto improvvisamente la parola, la riacquista ora improvvisamente e come il mutismo aveva assunto anche l’aspetto di punizione per la mancanza di fede, ora la guarigione è il segno che la sua fede è piena e matura. Questa infatti si espande in lode di Dio. La nascita di Giovanni fa sì che la bocca di suo padre si apra ed egli possa proclamare la meravigliosa azione di Dio benedicendolo. Il parlare di Zaccaria benedicendo Dio è testimonianza per tutti gli ascoltatori della sua fede e delle gesta divine.

La reazione dei vicini: «Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui» (Lc 1,65-66). Coloro che erano testimoni di questi eventi furono ripieni di timore e di riverenza, comprendendo che attraverso tutti questi segni stava accadendo un singolare prodigio e intervento di Dio.

Avevano conosciuto Elisabetta sterile e anziana, diventare madre; avevano veduto il vecchio sacerdote reso muto, divenire padre; avevano assistito all’imposizione di un nome inconsueto e inatteso, dichiarato dalla madre e confermato dal padre; erano stati spettatori dell’improvvisa loquela di Zaccaria; tutti questi fatti generavano negli animi un profondo sentimento religioso di riverenza. Tale infatti è il senso del «timore», tema frequentemente ricorrente nel vangelo di Luca. Il timore del Signore non è principalmente il sentimento della paura; esso implica anche l’amore pieno di riverenza e la disposizione d’animo alla obbedienza verso ciò che Dio comanda; esso è l’inizio e il coronamento della sapienza di fede in cui si sviluppa la relazione interpersonale tra i credenti e Dio in modo che timore e amore, sottomissione e confidenza filiale convergono fino alla coincidenza.

Questo sentimento della ristretta cerchia dei parenti e dei vicini di Zaccaria ed Elisabetta si diffonde con la notizia degli eventi in tutta la regione della Giudea. Il messaggio percorre spazi più vasti del solo ambiente in cui si è verificato l’intervento diretto di Dio; chi lo accoglie se ne fa egli stesso araldo e in tale modo di bocca in orecchi, e di orecchi in bocca l’annuncio viene divulgato. Coloro che ascoltano ripongono nel loro cuore, nella loro memoria, nella loro riflessione il contenuto del messaggio e vi trovano il nutrimento per la loro fede e la loro pietà. Così Giovanni appena nato è costituito nella sua persona un segno manifestativo, una orientazione di tutti verso Dio. La sua presenza, il suo esistere nel mondo, anche se ancora protetto dall’infanzia, è già sulla bocca e nell’animo della gente. Di lui dicevano: « Che sarà mai questo bambino?» (Lc 1,66) esprimendo un sentimento di intensa ammirazione.

L’ultima espressione: «La mano di Dio stava con lui» (Lc 1,66) significa l’efficace presenza, assistenza, protezione di Dio e la certezza dell’esito felice del compito affidato a Giovanni. La mano del Signore nella sacra Scrittura è il simbolo della forza di Dio, della sua onnipotenza che salva. Da tutti gli eventi raccontati appare che Dio assume il fanciullo sotto la sua speciale provvidenza come strumento del suo piano salvifico, le espressioni che seguono confermano e illustrano nella vita nascosta di Giovanni questa presenza e questo speciale governo divino.

La vita nascosta di Giovanni: «Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele» (Lc 1,80). Questa descrizione sulla vita dell’infanzia di Giovanni abbraccia tutto il periodo che va dalla circoncisione e imposizione del nome fino all’inizio del ministero pubblico del precursore. Viene indicata la crescita fisica e spirituale, la scelta del deserto come luogo di residenza abituale. La maturazione corporale segue le leggi della natura, ma in Giovanni lo Spirito di Dio che aveva già preso possesso di lui fin dal seno della madre (Lc 1,15) e lo aveva mosso nel sussulto dentro il seno materno al momento del saluto di Maria ad Elisabetta (Lc 1,41,44) ora prosegue la sua azione fortificandolo in ordine alla missione pubblica.

Anche la scelta del deserto come ambiente di soggiorno può ascriversi alla mozione dello Spirito, come sarà per Gesù stesso (Lc 4,1). Essendo Giovanni figlio di famiglia sacerdotale la sua destinazione ordinaria sarebbe stata quella di dedicarsi al servizio liturgico del tempio; ma la chiamata di Dio lo destina al compito di essere l’araldo dell’epoca messianica, il precursore di Cristo. La permanenza nel deserto come luogo di solitudine in cui si è più vicini a Dio costituisce la preparazione di Giovanni alla sua missione.

 

Meditazione 

L’evento della nascita di Giovanni Battista illumina gli altri testi biblici: il testo di Isaia ne diviene profezia («il Signore mi ha plasmato suo servo fin dal seno materno»: Is 49,5), mentre il passo degli Atti è sintesi del ministero di Giovanni e accenna alla sua  «nuova nascita», se così possiamo chiamare il suo diminuire per lasciar crescere il Messia di cui egli è il precursore (At 13,25).

L’importanza capitale di Giovanni nell’economia cristiana appare dal fatto che solo di lui e di Maria (oltre che, ovviamente, di Gesù) la chiesa celebra liturgicamente la nascita.

Giovanni, il cui nome significa «il Signore fa grazia», è figlio della vecchiaia e figlio della grazia. Vecchiaia dei suoi genitori e sterilità della madre sono l’alveo di impotenza su cui si posa la grazia del Signore, la sua misericordia: «Il Signore aveva esaltato in Elisabetta la sua misericordia» (Lc 1,58). Giovanni, con il suo venire al mondo, narra la misericordia di Dio ai suoi genitori: il suo nascere è per Zaccaria ed Elisabetta dono insperato che giunge contro ogni attesa e previsione. E l’esperienza della grazia, quando si abita nell’impotenza, infonde coraggio. Il coraggio con cui Elisabetta, contro ogni consuetudine famigliare e uso sociale, impone il nome «Giovanni» al bambino. E Zaccaria appoggia la moglie contro le contestazioni del parentado. Da dove vengono il coraggio della vecchia donna che era chiamata «la sterile» (Lc 1,36) e la lucidità amorosa del vecchio sacerdote reso muto? Forse è il coraggio che nasce dall’aver traversato molte tribolazioni, dall’essere stati umiliati e provati, arrivando a conoscere ciò che nella vita di fede è veramente essenziale: la misericordia di Dio.

I genitori di Giovanni sono uomini resi poveri e umili dalla vita: sono dei «poveri di sé», dei «poveri in spirito», cioè persone libere, che non hanno un ego da difendere e che sanno dunque vedere la realtà e se stessi con occhi semplici e sguardo puro, non inquinato. Questa lezione dell’essenziale, di ciò che è veramente prezioso, è spesso appresa da chi ha conosciuto la fatica e la durezza del vivere e le ha sopportate con pazienza. E conoscere l’essenziale dona parresia e forza, capacità di affrontare con libertà e coraggio ostacoli, contestazioni e diffidenze.

Giovanni è anche figlio della fede provata. Elisabetta e Zaccaria erano «giusti davanti a Dio» (Lc 1,6) ed erano rimasti giusti anche in mezzo alle prove. Noi certamente pensiamo che per loro deve essere stato difficile discernere la giustizia di Dio: perché quella sterilità? Perché quella vecchiaia senza futuro? Giovanni è anche il figlio di questa fede che accetta di perseverare, di questa fedeltà che a noi può sembrare folle o eroica, ma che per i due genitori era forse semplicemente il quotidiano cammino da percorrere senza tante storie e lamenti, senza accuse rivolte a Dio o all’ingiustizia della vita.

Certo, Zaccaria ha conosciuto anche cedimenti nella fede: in lui mutismo e uso della parola accompagnano rispettivamente incredulità e fede (cfr. Lc 1,18-20; Lc 1,63-64). Impossibilitato a benedire il popolo al termine della liturgia al Tempio (Lc 1,22), ora egli benedice Dio avendo riconosciuto il suo intervento (Lc 1,64).

Credere all’intervento benedicente di Dio nella miseria della propria vita è la condizione per trasmettere agli altri la benedizione di Dio.

Nel rapporto genitori-figli, generare implica anche il dare il nome. E dare il nome è fare una promessa e assegnare un compito: tu vivrai la tua vita, vivrai nel tuo nome, realizzerai la tua unicità. Dare il nome è esercitare un potere e un’autorità disponendosi a spogliarsi di tale autorità e di tale potere.

Se Giovanni crescerà nel deserto (Lc 1,80) e nel deserto svolgerà il suo ministero e la sua predicazione annunciando l’imminenza del Regno e della visita di Dio, egli era già il figlio dell’intervento di Dio nel deserto simbolico della vecchiaia e della sterilità dei suoi genitori. E come i suoi genitori avevano saputo imparare l’essenziale da ciò che patirono e soffrirono, anch’egli saprà discernere e mostrare l’essenziale ai suoi contemporanei indicando in Gesù di Nazaret il Messia.

 

L’immagine della domenica

    


LAUDATO SI’

Laudato si’, mi’ Signore,

per sor’aqua, la quale è multo utile

et humile et pretiosa et casta. 

(Dal Cantico delle Creature)


 

Preghiere e racconti

La nascita di Giovanni

La Chiesa festeggia la natività di Giovanni, attribuendole un particolare carattere sacro. Di nessun santo, infatti, noi celebriamo solennemente il giorno natalizio; celebriamo invece quello di Giovanni e quello di Cristo. Giovanni però nasce da una donna avanzata in età e già sfiorita. Cristo nasce da una giovinetta vergine. Il padre non presta fede all’annunzio sulla nascita futura di Giovanni e diventa muto. La Vergine crede che Cristo nascerà da lei e lo concepisce nella fede. Sembra che Giovanni sia posto come un confine fra due Testamenti, l’Antico e il Nuovo. Infatti che egli sia, in certo qual modo, un limite lo dichiara lo stesso Signore quando afferma: «La Legge e i Profeti fino a Giovanni» (Lc 16, 16). Rappresenta dunque in sé la parte dell’Antico e l’annunzio del Nuovo. Infatti, per quanto riguarda l’Antico, nasce da due vecchi. Per quanto riguarda il Nuovo, viene proclamato profeta già nel grembo della madre. Prima ancora di nascere, Giovanni esultò nel seno della madre all’arrivo di Maria. Già da allora aveva avuto la nomina, prima di venire alla luce. Viene indicato già di chi sarà precursore, prima ancora di essere da lui visto. Questi sono fatti divini che sorpassano i limiti della pochezza umana. Infine nasce, riceve il nome, si scioglie la lingua del padre. Basta riferire l’accaduto per spiegare l’immagine della realtà.

Zaccaria tace e perde la voce fino alla nascita di Giovanni, precursore del Signore, e solo allora riacquista la parola.

Che cosa significa il silenzio di Zaccaria se non la profezia non ben definita, e prima della predicazione di Cristo ancora oscura? Si fa manifesta alla sua venuta. Diventa chiara quando sta per arrivare il preannunziato. Il dischiudersi della favella di Zaccaria alla nascita di Giovanni è lo stesso che lo scindersi del velo nella passione di Cristo. Se Giovanni avesse annunziato se stesso non avrebbe aperto la bocca a Zaccaria. Si scioglie la lingua perché nasce la voce. Infatti a Giovanni, che preannunziava il Signore, fu chiesto: «Chi sei tu?» (Gv 1, 19). E rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1, 23). Voce è Giovanni, mentre del Signore si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è voce per un po’ di tempo; Cristo invece è il Verbo eterno fin dal principio.

(Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo: Disc. 293, 1-3; PL 38, 1327-1328).

 

Giovanni Battista

Il personaggio

 

Luca ci racconta con molti particolari l’annuncio solenne della nascita di Giovanni. Come dice A. Nocent: «Così Dio vuole sottolineare che egli stesso prende l’iniziativa della salvezza del suo popolo. Egli stesso sceglie gli strumenti e se ne serve a modo suo. L’annuncio della nascita di Giovanni è solenne: esso avviene nell’inquadratura liturgica del tempio. Fin dalla designazione del nome del bambino, “Giovanni”, che significa: “Dio è favorevole”, tutto diventa una precisa preparazione divina dello strumento che il Signore si è scelto. Il suo arrivo non passerà inavvertito e la sua nascita sarà accolta con gioia da molti (Lc 1,14). Sarà un uomo consacrato e, come prescrive il libro dei Numeri (6,1), si asterrà dal vino e dalle bevande inebrianti. Il nazireato è già segno della sua vocazione di asceta. Lo Spirito abita in lui dal seno di sua madre. Alla vocazione di asceta si aggiunge quella di guida del popolo (Lc 1,17). Egli precederà il Messia, funzione che Malachia attribuiva a Elia (3,23). Nella sua circoncisione un fatto significativo indica ancora la scelta divina: nessuno nel suo parentado porta il nome di Giovanni (Lc 1,6), ma il Signore vuole che sia chiamato così, sconvolgendo le usanze. È il Signore che lo ha scelto, è lui che dirige il gioco e conduce il suo popolo».

L’incontro fra Giovanni e Gesù, tra il Precursore e il Salvatore, avviene già prima della nascita. È l’unione tra i due Testamenti, nel momento in cui l’Antico lascia il passo al Nuovo. Al significativo particolare dell’annuncio delle loro nascite, si aggiunge l’incontro nel seno materno, quando Maria visita Elisabetta e la creatura di questa le salta di gioia nel grembo (Lc 1,39-45). Gesù causa gioia, Giovanni la riceve. Le loro madri, partecipi della gioia, intonano ognuna un canto di lode. Elisabetta si rivolge alla madre del suo Signore, dichiarandola benedetta tra tutte le donne; Maria, riprendendo le promesse fatte ad Abramo e alla sua discendenza, proclama la grandezza del Signore e si rallegra in Dio, suo salvatore (cf. Lc 1,46-56). Abbiamo una stretta consonanza anche nella designazione divina dei loro nomi e nell’accostamento dei loro significati: favore di Dio, salvezza di Dio; nei cantici profetici di Zaccaria e di Simeone, quando i bambini saranno circoncisi. La consonanza si farà abbraccio nel passaggio da un’èra all’altra in occasione del battesimo di Gesù da parte di Giovanni; e si farà abbraccio di congedo quando, dopo aver indicato Gesù come «l’Agnello di Dio colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29), Giovanni riconosce umilmente: «Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,30).

Dopo averci offerto tanta abbondanza di particolari sulla sua nascita, i vangeli non ci parlano più di Giovanni Battista fino al battesimo di Gesù. Alcuni autori avanzano congetture e supposizioni a questo proposito: che si fosse formato in una delle comunità di vita ascetica del deserto (gli esseni) e che alcuni membri di tali comunità lo avessero seguito come discepoli per iniziare la sua predicazione… I vangeli lo presentano mentre predica la conversione secondo la missione profetica che gli era stata affidata. Ci offrono alcuni dettagli (per esempio Mt 3,1-12) dai quali deduciamo la sua personalità: vita austera, penitente, radicale; uomo sincero e incorruttibile, esigente e coerente. L’abbigliamento, il cibo, il modo di parlare ci rivelano la figura del profeta di vecchio stampo.

Punto di contraddizione, trascinerà masse di persone semplici in sincera ricerca, ma si scontrerà con l’opposizione delle classi privilegiate, che vedevano vacillare la loro posizione, se le dure denunce di Giovanni, tanto scarne quanto giuste, avessero sortito il loro effetto. La fine del Battista, la decapitazione, ne è una drammatica testimonianza (Mc 6,17-29).

Nessun altro personaggio ha avuto il privilegio che egli ottenne, dal momento che Gesù stesso gli dedicò un panegirico: « Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! E allora che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. Egli è colui, del quale sta scritto: “Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via davanti a te”. In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11,2-11; Lc 7,24-30). Proprio queste parole di Gesù, che riassumono ed esaltano la figura di Giovanni, ci danno l’occasione di addentrarci nella descrizione della missione a lui affidata.

 

La sua missione

 

Gesù non poteva essere più esplicito nell’applicare a Giovanni le parole del profeta: «Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero». Giovanni Battista è il segno dell’irruzione di Dio in mezzo al suo Popolo. Come aveva proclamato il padre Zaccaria intonando il Benedictus (Lc 1,67-69), il Signore visita e redime il suo popolo realizzando le promesse. Egli è il Precursore e il suo ruolo è «preparare la via al Signore». Il compimento di questa missione si riassume a sua volta nella frase che i vangeli ricordano come inizio della sua predicazione: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».

Ma, per quanto importante, la missione di Giovanni non finisce qui, bensì raggiunge il suo punto culminante nel duplice incontro che abbiamo citato prima: il battesimo di Gesù e la designazione di Cristo da parte di Giovanni come l’Agnello di Dio. Dicevamo che è l’incontro e il passaggio da un’alleanza all’altra. Il battesimo di Giovanni era battesimo di acqua in segno di penitenza per i propri peccati. Quello di Gesù sarà un battesimo «in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3,1-12): brucerà il peccato, ma anche la morte, sua nefasta conseguenza; sorgerà la nuova luce e lo Spirito infonderà la vita nuova. Coloro che rinasceranno a questa vita rinasceranno alla vita stessa di Dio, saranno fratelli di Cristo e partecipi del suo trionfo e della sua risurrezione. In questo senso Gesù diceva che «il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui (Giovanni)» (Mt 11,11).

Questo aspetto viene simboleggiato, con le rispettive differenze, dalle date che la liturgia segnala per la nascita di Gesù e di Giovanni. Da una parte i due personaggi, strettamente uniti, che dividono in due il calendario coincidendo con i solstizi d’inverno (25 dicembre) e d’estate (24 giugno). Dall’altra Giovanni, come luce splendente dell’Antico Testamento, ha la sua festa nel giorno più lungo dell’anno. Tuttavia non può riuscire a dominare la notte; egli non è la luce ma il testimone della luce (Gv 1,8). Domani la notte comincerà a essere un po’ più lunga di oggi, sempre un po’ di più… fino alla notte di Natale, la più corta. Si direbbe che le tenebre abbiano vinto, ma non è così. Cristo nasce oggi. Egli è la luce, il nuovo sole e perciò domani il giorno sarà un po’ più lungo, un po’ di più… e la luce vincerà le tenebre.

Anche l’altro momento è particolarmente significativo. «In modo ancora più positivo – dice A. Nocent – Giovanni dovrà indicare colui che è già presente ma che ancora non si conosce (Gv 1,26) e che egli addita quando lo vede venire da lui: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Giovanni corrisponde e vuole corrispondere a ciò che è stato detto di lui e predetto per lui. Deve testimoniare che il Messia è presente. Il modo con cui lo indica già esprime ciò che il Cristo rappresenta per lui: è “l’Agnello di Dio”. Il Levitico nel capitolo 14 descrive l’immolazione dell’agnello in espiazione dell’impurità legale. Leggendo questo passo, san Giovanni evangelista pensa al servo del Signore descritto da Isaia nel capitolo 53 e che porta su di sé i peccati d’Israele. Giovanni Battista, indicando il Cristo ai suoi discepoli, già lo vede come la vera Pasqua che supera quella dell’Esodo (12, 1) e dalla quale l’universo otterrà la salvezza». A partire da questo momento si mette in disparte. Non si tratta di una minuzia: è una parte altrettanto fondamentale della sua missione con un messaggio molto concreto.

 

Giovanni, il Battista, dono di Dio

Per Elisabetta si compì il tempo e diede alla luce un figlio. I figli vengo­no alla luce come compi­mento di un progetto, vengo­no da Dio. Caduti da una stel­la nelle braccia della madre, portano con sé scintille d’infinito: gioia (e i vicini si ralle­gravano con la madre) e pa­rola di Dio. Non nascono per caso, ma per profezia. Nel lo­ro vecchio cuore i genitori sentono che il piccolo appar­tiene ad una storia più gran­de, che i figli non sono nostri: appartengono a Dio, a se stes­si, alla loro vocazione, al mon­do. Il genitore è solo l’arco che scocca la freccia, per farla vo­lare lontano. Il passaggio tra i due testamenti è un tempo di silenzio: la parola, tolta al tem­pio e al sacerdozio, si sta in­tessendo nel ventre di due madri. Dio traccia la sua sto­ria sul calendario della vita, e non nel confine stretto delle i­stituzioni.
Un rivoluzionario rovescia­mento delle parti, il sacerdo­te tace ed è la donna a pren­dere la parola: si chiamerà Giovanni, che in ebraico si­gnifica: dono di Dio. Elisabet­ta ha capito che la vita, l’a­more che sente fremere den­tro di sé, sono un pezzetto di Dio. Che l’identità del suo bambino è di essere dono. E questa è anche l’identità profonda di noi tutti: il nome di ogni bambino è «dono per­fetto».

Stava la parola murata den­tro, fino a quando la donna fu madre e la casa, casa di profe­ti.
Zaccaria era rimasto muto perché non aveva creduto al­l’annuncio dell’angelo. Ha chiuso l’orecchio del cuore e da allora ha perso la parola. Non ha ascoltato, e ora non ha più niente da dire. Indicazio­ne che mi fa pensoso: quan­do noi credenti, noi preti, smarriamo il riferimento alla Parola di Dio e alla vita, di­ventiamo afoni, insignifican­ti, non mandiamo più nessun messaggio a nessuno. Eppu­re il dubitare del vecchio sa­cerdote non ferma l’azione di Dio. Qualcosa di grande e di consolante: i miei difetti, la mia poca fede non arrestano il fiume di Dio.

Zaccaria incide il nome del fi­glio: «Dono-di-Dio», e subito riprende a fiorire la parola e benediceva Dio. Benedire su­bito, dire-bene come il Crea­tore all’origine ( crescete e mol­tiplicatevi): la benedizione è una energia di vita, una forza di crescita e di nascita che scende dall’alto, ci raggiunge, ci avvolge, e ci fa vivere la vita come un debito d’amore che si estingue solo ridonando vi­ta.

Che sarà mai questo bambi­no? Grande domanda da ri­petere, con venerazione, da­vanti al mistero di ogni culla. Cosa sarà, oltre ad essere do­no che viene dall’alto? Cosa porterà al mondo? Un dono unico e irriducibile: lo spazio della sua gioia; e la profezia di una parola unica che Dio ha pronunciato e che non ripe­terà mai più (Vannucci). Sarà «voce», proprio come il Batti­sta, la Parola sarà un Altro.

(Ermes Ronchi)

 

Solennità della Nascita di San Giovanni Battista

 

Oggi, 24 giugno, celebriamo la solennità della Nascita di San Giovanni Battista. Se si eccettua la Vergine Maria, il Battista è l’unico santo di cui la liturgia festeggia la nascita, e lo fa perché essa è strettamente connessa al mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Fin dal grembo materno, infatti, Giovanni è il precursore di Gesù: il suo prodigioso concepimento è annunciato dall’Angelo a Maria come segno che «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37), sei mesi prima del grande prodigio che ci dà salvezza, l’unione di Dio con l’uomo per opera dello Spirito Santo. I quattro Vangeli danno grande risalto alla figura di Giovanni il Battista, quale profeta che conclude l’Antico Testamento e inaugura il Nuovo, indicando in Gesù di Nazaret il Messia, il Consacrato del Signore. In effetti, sarà lo stesso Gesù a parlare di Giovanni in questi termini: «Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, / davanti a te egli preparerà la via. In verità io vi dico: fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11,10-11).Il padre di Giovanni, Zaccaria – marito di Elisabetta, parente di Maria –, era sacerdote del culto dell’Antico Testamento. Egli non credette subito all’annuncio di una paternità ormai insperata, e per questo rimase muto fino al giorno della circoncisione del bambino, al quale lui e la moglie dettero il nome indicato da Dio, cioè Giovanni, che significa «il Signore fa grazia». Animato dallo Spirito Santo, Zaccaria così parlò della missione del figlio: «E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo / perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, / per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza / nella remissione dei suoi peccati» (Lc 1,76-77). Tutto questo si manifestò trent’anni dopo, quando Giovanni si mise a battezzare nel fiume Giordano, chiamando la gente a prepararsi, con quel gesto di penitenza, all’imminente venuta del Messia, che Dio gli aveva rivelato durante la sua permanenza nel deserto della Giudea. Per questo egli venne chiamato «Battista», cioè «Battezzatore» (cfr Mt 3,1-6). Quando un giorno, da Nazaret, venne Gesù stesso a farsi battezzare, Giovanni dapprima rifiutò, ma poi acconsentì, e vide lo Spirito Santo posarsi su Gesù e udì la voce del Padre celeste che lo proclamava suo Figlio (cfr Mt 3,13-17). Ma la missione del Battista non era ancora compiuta: poco tempo dopo, gli fu chiesto di precedere Gesù anche nella morte violenta: Giovanni fu decapitato nel carcere del re Erode, e così rese piena testimonianza all’Agnello di Dio, che per primo aveva riconosciuto e indicato pubblicamente. Cari amici, la Vergine Maria aiutò l’anziana parente Elisabetta a portare a termine la gravidanza di Giovanni. Ella aiuti tutti a seguire Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio, che il Battista annunciò con grande umiltà e ardore profetico.

(Santo Padre Benedetto XVI, Le parole del Papa alla recita dell’Angelus, 24.06.2012).

 

Preghiera

 

Tu ci parli. Signore, attraverso profeti pienamente inseriti nelle vicende del loro popolo e del loro tempo e insieme capaci di restare in solitudine o di andare nel deserto per fare riascoltare la tua Parola a coloro che li seguono.

Tu ci parli, Signore, attraverso testimoni in grado di condividere le angosce dei loro fratelli, le paure e i drammi degli uomini e insieme pieni di fede nell’indicare la tua presenza già operante, la tua promessa suscitatrice di vita.

Tu ci parli, Signore, attraverso uomini che sanno contestare coraggiosamente le mode, le abitudini, i pregiudizi, i luoghi comuni dei loro contemporanei e insieme profondamente solidali con loro nel ricercare il tuo volto che salva, nel parlare al cuore di chi dispera.

Guarda, ti preghiamo, alla tua Chiesa, alla Chiesa del nostro tempo, a noi che siamo il tuo popolo, costituiti per tua grazia profeti e testimoni della tua verità: donaci di essere mediatori della tua consolazione nel momento stesso in cui denunciamo le nostre e le altrui ipocrisie. Nei deserti della nostra società fa’ risuonare la tua Parola, perché anche noi ‘usciamo’, confessando i nostri peccati per essere di nuovo immersi nella grazia del tuo Spirito.

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006- .

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. II: Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Anno B, Milano, Vita e Pensiero, 2008.

– COMUNITÀ DI S. EGIDIO, La Parola e la storia, Milano, Vita e Pensiero, 2011.

– J.M. NOUWEN, Un ricordo che guida, in ID., Mostrami il cammino. Meditazioni per il tempo di Quaresima, Brescia, Queriniana, 2003.

Immagine della domenica, a cura di García-Orsini-Pennesi.

 

PER L’APPROFONDIMENTO:

XII NATIVITÀ GIOVANNI BATTISTA (B)