Festival Biblico 2018

Il tema del Festival Biblico 2018, FUTURO, ci connette al mistero del tempo che da sempre inquieta gli uomini e muove emozioni profonde che nutrono società, scienze, filosofie, religioni e arti. Il Festival vuole offrire la possibilità di scoprire cosa la Bibbia ha da dire sul futuro – inteso principalmente nel suo rapporto costitutivo con le nostre esistenze umane – e quali orizzonti dischiuda in proposito.

Il futuro è uno sguardo lungo su ciò che ci viene incontro, che ci aspetta e che aspettiamo e sul cambiamento che questo porta con sé e in noi. Spesso oggi il futuro viene confuso con il nuovo, ma il nuovo è solo uno spostamento, una differenza rispetto al prima, il rifiuto di un presente che non vogliamo più. Il futuro, invece, è apertura disponibile, attesa, immaginazione, cammino, anche lotta. Per avere il nuovo serve solo una critica del passato. Per avere futuro occorre una visione sul domani, un obiettivo, una speranza, un’apertura.

Il senso del «futuro» ha a che fare anche con le forme del tempo. Società agrarie, legate ai cicli del tempo atmosferico, si sono pensate in un tempo dalla forma circolare in una sostanziale ripetizione dell’uguale. Nel mondo ebraico e cristiano il tempo è sperimentato a due velocità, quella del costante ripetersi dell’errare umano e quella dell’irruzione del kairòs, del tempo ricco, del tempo di Dio che agisce nella storia e salva. La forma che ne deriva è una spirale che si apre, dove le cose ritornano, ma a un livello diverso, con consapevolezze più ampie e mature. C’è poi la forma moderna del tempo, una linea di ininterrotto progresso che va dal passato al futuro. E’ il tempo della produzione industriale, dell’ottimismo storico, in cui il fine dell’uomo è nelle sue mani, nel suo futuro. E’ un tempo preciso, razionale e uniforme, ma soprattutto umano, possesso dell’uomo anziché di Dio. Oggi, la forma dominante sembra il tempo dei media. Tutto è riproducibile, revocabile, disponibile, perché descritto e riprodotto dal sistema della documentazione, della manipolazione, della fiction. Dopo il cerchio, la spirale, la semiretta, ecco apparire quello che possiamo chiamare il “tempo a cono”: un fascio di luce che illumina un oggetto e poi si sposta su qualcos’altro. Non si percepisce passato, non si percepisce futuro. Viviamo nella flessibile e virtuale dilatazione del presente.

Ma in un discorso intorno al «futuro» occorre considerare un altro fondamentale aspetto: la correlazione costitutiva tra tempo, futuro e coscienza umana. Capire il tempo e il futuro implica e significa riflettere su noi stessi, questo perché il futuro non si presenta mai in modo determinato o alla maniera di una semplice-presenza, ma è sempre costituito da una molteplicità di possibilità indeterminate. Mentre emerge la potenza della decisionalità umana, ne emergono, quindi, anche i limiti, ovvero la finitezza: il futuro, il presente e il passato possibili ed effettivi non provengono solo dalla libertà e dalle decisioni dell’esistenza umana, ma anche da «altri» e da possibilità «date» che costituiscono la condizione e il condizionamento della sua esistenza. Il futuro, in questo senso, è un intrecciarsi delle mie attive possibilità e di quelle che mi sono offerte/imposte da altri (l’altra persona, la moltitudine, la natura, la cultura, Dio) e la libertà umana non è solo questione di fare spontaneamente ma anche di lasciar essere.

Come costruire allora il futuro che non c’è, in un tempo a geometria variabile, in una scena mondiale irretita dall’insicurezza e dilaniata dai conflitti, in una psicosi collettiva dominata dalla paura più che dalla speranza? Coltivando la pazienza e la cura, coltivando la fede nella promessa del Dio affidabile. Chi crede così nel futuro si prende liberamente cura del presente, cioè degli uomini e delle donne che trova lungo la strada, della Terra che ha avuto in eredità, dei sogni che meritano di essere ancora sognati. In questo senso il futuro è tempo per l’accoglienza dell’altro e in questo, per il credente, si manifesta il kairòs che diviene criterio orientante per le sue scelte e il suo stile di vita. Ma il futuro non va solo coltivato, va immaginato, sperato e agito, colto nei segni che lascia in anticipo di sé, visto laddove si nasconde e portato alla luce, come una candela sopra il moggio. Chi crede nel futuro lo fa perché per la promessa del Dio affidabile crede che nessun tempo è segnato dal male senza speranza.

 

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