III DOMENICA DI PASQUA

 Prima lettura:Atti 3,13-15.17-19

In quei giorni, Pietro disse al popolo: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni. Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».

 

 

v Questo brano fa parte della catechesi su Gesù che Pietro rivolge ai suoi uditori di origine ebraica. L’autore degli Atti degli apostoli ha raccolto questa catechesi in una serie di «discorsi» e li ha collocati nella prima parte della sua opera (capitoli 2-4). È importante sottolineare gli elementi che caratterizzano questa catechesi.

     Innanzitutto emerge la continuità tra l’agire di Dio nell’Antico Testamento e ora nella risurrezione di Gesù: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù». La risurrezione di Gesù non va considerata come un corpo estraneo nella Bibbia. Essa si inserisce pienamente nel progetto di salvezza che Dio ha pensato per l’uomo, un progetto che passa misteriosamente attraverso la croce e culmina nella gloria della Pasqua. Questo progetto era già anticipato nei «Canti del Servo sofferente del Signore» (vedi Is 42; 49; 52-53), nei quali si delineava chiaramente la «logica» di Dio: il Servo sofferente sarebbe divenuto il Messia glorificato, grazie all’intervento decisivo di JHWH. Ai suoi uditori, che conoscevano bene la Bibbia, Pietro propone questa «logica», ricorrendo alla stessa terminologia di Isaia: «Dio ha glorificato il suo Servo Gesù».

     L’entrare in questa «logica» esige però un cambiamento di mentalità e una conversione nei confronti di Gesù. L’espressione «io so che voi avete agito per ignoranza» vuole sottolineare quanto sia difficile comprendere la vita, la morte e la risurrezione di Gesù nella «logica» che è propria di Dio. Il termine «ignoranza» (in greco, àghnoia) indica la difficoltà di comprendere in questo modo tutta la vicenda di Gesù. Questa «ignoranza» è da collocare alla base del processo condotto contro Gesù: «Voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato… avete rinnegato il Santo e il Giusto… Avete ucciso l’autore della vita». Infatti nessuno era stato in grado di comprendere il progetto di salvezza di Dio, che doveva passare attraverso la croce e la sofferenza. Solo dopo la risurrezione di Gesù, gli apostoli vengono illuminati e comprendono in pienezza l’agire di Dio. La predicazione di Pietro e degli altri apostoli, testimoni della misteriosa «logica» di Dio, offre la possibilità di convertirsi al progetto di Dio, portato a compimento da Gesù in un modo e in una forma che la mentalità degli uomini non è riuscita a comprendere.

 

Seconda lettura: 1Giovanni 2,1-5

Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto.

 

 

v Questo breve brano presenta una nuova esortazione per il cristiano, che è quella di osservare i comandamenti. Precedentemente l’autore aveva esortato i destinatari del suo scritto a pentirsi dei peccati e a riconoscerli davanti a Dio, per entrare nella pienezza della salvezza offerta da Gesù. A queste esortazioni seguiranno quelle di guardarsi dal «mondo» (inteso come tutto ciò che si oppone al vangelo) e dagli «anticristi» (il riferimento è ad alcune eresie che già hanno preso piede nella comunità cristiana a cui scrive Giovanni).

     «Abbiamo un Paràclito presso il Padre»: il termine greco paràkletos («avvocato», «intercessore», «consolatore») è caratteristico di Giovanni, che lo riferisce allo Spirito Santo (vedi i seguenti testi del suo vangelo: 14,16.26; 15,26; 16,7) e, in questo passo della prima lettera, a Gesù. Esso designa una persona amica, che sta vicino a chi è accusato e condotto in tribunale (il verbo greco parakalèo significa anche: «chiamare accanto») e ne sostiene le ragioni o ne mitiga la sentenza, qualora questa risultasse sfavorevole.

     «Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo»: il verbo «conoscere» va inteso nel suo significato globale, come è usato nella Bibbia. Questo è il verbo che significa sapere chi è Dio e ciò che egli vuole. Significa conoscere il modo di porsi di Dio nei confronti dell’uomo e significa l’imitazione di questo stesso comportamento di Dio da parte dell’uomo. Non è quindi un verbo puramente astratto, teorico, ma è un verbo con una forte accentuazione pratica ed etica.

     Il richiamo all’osservanza dei comandamenti è motivato dal fatto che l’eresia gnostica — sviluppatasi all’epoca di questo scritto — sosteneva che la salvezza dell’uomo era possibile solo attraverso la conoscenza teorica di Dio (ma senza alcuna implicanza etica). Questa conoscenza — chiamata con il termine greco ghnòsis — portava a considerare il corpo dell’uomo, con le sue passioni e i suoi peccati, come irrilevante nel conseguimento della salvezza. Ciò significava un totale disinteresse per la morale, che per il cristiano non è tanto un insieme di leggi o di divieti, quanto piuttosto la conoscenza della volontà di Dio e il conformarsi ad essa, compiendola ogni giorno. Infatti per il cristiano non vi può essere separazione tra anima e corpo, tra conoscenza di Dio e pratica cristiana, tra religione e morale, tra vangelo e vita quotidiana.

 

Vangelo: Luca 24,35-48

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

 

 

Esegesi 

     Il brano proposto conclude l’episodio che ha come protagonisti i due discepoli di Emmaus, e contiene un nuovo racconto di apparizioni, che gli esegeti chiamano «apparizione di riconoscimento». Mediante alcuni segni/gesti che Gesù compie — come il mangiare, il lasciarsi toccare, il mostrare le mani e i piedi —, egli vuole eliminare negli apostoli il sospetto che si tratti della visione dello spirito di un morto («un fantasma»), vanificando così l’esperienza più vera della Pasqua.

     Per i cristiani che provenivano dall’ambiente greco, infatti, era comune credenza che lo spirito vivesse separato dal corpo dopo la morte. Era perciò necessario precisare che Gesù risorto non è uno spirito senza corpo e che non appartiene più al regno dei morti, come gli spiriti. Per questo, nel racconto di apparizione, si insiste sul vedere, mangiare, toccare.

     Ma anche l’ambiente ebraico incontrava grandi difficoltà nel comprendere e nell’accettare la risurrezione di Gesù. Accettarla significava, infatti, che ormai si era davanti all’intervento definitivo di JHWH nella storia, che erano iniziati gli ultimi tempi e che ormai erano giunti il mondo nuovo, il Regno di Dio e la risurrezione finale e definitiva, promessa dai profeti (vedi Ezechiele). Per questo l’evangelista colloca l’evento della Pasqua di Gesù nell’insieme delle Scritture: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno».

     «Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma»: lo spavento ha origine dal fatto che Gesù appare all’improvviso. Il termine «fantasma» traduce il greco pneuma («spirito»). Secondo la concezione greca, dopo la morte lo spirito era separato dal corpo e non si riuniva più ad esso. Nella concezione cristiana, invece, corpo e spirito costituiscono la persona, e la risurrezione fa di questo nostro corpo non un fantasma, ma un corpo «glorioso», «glorificato», come quello di Gesù.

     «Lo prese e lo mangiò davanti a loro»: con questa frase, più che insistere sulla realtà inconfondibile del corpo di Gesù, l’evangelista vuole evidenziare la vittoria di Gesù sulla morte, simboleggiata dalla rinnovata partecipazione alla mensa con i suoi discepoli, come avveniva prima della morte. L’espressione «davanti a loro» (in greco, enòpion autòn) si potrebbe tradurre anche: «a mensa con loro». È un’espressione che ricorre anche in Lc 13,26: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza (in greco, enòpion sou, «alla tua mensa»)» e probabilmente con essa si vuole esprimere la continuità tra il Gesù prima della Pasqua e il Gesù risorto.

     «Nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi »: è la suddivisione di tutta la Bibbia secondo il canone ebraico. È curioso, qui il rilievo dato ai Salmi, dal momento che la Bibbia ebraica chiama la terza parte della Scrittura, con il termine generico «Gli Scritti». Probabilmente i Salmi vengono nominati perché costituiscono la parte più abbondante degli «Scritti». Non

va neppure dimenticato che nel Nuovo Testamento i Salmi vengono citati con frequenza sia nei vangeli sia negli Atti degli apostoli come profezie della risurrezione di Gesù.

 

L’immagine della domenica 

 

 

SIA PACE IN TE!

Sia pace fra le tue mura,

prosperità fra i tuoi palazzi.

Per amore dei miei fratelli e amici

dirò: Sia pace in te!

Per amore della casa del Signore, nostro Dio,

chiederò: Sia bene per te!

(Salmo 121)

 

Meditazione

Il Vangelo di questa domenica ci narra ancora una volta i fatti del gior­no della resurrezione. L’insistenza non è casuale: la Chiesa continua a ricordarci che ogni domenica è Pasqua, il giorno in cui Gesù vince la morte e incontra nuovamente i discepoli. Gli incontri di Gesù con i suoi discepoli sono diversi. Quello che ci narra il Vangelo di questa Domenica capita nel cenacolo, dove sono radunati i discepoli. Gesù —racconta l’evangelista Luca — entra nel cenacolo mentre i due discepo­li, tornati in fretta da Emmaus, stanno ancora raccontando quello che è accaduto loro lungo la via. Gli apostoli al vedere Gesù, «in persona», venire in mezzo a loro sono presi da stupore e spavento. E, come già altre volte era accaduto, anche ora pensano sia un fantasma. Ancora una volta — domenica scorsa abbiamo constatato lo scetticismo di Tommaso — il Vangelo di Pasqua sottolinea l’incredulità degli apostoli. Vengono in mente le parole del prologo di Giovanni: «Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto». Gli amici più stretti stanno par­lando di lui, si riferiscono tra loro le varie apparizioni, potremmo dire che sono ormai quasi convinti della sua risurrezione, tanto che dicono: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (Lc 24,34). Eppure, appena Gesù entra in mezzo a loro pensano sia un fantasma, una figura astratta, irreale. Si spaventano, persino. Eppure, Gesù glielo aveva detto e spiegato. Ebbene, bisogna partire proprio da questa inaccoglienza, vestita di stolto realismo, per comprendere l’odierna pagina evangelica. Siamo anche noi assieme ai discepoli quella sera di Pasqua, stupiti e spaventa­ti. Anche noi pensiamo tante volte che il Vangelo sia una specie di fantasma, ossia che si tratti di parole astratte, lontane dalla vita, belle ma impossibili a vivere; e ne abbiamo anche paura perché pensiamo che siano troppo esigenti, che chiedano sacrifici, che propongano rinunce, che pretendano una vita poco felice. Ne consegue che con incredibile facilità le infiacchiamo nella loro radicalità perché non ci disturbino troppo. Ma Gesù torna; torna ogni domenica e dopo il saluto di pace dice a tutti noi: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne ed ossa come vedete che io ho». Mentre parla in questo modo, mostra loro le mani e i piedi segnati ancora dalle ferite dei chiodi. Gesù mostra la realtà concreta del suo corpo risorto, ma ancora ferito. E forse l’ultima ferita — questa volta tocca l’anima — gliela stanno infliggendo proprio in quel momento i discepoli con la loro inaccoglienza. L’evangelista sembra però indicare una via per superare questa distanza; una via non teorica e astratta, ma molto concreta. Potremmo chiamarla la via dell’incontro con le sue ferite. Gesù, per vincere i dubbi dei discepoli, dice loro: «Guardate le mie mani e i miei piedi; sono proprio io! Toccatemi e guardate». Poteva chiedere che toccasse­ro e guardassero qualsiasi altra parte del corpo. Ma perché ha voluto specificare quelle parti ancora segnate dalle ferite dei chiodi? Perché Gesù insiste che proprio quelle parti ferite debbano essere guardate e toccate? Le ferite sul corpo, senza dubbio, ci dicono che il Gesù di Pasqua è lo stesso Gesù del Venerdì Santo, ma la loro permanenza nel corpo del Signore risorto richiama anche la realtà del dolore e del male ancora presente in questo mondo. La resurrezione certo è avve­nuta, ma deve continuare ancora. È iniziata con Gesù, il capo del corpo che è la Chiesa e l’umanità intera, ma ci sono tante parti di que­sto unico corpo che hanno ancora ferite aperte: sono i poveri, i malati, i carcerati, i torturati, i condannati a morte, i paesi in guerra, i colpiti dalle disgrazie e dalla violenza. E l’elenco può continuare ancora più a lungo. Queste ferite debbono entrare «di persona» in mezzo a noi, perché con esse entra realmente il Signore, e attraverso di esse continua a dirci: «Toccatemi e guardatemi… sono proprio io!». I poveri e i deboli non sono fantasmi di cui aver paura o da cui fuggire, sono il corpo ferito del Signore che chiede e attende di essere toccato per risorgere. «Toccatemi e guardate!». È la preghiera, spesso il grido, che oggi milio­ni di disperati rivolgono al mondo dei sani e dei ricchi: guardateci e toccateci! Essi infatti sono spesso totalmente dimenticati e ancor meno toccati. Dietro questo invito di Gesù ci sono oggi milioni e milioni di bambini, di vedove, di orfani, che continuano ad attendere aiuto e dav­vero pochi «guardano» e ancor meno si incamminano per «toccare». Sì, guardare e toccare! Questi sono i verbi della risurrezione: accorger­si di chi ci sta accanto e soffre e non passare oltre come fecero quel sacerdote e quel levita. La vittoria sulla nostra incredulità inizia da quest’incontro affettuoso con il corpo ancora ferito di Gesù. Immediatamente dopo, nota l’evangelista, Gesù «aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture. Fu necessario che i discepoli ascoltassero nuovamente il Vangelo e si lasciassero toccare il cuore. Non basta ascoltare una volta o alcune volte le Sante Scritture. Il credente deve risco-prire la gioia di frequentare ogni giorno le Sante Scritture. Ogni volta che si apre una pagina della Bibbia è Dio stesso che parla a noi. I Santi Padri amavano dire che la Santa Scrittura è la Lettera di amore di Dio agli uomini. Come non leggere e rileggere questa lettera? Gesù con i due discepoli di Emmaus non fece altro che spiegare loro le Scritture e i due si sentirono scaldare il cuore nel petto. Ogni domenica Gesù torna e parla a ciascuno di noi, come fece con quelli di Emmaus. Dalla Pasqua perciò inizia un ascolto che non termina più: quella Parola proclamata e predicata è la linfa della vita di ogni discepolo e dell’intera comunità. Senza di essa saremmo senza nutrimento, senza pane. La carestia sarebbe tremenda; e non solo per i discepoli ma per il mondo intero. Ogni domenica perciò il Signore ci raccoglie, apre la nostra mente all’intelligenza delle Scritture e riscalda i nostri cuori. Di questo Vangelo — dice Gesù ai discepoli di ogni tempo — «voi siete testimoni».

 

Preghiere e racconti

Sulle tracce di Gesù

II punto cruciale di questo cammino sta nel riconoscere che il Gesù risorto, che compie i desideri dell’uomo, è ancora il Gesù crocifisso, che ha affidato al Padre il compimento dei propri desideri. Ha uniformato la propria volontà alla volontà del Padre. Ha accettato di perdere la propria vita sulla croce, per compiere la missione di proclamare all’uomo peccatore e separato da Dio che il Padre non lo abbandona al fallimento, non lo rifiuta anche se è rifiutato; anzi gli dona il proprio Figlio, per mostrare che neppure il peccato impedisce a Dio di amare l’uomo e di attirarlo a sé in un gesto di perdono, che vince il peccato e la morte.

Tutto questo è implicitamente contenuto nel grido del discepolo prediletto, che rompe il silenzio del mattino: «E il Signore» (Gv 21,7). Questa espressione, infatti, rievoca le professioni di fede della Chiesa primitiva. Gesù, che si è umiliato nella morte, in obbedienza al Padre e per amore degli uomini, è stato glorificato dal Padre ed è stato proclamato Signore, cioè colui che reca pienamente in sé la forza d’amore e di salvezza che è propria di Dio stesso.

Gesù manifesta la sua capacità e volontà di comunicare agli uomini l’amore salvifico del Padre anche attraverso un gesto simbolico. Egli mangia con i discepoli.

L’umile, quotidiano gesto del mangiare è ricco di potenzialità espressive. Può prestarsi a esprimere la comunicazione di beni sempre più grandi e misteriosi, che approfondiscono il bene fisico del cibo e il bene psicologico della conversazione, scambiati durante il pasto comune.

Gesù assume questo gesto umano e lo carica di prodigiose potenzialità. Il pasto descritto nel cap. 21 di Giovanni non risulta essere un convito propriamente eucaristico. Rievoca però il convito di Jahvè col popolo degli ultimi tempi, annunciato nell’Antico Testamento. Si ricollega ai conviti messianici fatti da Gesù con i discepoli o con le folle. Allude all’ultima cena o ad altri conviti di Gesù risorto, che hanno caratteri più propriamente e chiaramente eucaristici e comportano quindi il trapasso del generico simbolismo conviviale nella reale comunione col Signore, che si rende presente trasformando il pane e il vino nella vita e misteriosa realtà del corpo donato e del sangue versato.

(C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009, 258-259).

 

È pace la prima parola pronunciata da Cristo Risorto

 In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho» (…). Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme(…)». Lo conoscevano bene, dopo tre anni di strade, di olivi, di pesci, di villaggi, di occhi negli occhi, eppure non lo riconoscono. Gesù è lo stesso ed è diverso, è il medesimo ed è trasformato, è quello di prima ed è altro. Perché la Risurrezione non è semplicemente un ritornare alla vita di prima: è andare avanti, è trasfigurazione, è acquisire un di più. Energia in movimento che Gesù non tiene per sé, ma che estende all’intera creazione, tutta presa, e da noi compresa, dentro il suo risorgere e trascinata in alto verso più luminose forme.

Pace, è la prima parola del Risorto. E la ripete ad ogni incontro: entro in chiesa, apro il Vangelo, scendo nel silenzio del cuore, spezzo il pane con l’affamato. Sono molte le strade che l’Incamminato percorre, ma ogni volta, sempre, ad ogni incontro ci accoglie come un amico sorridente, a braccia aperte, con parole che offrono benessere, pace, pienezza, armonia. Credere in lui fa bene alla vita. Vuole contagiarci di luce e contaminarci di pace. Lui sa bene che sono gli incontri che cambiano la vita degli esseri umani. Infatti viene dai suoi, maestro di incontri, con la sua pedagogia regale che non prevede richieste o ingiunzioni, ma comunione. Viene e condivide pane, sguardi, amicizia, parola, pace. Il ruolo dei discepoli è non difendersi, non vergognarsi, ma ridestare dal sonno dell’abitudine mani, occhi, orecchie, bocca: toccate, guardate, mangiamo insieme. Aprirsi con tutti «i sensi divine tastiere» (Turoldo), strumenti di una musica suonata da Dio.

«Toccatemi, guardate». Ma come toccarlo oggi, dove vederlo? Lui è nel grido vittorioso del bambino che nasce e nell’ultimo respiro del morente, che raccoglie con un bacio. È nella gioia improvvisa dentro una preghiera fatta di abitudini, nello stupore davanti all’alleluja pasquale del primo ciliegio in fiore. Quando in me riprende a scorrere amore; quando tocco, con emozione e venerazione, le piaghe della terra: «ecco io carezzo la vita perché profuma di Te» (Rumi)…

«Non sono un fantasma» è il lamento di Gesù, e vi risuona il desiderio di essere abbracciato forte come un amico che torna da lontano, di essere stretto con lo slancio di chi ti vuole bene. Non si ama un fantasma. «Mangiamo insieme». Questo piccolo segno del pesce arrostito, gli apostoli lo daranno come prova decisiva: abbiamo mangiato con lui dopo la sua risurrezione (At 10,41). Perché mangiare è il segno della vita; mangiare insieme è il segno più eloquente di una comunione ritrovata, il gesto che lega, custodisce e accresce le vite. Il cibo è una realtà santa. Santa perché fa vivere. E che l’uomo viva è la prima di tutte le leggi, della legge di Dio e delle leggi umane.

(Ermes Ronchi)

 

«Di questo voi siete testimoni» (Lc 24,48)

«Mentre essi parlavano di queste cose», essi gli apostoli riuniti insieme (Lc 24,33) a riflettere sul senso di una tomba vuota, del messaggio degli angeli alle donne, dell’apparizione ai due discepoli di Emmaus e a Pietro (Lc 24,1-35), conseguenze di un evento al quale nessuno aveva assistito e sul quale non restava e non resta che il silenzio. Parliamo dell’atto della resurrezione di Gesù. Se la sua crocifissione è stata uno «spettacolo» (Lc 23,48) pubblico visto da molti, alla sua resurrezione non ha partecipato occhio umano alcuno. Parlavano dunque di cose successive passibili di più interpretazioni, la tomba vuota potrebbe anche voler dire cadavere trafugato e le apparizioni potrebbero voler dire allucinazioni, fantasie: «credevano di vedere un fantasma» (Lc 24,37), uno spirito. Luca con maestria ripercorre il cammino travagliato degli amici di Gesù alla fede nella resurrezione: dalla tristezza e dalla delusione per una presenza tolta e per sogni frustrati (Lc 24,17.21) a una mente ottusa tarda a capire i segni che le sono stati dati (Lc 24,25). Tomba vuota, messaggi di angeli, racconti di donne e apparizioni di fatto generano sconvolgimento e paura (Lc 24,22.37), stato confusionale. Una situazione tuttavia che pur non capendo non si arrende, se ne parla, si vorrebbe comprendere.

 2. E «mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro…e disse…perché sorgono dubbi…sono proprio io», egli il Risorto con i segni della passione e non un puro spirito o fantasma. Una apparizione dal di «fuori» resasi necessaria per fare uscire il «dentro» o cuore degli apostoli dalla incredulità introducendoli nel riconoscimento di lui come il vivente (Lc 24,36-43), e conseguentemente in una lettura diversa dei segni dati. Ad esempio la tomba vuota da sola non è stata in grado di liberare dalla prigione di ragionamenti senza sbocco, mentre diventa annuncio di resurrezione a chi è stata concessa la fede in essa attraverso il convincimento operato dal Risorto stesso. È ciò che è accaduto agli apostoli, dal Risorto che si impone ad essi come risorto alla tomba, alle donne, agli angeli e ai due di Emmaus come messaggeri del Risorto. Approccio singolare. Un convincimento, prosegue Gesù (Lc 24,44-47), a cui gli apostoli avrebbero potuto pervenire anche senza la sua apparizione costretta dalla costatazione di un eccesso di perdita di memoria e di mente chiusa. «Poi disse: Sono queste le parole che io vi dissi quando ancora ero con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno». Gesù ri-dice ai suoi ciò che in precedenza aveva loro pre-detto, risveglia la loro memoria e li reinizia a comprendere la sua morte-resurrezione alla luce di una lunga catena di citazioni scritturistiche, alla luce cioè della volontà del Padre contenuta nello «Sta scritto». In Luca via alla resurrezione o alla interpretazione secondo Dio della tomba vuota è tutta la Scrittura attraverso cui la Parola di Dio diventa il messaggero della Pasqua di Gesù il Cristo, l’inviato del Padre a mutare il cammino dell’uomo orientandolo verso i sentieri del perdono e della conversione (Lc 24,47): «Di questo voi siete testimoni» (Lc 24,48).

 (Giancarlo Bruni)

 

E’ il Signore!

E’ l’acclamazione pasquale, è una parola che contiene tutto.

Il Signore è Colui che possiede la tua vita e te la vuole far vivere al centuplo;

Colui che ha un progetto per te, che ti conduce a esprimere pienamente te stesso;

Colui che è la somma di tutte le cose desiderabili;

Colui che chiarisce, dipana, ordina, purifica, soddisfa tutti i tuoi desideri più profondi.

E’ il Signore della vita, della storia, della mia vicenda personale.

E’ il Signore della mia famiglia, della scuola, della società.

E’ Colui nel quale tutto trova il senso.

E’ Colui che è capace di dare a tutto un progetto ed una prospettiva.

(dagli Scritti del Card. C.M. Martini).

 

Aprire gli occhi

Chi aprirà i nostri occhi

ostinatamente chiusi

per evitare di vedere

la miseria agitarsi alla nostra porta?

Chi aprirà i nostri occhi

ostinatamente tappati

per evitare di guardare

faccia a faccia

il prossimo

che ci viene incontro?

Chi aprirà i nostri occhi

ostinatamente velati

per evitare di essere abbagliati

dalla presenza di Cristo

con il suo vangelo esigente?

Chi aprirà i nostri occhi

per riconoscere lo Spirito di Dio

all’opera sui molteplici cantieri

dove l’umanità si rinnova?

Chi aprirà i nostri occhi

per riconoscere il seme

che, con ostinazione, germoglia dall’arida terra screpolata?

 

La pace sia con voi!

Di ritorno dagli inferi, Cristo per donare la pace al mondo esclama: «La pace sia con voi! I discepoli parlavano ancora, quando Gesù stette in mezzo a loro e disse loro: La pace sia con voi!». Giustamente dice: «con voi», perché la terra si era già consolidata, il giorno era ritornato, il sole aveva ripreso il suo splendore e il mondo aveva ritrovato il suo ordine e la coesione. Ma presso i discepoli la guerra infuriava ancora; fede e mancanza di fede si combattevano violentemente. Il turbamento della passione non aveva scosso il loro cuore quanto la terra; credulità e incredulità devastavano il loro animo con una guerra senza tregua; schiere di pensieri assediavano la loro mente e sotto i colpi della disperazione e della speranza il loro cuore si spezzava, nonostante la sua forza. I sentimenti e i pensieri dei discepoli erano divisi tra gli innumerevoli miracoli che rivelano Cristo e le molteplici umiliazioni della sua morte, tra i segni della sua divinità e le debolezze della carne, tra l’orrore della sua morte e le grazie della sua vita. Ora il loro spirito veniva portato in cielo, ora le loro anime ricadevano a terra; e nel loro cuore in cui infuriava la tempesta non trovavano alcun porto tranquillo, nessun luogo di pace. Al veder questo, Cristo che scruta i cuori, che comanda ai venti, governa le tempeste e con un semplice segno muta la tempesta in un cielo sereno, li conferma con la sua pace, dicendo: «La pace sia con voi! Sono io; non temete. Sono io, il morto e sepolto. Sono io. Per me Dio, per voi uomo. Sono io. Non uno spirito rivestito di un corpo, ma verità stessa fatta uomo. Sono io. Sono io, vivente tra i morti, celeste al cuore degli inferi. Sono io, che la morte ha fuggito, che gli inferi hanno temuto. Gli inferi mi hanno proclamato Dio, nel loro spavento. Non temere Pietro, che mi hai rinnegato, ne tu, Giovanni, che sei fuggito, ne tutti voi che mi avete abbandonato, che avete pensato a tradirmi, che non credete ancora in me, anche se mi vedete. Non temete, sono io. Sono io, vi ho chiamati per grazia, vi ho scelti perdonandovi, vi ho sostenuto con la mia compassione, vi ho portato nel mio amore e oggi vi accolgo per mia sola bontà, perché il Padre non vede più il male quando accoglie suo figlio».

(PIETRO CRISOLOGO, Discorso 81, PL 52, 428A-D).

 

Andremo alla casa del Signore

Mi rallegrai quando mi dissero:

«Andremo alla casa del Signore».

E ora i nostri piedi

sono nell’interno delle tue porte,

Gerusalemme!

Gerusalemme costruita come città,

in sé ben compatta!

Là salivano le tribù, le tribù del Signore,

secondo il precetto dato a Israele

di lodarvi il nome del Signore.

Sì, là s’ergevano i seggi del giudizio,

i seggi della casa di Davide.

Augurate la pace a Gerusalemme:

vivano in prosperità quanti ti amano!

Sia pace fra le tue mura,

prosperità fra i tuoi palazzi.

Per amore dei miei fratelli e amici

dirò: Sia pace in te!

Per amore della casa del Signore, nostro Dio,

chiederò: Sia bene per te!

(Salmo 121).

 

L’anima soffre e anela al Signore

Aiutaci, o Signore, a portare avanti nel mondo e dentro di noi la tua risurrezione.

Donaci la forza di frantumare tutte le tombe in cui la prepotenza, l’ingiustizia, la ricchezza, l’egoismo, il peccato, la solitudine, la malattia, il tradimento, la miseria, l’indifferenza hanno murato gli uomini vivi.

Metti una grande speranza nel cuore degli uomini, specialmente di chi piange.

Concedi, a chi non crede in te, di comprendere che la tua Pasqua è l’unica forza della storia perennemente eversiva.

E poi, finalmente, o Signore, restituisci anche noi, tuoi credenti, alla nostra condizione di uomini.

(Don Tonino Bello).

 

Preghiera

O Signore, Signore risorto, luce del mondo, a te sia ogni onore e gloria! Questo giorno, così pieno della tua presenza, della tua gioia, della tua pace, è davvero il tuo giorno! Sono appena rientrato da una passeggiata attraverso l’oscurità dei boschi. Era freddo e ventoso, ma tutto parlava di te. Ogni cosa: le nuvole, gli alberi, l’erba umida, la valle con le sue luci lontane, il rumore del vento. Parlavano tutti della tua risurrezione: tutti mi rendevano consapevole che ogni cosa è davvero buona. In te tutto è creato buono e da te tutta la creazione è rinnovata e portata a una gloria persino più grande di quella posseduta al principio.

Camminando nell’oscurità dei boschi alla fine di questa giornata piena di intima gioia, ti ho sentito chiamare Maria Maddalena per nome e dalla riva del lago ti ho sentito gridare ai tuoi amici di gettare le reti. Ti ho anche visto entrare nella sala con la porta serrata dove i tuoi discepoli erano radunati pieni di paura. Ti ho visto apparire sul monte così come nei dintorni del villaggio. Quanto sono veramente intimi questi eventi: sono come favori speciali fatti a cari amici. Non sono stati fatti per impressionare o sopraffare qualcuno, ma semplicemente per mostrare che il tuo amore è più forte della morte.

O Signore, ora so che è nel silenzio, in un momento tranquillo, in un angolo dimenticato che tu m’incontrerai, mi chiamerai per nome e mi dirai una parola di pace. E nell’ora della maggiore quiete che tu diventi per me il Signore risorto. O Signore, sono così riconoscente per tutto quello che mi hai dato nella settimana trascorsa! Rimani con me nei giorni che verranno. Benedici tutti quelli che soffrono in questo mondo e dona pace alla tua gente, che hai tanto amato da dare la vita per lei. Amen.

(J.M. NOUWEN, Preghiere dal silenzio, in ID., La sola cosa necessaria  Vivere una vita di preghiera, Brescia, Queriniana, 2002, 242-243).

 

      

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006- .

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. II: Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù,  Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Anno B, Milano, Vita e Pensiero, 2008.

– COMUNITÀ DI S. EGIDIO, La Parola e la storia, Milano, Vita e Pensiero, 2011.

– J.M. NOUWEN, Un ricordo che guida, in ID., Mostrami il cammino. Meditazioni per il tempo di Quaresima, Brescia, Queriniana, 2003.

Immagine della domenica, a cura di García-Orsini-Pennesi.

 

 PER L’APPROFONDIMENTO:

III DOMENICA DI PASQUA