II DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Prima lettura: 1Samuele 3,3b-10.19

In quei giorni, Samuèle dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio. Allora il Signore chiamò: «Samuèle!» ed egli rispose: «Eccomi», poi corse da Eli e gli disse: «Mi hai chiamato, eccomi!». Egli rispose: «Non ti ho chiamato, torna a dormire!». Tornò e si mise a dormire. Ma il Signore chiamò di nuovo: «Samuèle!»; Samuèle si alzò e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Ma quello rispose di nuovo: «Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!». In realtà Samuèle fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore.

Il Signore tornò a chiamare: «Samuèle!» per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuèle: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”». Samuèle andò a dormire al suo posto. Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: Samuèle, Samuèle!». Samuèle rispose subito: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta». Samuèle crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole.

 

v  Come per ogni personaggio chiamato a svolgere un ruolo importante negli eventi salvifici (Mosè, Giudici, Re, Profeti, ecc.) il racconto biblico si volge a considerare la loro infanzia, insistendo sulla gratuità della loro elezione e chiamata da parte di Dio, allo stesso modo le imprese del Profeta Samuele ed il suo ruolo estremamente decisivo e delicato agli inizi della monarchia (1030 a.C.; 1Sam 4ss.) sono precedute dalla storia della sua nascita e infanzia (primi 3 capitoli di 1Sam). Tre i motivi essenziali che si compongono nel racconto di questa infanzia: (1) sterilità di Anna, madre di Samuele, nascita del figlio impetrato da Dio, e ingresso del bambino nel tempio; (2) comportamento empio dei due figli del sacerdote Eli che fa da efficace contrasto con la docilità del giovane Samuele; (3) la rivelazione di Dio a Samuele. La nostra lettura fa parte di questo ultimo motivo, da riporre però sullo sfondo anche degli altri due.

     1. Annotazioni

— «Samuèle dormiva nel tempio del Signore» (v. 3). Richiamo al fatto che Samuele è stato consacrato per sempre al servizio del Signore, per espressa volontà della madre Anna. Finora il bambino è presentato nella sua dimensione di servitore del tempio, il che non ne fa ancora un profeta, idoneo ad ascoltare la voce di Dio e ad avere delle visioni (v. 7). È col presente episodio che egli riceve tale investitura profetica.

— Il dettaglio «la lampada di Dio non era ancora spenta» (v. 3), oltre che ricordarci che non è ancora mattina (la lampada ardeva di notte davanti al Signore, cf. Lv 24.3-4), serve anche, indirettamente, ad indicare uno dei servizi che il piccolo prestava nel tempio: tenere desta la fiamma della lampada).

— La chiamata avviene presso l’arca di Dio (vv. 3-4). Non si tratta di un sogno, perché il ragazzo viene svegliato dalla voce, e neppure si tratta di «visione» in senso stretto, perché Samuele non vede, ma ascolta solo il Signore.

— Importante l’insistenza sul nome da parte di Dio, come in tutte le sue chiamate (ad es. in Es 3,4: «Mosè. Mosè!»). Le chiamate di Dio non sono mai generiche, anonime, impersonali. Pronunziandone il nome, Dio mostra di conoscere il nucleo più vero e profondo dell’essere e della storia dell’uomo cui si rivolge.

— Ogni chiamata esige una risposta. Anche se il piccolo Samuele crede che quella voce venga dal sacerdote Eli, non per questo la sua obbedienza si mostra meno pronta; anzi è questa docilità al sacerdote Eli («Eccomi») e alle sue indicazioni, che in definitiva lo apre alla rivelazione di Dio.

— «Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta» (vv. 9-10). Appunto la disponibilità all’obbedienza e all’ascolto della parola di Dio costituisce, da parte dell’uomo, la condizione indispensabile per l’investitura e l’esercizio della profezia.

— «Il Signore fu con lui» (v. 19). L’autorità di un profeta non consiste principalmente nella ricchezza di doni e di visioni straordinarie, ma nel fatto che Dio è dalla sua parte. E siccome la sua presenza è fedele e indefettibile, nessuna parola che il profeta pronuncerà in suo nome, potrà rivelarsi fallace o senza valore. Ecco perché nessuna di esse potrà «cadere a terra», cioè rivelarsi vuota e priva di effetto: Dio compie comunque e infallibilmente ciò che ha annunciato per mezzo del suo profeta, ne è il supremo garante.

 

Seconda lettura:1Corinzi 6,13c-15a.17-20

Fratelli, il corpo non è per l’impurità, ma per il Signo­re, e il Signore è per il corpo. Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza.  Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impu­rità, pecca contro il proprio corpo.

Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo! 

 

v Paolo scrive la Prima lettera ai Corinzi probabilmente verso la fine del 55 e gli inizi del 56 d. C. In essa affiorano molteplici questioni e tanti problemi che si sono verificati a partire dalla sua evangelizzazione a Corinto e specie dopo la sua partenza: tra le altre cose si era manifestato un grande relativismo in campo sessuale, che si faceva scudo del principio della libertà cristiana. Dal momento che il Cristo ci ha affrancati da ogni giogo, tutto ci è permesso (6,12). La lettura di oggi contiene una parte importante della risposta dell’Apostolo a questo modo di relativizzare la morale sessuale.

     1. Annotazioni

— «Il corpo non è per l’impurità, ma per il Signo­re» (v. 13b). Nel v. precedente Paolo ha appena citato le parole dei lassisti, tre volte corrette dalle sue: «”Tutto mi è lecito!”. Ma non tutto giova. “Tutto mi è lecito”. Ma io non mi lascerò dominare da nulla. “I cibi sono per il ventre ed il ventre per i cibi”. Ma Dio distruggerà questi e quelli» (vv. 12-13a). Sulla linea di questa decisa contestazione delle tesi dei lassisti, nell’affermare i limiti della libertà ed il rischio che questa si risolva in nuove forme di schiavitù, Paolo procede nel mettere in risalto la dignità del corpo umano nei piani di Dio. Il corpo non è destinato in ultima istanza all’appagamento di istinti sessuali, ma ad essere dimora del Signore ed a essere risuscitato (v. 14); ed il Signore è per il corpo è da intendere nel senso che la salvezza largitaci tramite il sacrificio del Signore si estende anche al corpo. Anche nell’Eucaristia il «corpo del Signore» è dato e sacrificato per la salvezza non solo dell’anima ma anche del corpo del credente.

I vostri corpi sono membra di Cristo (vv. 15-17). L’assurdità del peccato di impudicizia non è nella trasgressione di una norma, ma nel tradimento dell’unione profonda tra il fedele ed il Signore (per cui forma con Lui un solo corpo) sostituendola con l’unione col corpo di una prostituta. Questo tradimento costituisce una vera decadenza della dignità del corpo, è come svenderlo. E d’altra parte il peccato d’impudicizia non si ferma alla sola carne, ma implica un decadimento delle facoltà di tutta la persona, chiamata invece a diventare col battesimo un solo spirito col Signore (v. 17).

Il vostro corpo è tempio dello Spirito santo, che è in voi (v. 19). Analogia di grandissimo significato. Nel mondo pagano i templi erano intangibili perché appartenevano alla divinità. Affermando che il corpo di un battezzato è tempio dello Spirito (implicitamente di tutta la Trinità), si sottolineano due conseguenze di grave peso teologico ed esistenziale: a) la prima è che il corpo è intangibile, non appartiene più a noi (v. 19), pertanto non ne possiamo fare quel che vogliamo, altrimenti lo alieniamo al suo vero proprietario che è Dio; b) come si riscatta uno schiavo e se ne deposita il prezzo in un tempio, così Dio ha riscattato dalla schiavitù anche il nostro corpo, ed ha pagato a caro prezzo (il sangue di Cristo) tale riscatto (v. 20). Dobbiamo esserne riconoscenti e valerci del nostro corpo redento per glorificare Dio. Nessun disprezzo per la nostra corporeità, ma stima, rispetto ed uso orientato alla gloria di Dio.

 

Vangelo: Giovanni 1,35-42

In quel tempo, Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbi – che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui: erano circa le quattro del pomeriggio.

Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa», che significa Pietro.

 

Esegesi

     Siamo nel quadro di quella che gli studiosi chiamano «settimana inaugurale» del IV Vangelo. In realtà, dopo l’esordio solenne del Prologo, (1,1-18) gli inizi della vita pubblica e del ministero di Gesù sono scanditi da indicazioni di tempo («il giorno dopo», vv. 29.35.42; «tre giorni dopo» 2,1) che consentono di inquadrare gli eventi dal Battesimo di Gesù alle nozze di Cana nel corso di una settimana. Quadro cronologico che assume gran rilievo teologico in riferimento alla settimana della creazione (cf. Gen 1): col ministero di Gesù si rinnova profondamente il mondo creato da Dio: si tratta di una nuova creazione (cf. Gv 20,22).

     1. Annotazioni

— «Giovanni stava con due…» (v. 35). Riferimento al primo giorno della settimana inaugurale (testimonianza di Giovanni Battista alla dignità superiore di Gesù) e al secondo giorno (battesimo nel Giordano, il Battista presenta Gesù come l’Agnello di Dio e il Figlio di Dio, vv. 29.34). Con la lettura di oggi siamo al terzo giorno; a seguito della testimonianza data dal Battista, due dei suoi discepoli (uno dei quali è Andrea, fratello di Simon Pietro, v. 40) si mettono al seguito di Gesù. Tra Giovanni e Gesù non c’è concorrenza e conflitto, ma continuità, al servizio della missione salvifica di Gesù: è lo stesso Precursore a mediare e, per così dire, incoraggiare il passaggio dal suo seguito al seguito di Gesù.

— «Ecco l’agnello di Dio!» (v. 36). In questo titolo che Giovanni attribuisce a Gesù, confluiscono importanti tratti di teologia dell’Antico Testamento in riferimento alla missione salvifica di Gesù: a) da una parte, il richiamo al «Servo sofferente» di JHWH, che si carica dei dolori degli uomini ed è trafitto per i loro delitti (Is 53); b) dall’altra, il richiamo alla funzione espiatrice e sacrificale dell’agnello nei riti della Legge (Lv 14) e soprattutto nel rito dell’agnello pasquale, che simboleggia la redenzione di Israele (Es 12; At 8,31-35; ecc.). Tutto questo proclama Giovanni, fissando lo sguardo su Gesù: non uno sguardo esterno, ma un vedere «dentro» (greco: en-blepō) penetrando il mistero di Cristo.

— «Che cosa cercate?» (v. 38). Sono le prime parole pronunciate da Gesù nel IV Vangelo. Esse sono rivolte programmaticamente ad ogni uomo: che cosa stai cercando? Ed è un invito al discepolo a chiarire a se stesso il senso del suo cammino nella vita e di che cosa va in cerca. Chi vuole seguire Gesù è animato dal profondo desiderio di scoprire la verità e incontrare qualcuno.

— «Dove dimori?» (v. 38). La domanda ha un senso teologico molto profondo: chiedere «dove» sta Gesù equivale a porre una domanda sulla sua esistenza e origine, sul suo mistero. I discepoli non vogliono sapere «qualcosa», ma conoscere e incontrare Qualcuno.

— «Venite e vedrete» (v. 39). Tappa fondamentale nella sequela cristiana (cf. v. 46: Vieni e vedi). Tale cammino non dipende dalla sola iniziativa dell’uomo, anche se la suppone: l’invito e l’elezione partono dal Signore. Invito non ad un approccio di tipo scolastico (prendere contatto con l’insegnamento di un maestro), ma ad un’esperienza diretta e personale di Gesù che porta il discepolo a credere in lui. Gesù avrebbe potuto soggiogarli con la forza dei suoi miracoli, invece li invita a fare comunione di vita con Lui e col Padre, in cui dimora (cf. 1,18).

— Da questo punto di vista il verbo «vedere» (andarono e videro) assume — come spesso nel IV Vangelo — il senso forte di contemplazione di fede, che porta a «dimorare presso Gesù», ossia ad entrare gradualmente nel suo mistero. Le relazioni eterne del Figlio col Padre e le relazioni d’amore dei discepoli con le Persone divine vengono solitamente espresse nel Vangelo di Giovanni con il verbo meno, che vuol dire «rimanere, dimorare» in e con qualcuno: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). «Rimanete in me ed io in voi» (15,4).

— «Erano circa le quattro del pomeriggio» (v. 39). Alla lettera: «era circa l’ora decima». Notazione cronologica, che oltre ad avere il valore suggestivo di una personale ed emotiva partecipazione ai fatti, vale anche come importante sottolineatura. Quella fu un’ora unica e indimenticabile: fu l’ora della chiamata di Gesù, cui i due primi discepoli aderirono.

— «Abbiamo trovato il Messia» (v. 40). Le successive chiamate si sviluppano «a catena»: l’esperienza di un discepolo attira gli altri, e pone le premesse umane per una successiva chiamata di Gesù. «Trovare» non è semplice incontrare, ma corrisponde al senso denso di «cercare»: epilogo e approdo di un cammino di ricerca. Si noti la progressione dei titoli: precedentemente i discepoli avevano chiamato Gesù semplicemente «Rabbi» o Maestro. Qui dicono di aver trovato il Messia, colui che Israele attendeva come liberatore e salvatore da parte di Dio. Da un titolo all’altro, il cammino di fede è meraviglioso e graduale.

— «Fissando lo sguardo su di lui» (v. 42). Se è Andrea a condurre il fratello da Gesù, la chiamata di Pietro non dipende da questa mediazione di ordine umano. Il primato dell’iniziativa di Gesù anche in questo caso è sottolineato da due tratti; il primo è lo sguardo interiore di Gesù (in gr. enblepō), indice della conoscenza interiore e della radicale trasformazione che esso produce nella vita di lui (vedi anche il caso di Natanaele: «Donde mi conosci?», (v. 48); il secondo è il cambiamento di nome messo in luce fin dal momento della chiamata ed è compito che il Cristo intende affidargli in riferimento alla edificazione della sua Chiesa (cf. Mt 16,16-18): il nome di «Roccia» (Kephas) lo riceve da colui che, stando a Paolo, è la vera roccia (cf. 1Cor 10,4).

 

Meditazione

     Il racconto evangelico di questa domenica si apre con la figura di Giovanni che si staglia inamovibile e ferma («il giorno dopo stava ancora là») sul limitare di quel Giordano che, il giorno prima, era stato spettatore privilegiato della discesa dello Spirito su Gesù, Messia ancora sconosciuto a Israele (cfr. Gv 1,29-34). Uno sguardo vivo e penetrante e una mano puntata in direzione dell’«agnello di Dio» che passa, dicono tutta la forza e la grandezza di questo testimone singolare, il cui compito sta tutto nel riconoscere Gesù e additarlo ai suoi discepoli (saranno poi loro a seguire il Maestro, mentre Giovanni, terminata la sua testimonianza, si eclisserà silenziosamente). Giovanni è colui che vede e capisce e, per questo, come un vero testimone, può indicare e annunciare a coloro che ancora non hanno visto e capito.

     All’inizio di ogni cammino di discepolato, all’inizio di ogni vocazione, c’è sempre la testimonianza di qualcuno che ci aiuta a percepire la voce di Dio (normalmente non così facile da riconoscere) e a farci intravedere i tratti del suo volto (che rischiano, altrimenti, di rimanere oscuri ai nostri occhi). Così è stato per il giovane Samuele: la guida esperta e sicura dell’anziano Eli lo ha condotto all’incontro con Dio, aiutandolo a discernere la sua voce nell’oscurità della notte (cfr. la prima lettura: 1Sam 3,3ss.). In questo senso, l’accoglienza della testimonianza di un altro bandisce ogni pretesa di scoprire da soli la via da percorrere.

     «Ecco l’agnello di Dio!» (v. 36). All’ascolto di questa parola, i due discepoli si mettono subito in movimento sulle tracce di Gesù. L’ascolto precede sempre la sequela e si pone come radice di ogni vera esperienza di Dio: «Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta» (1Sam 3,10, usato anche come canto al vangelo). È l’atteggiamento primo da assumere nei confronti di quel Dio che chiama e ci dona la sua parola di vita.

     Il voltarsi di Gesù e la seguente sua domanda (v. 38) mostrano che, nell’itinerario di ricerca, l’iniziativa rimane sempre sua. «Che cercate?»: sono le prime parole che Gesù pronuncia nel quarto vangelo e sono parole che interrogano e mettono a nudo le motivazioni e i desideri reconditi dei discepoli. Ma sono parole che interpellano e provocano anche i lettori di ogni tempo, anche noi che ci accingiamo a ripercorrere il cammino di sequela che molti altri, prima di noi, hanno già percorso (ed è per questo, forse, che uno dei due discepoli che seguono Gesù rimane anonimo: ognuno può prenderne il posto…).

     Alla cruciale e decisiva domanda di Gesù, i discepoli, a loro volta, rispondono ponendo un’altra domanda, anch’essa centrale: «Rabbì, dove dimori?» (v. 38b). È importante iniziare la ricerca, muovere i primi passi nel cammino della fede, con la domanda giusta. La domanda dei discepoli non è infatti banale: essa esprime il desiderio di conoscere l’identità di Gesù, il mistero della sua persona, la qualità della sua vita (troviamo qui il verbo mén?, «dimorare», «rimanere», molto caro al quarto evangelista) . Il seguito del vangelo ci farà poi scoprire dove sta la «dimora» di Gesù, una dimora, tra l’altro, alla quale il Figlio di Dio vuole condurre tutti coloro che il Padre gli ha affidato (cf r. Gv 14,1-4;17,24).

     L’esperienza che Gesù invita a fare è annunciata con due dei più semplici ed elementari verbi: «Venite e vedrete» (v. 39). Due azioni tra le più comuni, che coinvolgono piedi e occhi (come le due estremità di una persona), diventano capaci di qualificare tutto un itinerario di fede. Nel linguaggio giovanneo, infatti, «venire a» e «vedere» sono sinonimi di «credere», perché la fede non è altro che un andare verso Gesù e un vedere diversamente, con occhi nuovi, con occhi che sanno andare oltre il velo della carne per cogliere il cuore di una persona.

     Il curioso dettaglio dell’«ora decima» (v. 39), in una narrazione così schematica e priva di riferimenti e particolari precisi, indica il segno indelebile, rimasto nella memoria, di quell’incontro che ha cambiato la traiettoria della vita. Da quell’esperienza di profonda intimità e comunione con Gesù (il «dimorare» con lui) nasce poi il bisogno irresistibile di comunicare la scoperta avvenuta, quasi come un fuoco che, una volta acceso, tende per sua natura a propagarsi in modo inarrestabile (Andrea, che conduce il fratello Simone da Gesù, diventa così il primo anello di una lunga catena…).

     «Fissando lo sguardo su di lui» (v. 42). La scena si conclude con lo stesso sguardo con cui era iniziata; solo che ora lo sguardo è quello di Gesù. Gesù guarda Pietro allo stesso modo con cui Giovanni aveva prima guardato Gesù (in entrambi i casi il verbo usato è lo stesso: emblépsas). Sembra quasi che Giovanni abbia potuto riconoscere Gesù perché l’ha guardato con i suoi stessi occhi… È in quello sguardo di Gesù, prima ancora che nella sua parola, che è racchiuso per tutti un futuro nuovo e inatteso: «Tu sei… tu ti chiamerai…».

 

L’immagine della domenica

 

«L’Amato le montagne,

le boschive valli solitarie,

le isolate inesplorate,

i fiumi gorgoglianti,

il sibilo dei venti innamorati,

la quiete della notte

vicina allo spuntar dell’aurora,

musica silenziosa,

solitudin sonora,

cena che ristora ed innamora.

(Giovanni della Croce, Cantico spirituale B, strofe 14-15).

 

 

Preghiere e racconti

 

Dalla lettera del Santo Padre Francesco ai giovani in occasione della presentazione del Documento preparatorio della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi

Carissimi giovani,

 […] Desidero anche ricordarvi le parole che Gesù disse un giorno ai discepoli che gli chiedevano: «Rabbì […], dove dimori?». Egli rispose: «Venite e vedrete» (Gv 1,38-39). Anche a voi Gesù rivolge il suo sguardo e vi invita ad andare presso di lui. Carissimi giovani, avete incontrato questo sguardo? Avete udito questa voce? Avete sentito quest’impulso a mettervi in cammino? Sono sicuro che, sebbene il frastuono e lo stordimento sembrino regnare nel mondo, questa chiamata continua a risuonare nel vostro animo per aprirlo alla gioia piena. Ciò sarà possibile nella misura in cui, anche attraverso l’accompagnamento di guide esperte, saprete intraprendere un itinerario di discernimento per scoprire il progetto di Dio sulla vostra vita. Pure quando il vostro cammino è segnato dalla precarietà e dalla caduta, Dio ricco di misericordia tende la sua mano per rialzarvi.

[…] Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi, alla vostra voglia di cambiamento e alla vostra generosità. Non abbiate paura di ascoltare lo Spirito che vi suggerisce scelte audaci, non indugiate quando la coscienza vi chiede di rischiare per seguire il Maestro. Pure la Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai pastori. San Benedetto raccomandava agli abati di consultare anche i giovani prima di ogni scelta importante, perché «spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore» (Regola di San Benedetto III, 3).

Così, anche attraverso il cammino di questo Sinodo, io e i miei fratelli Vescovi vogliamo diventare ancor più «collaboratori della vostra gioia» (2 Cor 1,24). Vi affido a Maria di Nazareth, una giovane come voi a cui Dio ha rivolto il Suo sguardo amorevole, perché vi prenda per mano e vi guidi alla gioia di un «Eccomi» pieno e generoso (cfr Lc 1,38).

Con paterno affetto,

FRANCESCO

Dal Vaticano, 13 gennaio 2017

 

Dove abita Dio?

Un giorno in cui riceveva degli ospiti eruditi, Rabbi Mendel di Kozk li stupì chiedendo loro a bruciapelo: “Dove abita Dio?”. Quelli risero di lui: “Ma che vi prende? Il mondo non è forse pieno della sua gloria?”. Ma il Rabbi diede lui stesso la risposta alla domanda: “Dio abita dove lo si lascia entrare”.

(Tratto da Il cammino dell’uomo, di Martin Buber).

 

Un cane come maestro

Un gruppo di sufi disse al loro maestro amato: “Vorremo onorare il maestro che ti ha formato così egregiamente, con una lapide. Chi fu?”. Rispose: “Il mio maestro fu un cane”. E tra la meraviglia generale proseguì: “Un giorno vidi un cane assetato avvicinarsi ad una pozza d’acqua. Ma, vedendo nell’acqua limpida la propria immagine riflessa, scappò via spaventato temendo che fosse un altro cane. Più cresceva la sete, più tentava di avvicinarsi all’acqua, ma sempre l’immagine riflessa lo spaventava. Alla fine si decide: tuffò la testa nell’acqua, l’immagine sparì e bevve. Allora capii che fino a quando avessi avuto davanti a me stesso il mio “io”, mai sarei giunto a capire Dio”.

(G. Mandel, Saggezza islamica)

 

Incontrare Cristo

«Incontrare Cristo significa mettervi sulla strada dell’esperienza dell’amore, della gioia, della bellezza, della verità. Decidere di non custodire e di non approfondire il segreto dell’incontro con lui equivarrebbe a condannarsi a una vita senza senso e senza amore. Vorrei soprattutto dirvi, non abbiate paura, non abbiate timore di aprirvi a Cristo, di entrare nel suo mistero».

(Card. C.M. Martini).

 

Che cercate?

Gesù si volse e, visto che lo seguivano, dice loro: che cercate? Qui ci si insegna che Dio non previene la nostra volontà coi suoi doni: ma, quando noi abbiamo fatto il primo passo, quando abbiamo offerto la nostra volontà, allora anch’egli ci da molteplici occasioni di salvezza.

Che cercate? E che è questo? Colui che conosce il cuore degli uomini, colui che possiede a fondo i nostri pensieri, questi interroga? Sì, ma non per apprendere (come si potrebbe dire una cosa simile?), ma per metterli più a loro agio con la domanda, per ispirare maggior confidenza, per mostrar loro che li riteneva degni di un colloquio, è probabile infatti che arrossissero e fossero timorosi, perché si sentivano ignoranti, e avevano udito il maestro affermare di lui grandi cose. Volendo allontanare e la vergogna e il timore li interroga: non li lascia giungere in silenzio fino a casa. Essi tuttavia l’avrebbero seguito ugualmente anche se non li avesse interrogati, e tenendogli dietro sarebbero giunti a casa. Perché dunque li interroga? Per la ragione che ho detto: per conciliarsi il loro animo timido ed esitante, ed infondere fiducia.

Essi poi non dimostrarono il loro desiderio soltanto col seguirlo, ma anche con la domanda che gli rivolsero. Lo chiamano infatti Maestro senza aver ancora ne appreso ne udito nulla da lui, annoverandosi senz’altro tra i suoi discepoli e indicando la ragione per cui l’avevano seguito: il desiderio cioè di udire qualcosa di utile. Ma vedi quanta prudenza. Non dissero: Istruiscici su qualche punto di dottrina o insegnaci qualche altra cosa necessaria. Dicono invece: Dove abiti? Desideravano infatti e parlargli e ascoltarlo con tutta calma. Non rimandano perciò a più tardi, non dicono: Verremo domani e ti ascolteremo quando parlerai in pubblico, ma mostrano che avevano grande desiderio di udirlo, tanto da non essere trattenuti neppure dall’ora tarda. Il sole infatti stava per tramontare: Eran circa le quattro, dice. Perciò Cristo non indica loro la casa o il luogo dove abita: li attira invece anche più a sé mostrando di averli accettati come suoi. E neanche dice: Non sarebbe ora il momento di venirmi a trovare, udrete domani quel che volete udire, ora ritornate a casa, o qualcosa di simile, ma parla loro come fossero amici da lungo tempo. […]

Impariamo anche noi sul loro esempio a tutto posporre all’istruzione nelle cose di Dio, a non ritenere inopportuno nessun momento. Anche se è necessario, per questo, andare in casa di estranei, e avvicinare, noi, uomini oscuri, degli uomini grandi, anche intempestivamente, in qualunque momento, non trascuriamo mai un simile commercio. Abbiano il loro tempo fisso il cibo, i bagni, le cene e le altre cose riguardanti la vita quotidiana: ma l’apprendimento della celeste sapienza non abbia ora determinata: tutti i momenti sono buoni.

(GIOVANNI CRISOSTOMO (350-407), Omelie sul vangelo di Giovanni, 18).

 

Chi stiamo cercando?

Ai primi discepoli che, forse ancora incerti e dubbiosi, si mettono al seguito di un nuovo Rabbì, il Signore chiede: « Che cercate? » (Gv 1,38). In questa domanda possiamo leggere altre radicali domande: che cosa cerca il tuo cuore? Per che cosa ti affanni? Stai cercando te stesso o stai cercando il Signore tuo Dio? Stai inseguendo i tuoi desideri o il desiderio di Colui che ha fatto il tuo cuore e lo vuole realizzare come Lui sa e conosce? Stai rincorrendo solo cose che passano o cerchi Colui che non passa? « In questa terra della dissomiglianza, di che cosa dobbiamo occuparci, Signore Dio? Dal sorgere del sole al suo tramonto vedo uomini travolti dai vortici di questo mondo: alcuni cercano ricchezze, altri privilegi, altri ancora le soddisfazioni della popolarità », osservava san Bernardo.10

« Il tuo volto, Signore, io cerco » (Sl 26,8) è la risposta della persona che ha compreso l’unicità e l’infinita grandezza del mistero di Dio e la sovranità della sua santa volontà; ma è anche la risposta, sia pur implicita e confusa, di ogni creatura umana in cerca di verità e felicità. Quaerere Deum è stato da sempre il programma di ogni esistenza assetata di assoluto e di eterno. Molti tendono oggi a considerare mortificante qualunque forma di dipendenza; ma appartiene allo statuto stesso di creatura l’essere dipendente da un Altro e, in quanto essere in relazione, anche dagli altri.

Il credente cerca il Dio vivo e vero, il Principio e il Fine di tutte le cose, il Dio non fatto a propria immagine e somiglianza, ma il Dio che ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, il Dio che manifesta la sua volontà, che indica le vie per raggiungerlo: « Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra » (Sl 15,11).

Cercare la volontà di Dio significa cercare una volontà amica, benevola, che vuole la nostra realizzazione, che desidera soprattutto la libera risposta d’amore al suo amore, per fare di noi strumenti dell’amore divino. È in questa via amoris che sboccia il fiore dell’ascolto e dell’obbedienza.

(CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÁ DI VITA APOSTOLICA, Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, n. 4).

 

Dio nella quotidianità

A mezzanotte l’aspirante asceta annunciò: «Questo è il tempo di lasciare la mia casa e di andare in cerca di Dio. Ah, chi mi trattenne tanto a lungo in questa illusione?» Dio sussurrò: «Io». Ma l’uomo aveva le orecchie turate. Con un bimbo addormentato al suo seno, sua moglie dormiva placidamente su un lato del letto. L’uomo disse: «Chi siete voi che mi avete ingannato per tanto tempo?» Ancora la voce mormorò: «Essi sono Dio». Ma egli non intese. Il bimbo pianse nel sonno e si strinse accanto alla madre. Allora Dio comandò: «fermati, sciocco, non abbandonare la tua casa!» Ma egli ancora non udì. Dio allora tristemente sospirando, disse: «Perché il mio servo mi abbandona per andare in cerca di me?».

(Tagore)

 

Ricerca di Dio

Ora che ti ho conosciuto, posso dire: se non t’avessi incontrato, credo che avrei dovuto spendere tutta la vita per cercarti.

(O. OLIVIERO, L’amore ha già vinto. Pensieri e lettere spirituali (1977-2005), Milano 2005, 153).

 

La sete di Dio

Un discepolo andò dal suo maestro e gli disse: «Maestro, voglio trovare Dio». E il maestro sorrise. E siccome faceva molto caldo, invitò il giovane ad accompagnarlo a fare un bagno nel fiume. Il giovane si tuffò e il maestro fece altrettanto. Poi lo raggiunse e lo agguantò, tenendolo a viva forza sottacqua. Il giovane si dibattè alcuni istanti, finché il maestro lo lasciò tornare a galla. Quindi gli chiese che cosa avesse desiderato di più mentre si trovava sott’acqua. Il discepolo rispose: «L’aria, evidentemente». «Desideri Dio allo stesso modo e la sua parola allo stesso modo?» gli chiese il maestro. «Se lo desideri così, non mancherai di trovare lui e la sua parola. Ma se non hai in te questa sete ardentissima, a nulla ti gioveranno i tuoi sforzi e i tuoi libri. Non potrai trovare la fede se tu non la desideri come l’aria per respirare».

(Racconto dei Padri del Deserto)

 

Tu mi vieni incontro per fissarmi negli occhi

Sono io, Signore, Maestro buono, quel tale che tu guardi negli occhi con intensità di amore. Sono io, lo so, quel tale che tu chiami a un distacco totale da se stesso.

È una sfida. Ecco, anch’io ogni giorno mi trovo davanti a questo dramma: alla possibilità di rifiutare l’amore. Se talvolta mi ritrovo stanco e solo, non è forse perché non ti so dare quanto tu mi chiedi? Se talvolta sono triste, non è forse perché tu non sei il tutto per me, non sei veramente il mio unico tesoro, il mio grande amore? Quali sono le ricchezze che mi impediscono di seguirti e di gustare con te e in te la vera sapienza che dona pace al cuore?

Tu ogni giorno mi vieni incontro sulla strada per fissarmi negli occhi, per darmi un’altra possibilità di risponderti radicalmente e di entrare nella tua gioia. Se a me questo passo da compiere sembra impossibile, donami l’umile certezza di credere che la tua mano sempre mi sorreggerà e mi guiderà là, oltre ogni confine, oltre ogni misura, dove tu mi attendi per donarmi null’altro che te stesso, unico sommo Bene.

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

o serviti di:

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006- .

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. II: Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Anno B, Milano, Vita e Pensiero, 2008.

– Comunità di S. Egidio, La Parola e la storia, Milano, Vita e Pensiero, 2011.

Immagine della domenica, a cura di García-Orsini-Pennesi.

 

PER L’APPROFONDIMENTO:

II DOMENICA TEMPO ORDINARIO ANNO B