PENTECOSTE

Prima lettura: Atti 2,1-11

 Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano  stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei?

E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi,  Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

 

  • Il celebre racconto lucano della Pentecoste ha una certa “drammaticità”, con la quale s’intende conferire il giusto rilievo all’importanza del fatto. In primo luogo, occorre notare che, ormai, la festa di Pentecoste stava volgendo al termine, essendo iniziata, com’era prassi nella liturgia ebraica, nel pomeriggio del giorno precedente. L’accaduto, dunque, si è verificato al mattino, come dirà poi Pietro, per giustificare il fatto che, quelli che sembravano ubriachi, non lo erano affatto perché non avevano bevuto, essendo le nove (cf. la diceria dell’ubriachezza degli apostoli al v. 13 e la risposta di Pietro al v. 15), quando mancavano ancora poche ore per la conclusione della festa. I discepoli, raccolti in un unico luogo, furono testimoni e destinatari di un evento teofanico, i cui elementi letterari sono facilmente riconoscibili: il rumore forte, che viene dall’alto, e il fuoco, in forma di lingue: «Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro» (vv. 2-3).

         L’effetto della discesa dello Spirito fu subito avvertibile dai pellegrini presenti alla festa, come testimonia il v. 4: «e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi». Il lungo elenco di nazionalità riportato dall’autore degli Atti fa capire l’ampiezza della partecipazione a feste come Pentecoste (in ebraico Shavuot), Pasqua (Pesach) e Capanne (Sukkot). Bisogna, però, ricordare che si trattava di Giudei, provenienti dalla diaspora o che, vissuti in diaspora, erano ritornati a vivere a Gerusalemme (v. 5: «Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo»). Sono essi i primi popoli destinatari dell’annuncio della novità di Cristo risorto. A costoro i discepoli propongono un annuncio nella loro propria lingua, come il testo stesso afferma più volte, sia nel già citato v. 5, nel v. 6 («A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua »), nell’8 («E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?») e nell’11 («li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio »).

         Il particolare ora messo in rilievo non è da trascurare: l’evento della discesa dello Spirito sui discepoli significa che questi ultimi vengono spinti a proseguire la missione di Gesù, rivolgendola a tutte le nazioni, poiché la comunità dei credenti dovrà imparare ad annunciare il Vangelo nelle lingue di ogni popolo che si trova sulla faccia della terra.

 

Seconda lettura: 1 Corinzi 12,3b-7.12-13

Fratelli, nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo. Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune.

Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.

 

  •  Lo Spirito, con la sua azione, invade ogni aspetto della vita del credente in Cristo e della Chiesa. Com’è possibile, infatti, professare la fede e avvicinarsi al sublime mistero della conoscenza di Cristo se manca lo Spirito? D’altronde, l’apostolo con chiarezza lo afferma: «nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (12,3b). Alla stessa stregua, com’è possibile immaginare la vita della Chiesa senza lo Spirito, il quale ne anima l’esistenza e la missione nel mondo con la molteplicità dei carismi e delle operazioni? La solennità di Pentecoste, dunque, impone una riflessione, oltre che sull’opera dello Spirito Santo nel mondo, anche sulla sua presenza discreta, efficace e sorprendente.

         Abituati come siamo a considerare quasi esclusivamente gli aspetti organizzativi, con programmazioni e piani pastorali di breve, medio e lungo periodo, probabilmente dimentichiamo che, da parte sua, lo Spirito Santo, nella propria sovrana libertà, ha già tracciato delle linee di progettualità, elargendo doni e suscitando ministeri per il bene del popolo di Dio. Tali doni e carismi, però, hanno come prima finalità quella di creare l’unità del popolo che Dio si è acquistato con il sangue di suo Figlio: «Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito» (12,12-13). Il progetto dello Spirito, dunque, è formare e consolidare il corpo di Cristo che è la Chiesa, alla quale apparteniamo in virtù del Battesimo. E quel Dio, presso il quale non ci sono preferenze, desidera che in quest’unico corpo vi sia radunata l’intera umanità, senza distinzioni di razza e nazionalità, lingua o cultura. In quell’unico corpo, inoltre, è consentito ai credenti di abbeverarsi allo Spirito attraverso la vita sacramentale, la quale ne irrobustisce e rinvigorisce le forze, cosicché essi possano affrontare le quotidiane insidie del maligno e far vincere la concordia, la misericordia e l’unità.

 

Vangelo:Giovanni 20,19-23

 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.  Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

 

Esegesi 

     Nel capitolo 20, come sappiamo, il Vangelo di Giovanni racconta gli avvenimenti del giorno della Pasqua. Chi vide il Signore risorto per prima e parlò con lui fu Maria Maddalena presso il sepolcro (vv. 14-17), la quale, poi, andò a riferire agli altri discepoli quanto le era accaduto (v. 18). Soltanto a sera Gesù apparve ai discepoli riuniti, come concordemente afferma, oltre a Giovanni, anche Luca (cf. 24,36-43). Infatti, i due racconti presentano diversi punti in comune: a sera Gesù appare in mezzo ai discepoli; egli saluta dicendo: «Pace a voi!»; Gesù mostra le ferite sul suo corpo per facilitare il riconoscimento da parte dei discepoli. Giovanni, inoltre, in poche battute riferisce il mandato missionario e l’effusione dello Spirito, mentre Luca parla più ampiamente della missione (cf. 24,44-48) e fa soltanto annunciare a Gesù il prossimo invio dello Spirito (cf. 24,49).

     Dopo questo raffronto, che conferma una certa e ben nota vicinanza tra gli evangelisti Giovanni e Luca, ritorniamo all’esame del brano. Dobbiamo subito notare la situazione di “miseria” in cui versavano i discepoli. Costoro erano in un luogo (non specificato dal racconto evangelico), con le porte sbarrate per paura dei Giudei: ciò fa pensare che essi, oltre a motivi di prudenza (temevano di essere arrestati o di essere accusati di aver rubato il corpo di Gesù?), non si attendevano altro da quella giornata, in cui non era ancora certo se dovessero nutrire speranze o, al contrario, aspettare il momento opportuno per fuggire da Gerusalemme. Ci possiamo chiedere che effetto abbiano avuto le visite al sepolcro vuoto da parte di Pietro e del discepolo prediletto e la testimonianza di Maria Maddalena, tuttavia la sorpresa di vedersi apparire Gesù dovette essere grande.

     L’apparizione di Gesù è indicata dal verbo «venne», molto probabilmente per sottolineare che, nonostante le porte ben chiuse, egli era nella possibilità di entrare in quel luogo. Il saluto «Pace a voi!», inoltre, va considerato non quale semplice augurio, o addirittura come normale saluto, poiché esprime una realtà di fatto: davvero la pace è con loro, dal momento che, con la presenza di Gesù, ormai risorto, ciò che costituiva una semplice promessa diventa ora una concreta realtà. Il «Pace a voi!» viene ripetuto al v. 21, forse perché Gesù vuole ulteriormente rassicurare i discepoli, dopo aver mostrato loro le mani e il costato.

     Subito dopo, segue il comando missionario: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». In Giovanni si segnala molto esplicitamente che il motivo fondante della missione nasce dall’iniziativa del Padre, il quale ha mandato sulla terra il Figlio, che a sua volta invia i discepoli, proseguendo questa catena. A tal proposito, si deve confrontare questa frase con il testo di Gv 17,18: «Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io mando loro nel mondo».

     Infine, l’ultimo momento del racconto è rappresentato dalla cosiddetta insufflazione. In Gv 20,22-23 troviamo scritto che Gesù, «Detto questo, soffiò (in greco enefásesen) e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». L’unico motivo per cui ci siamo permessi di segnalare l’espressione «soffiò» in greco è dovuto al fatto che anche nella versione greca dell’Antico Testamento (che gli scrittori del NT generalmente usano), in Gn 2,7, leggiamo lo stesso verbo: «allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò (enefásesen) nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente». L’evangelista intenzionalmente adopera il medesimo verbo, perché stabilisce una relazione tra lo spirito, che diede la vita all’uomo creato da Dio traendolo  dalla polvere, e lo Spirito Santo, che conferisce ai discepoli la potestà di “restituire la vita” con l’eccezionale dono della remissione dei peccati a vantaggio della comunità dei credenti.

     Il passaggio dalla morte alla vita rappresenta una vera specialità dello Spirito. Un altro testo di riferimento si trova in Ez 37,9, nella versione greca, dove, usando lo stesso verbo dei brani precedenti (benché in una forma grammaticale diversa), pure è scritto che lo Spirito soffia, affinché venga restituita la vita ai morti: «Egli aggiunse: “Profetizza allo spirito, profetizza figlio dell’uomo e annunzia allo spirito: Dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia (emfáseson) su questi morti, perché rivivano”». E che lo Spirito dia la vita e la risurrezione ben lo esprime Paolo, che rapporta la risurrezione di Cristo alla nostra: «E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11).

 

Meditazione 

      Il dono dello Spirito celebrato a Pentecoste è intravisto dai testi biblici odierni come linguaggio della comunità cristiana che riesce a comunicare ad extra le opere di Dio (I lettura), come principio ordinatore che regola i doni e i ministeri all’interno della comunità secondo il principio dell’«utilità comune» (1Cor 12,7; II lettura), come forza escatologica che stabilisce la pace nella comunità e consente ai discepoli di rimettere i peccati (vangelo).

    Lo Spirito crea relazione e innesta in Cristo le relazioni intraecclesiali, interecclesiali e missionarie. Esso guida ciascuno e tutti nella comunità ad assumere i modi e i pensieri di Cristo in vista dell’edificazione dell’unico corpo: la chiesa.

    Il vangelo stabilisce un nesso tra Spirito santo e remissione dei peccati. Il Risorto mostra ai discepoli le ferite delle mani e del costato e dona la pace e lo Spirito santo. Perdonare è donare attraverso le ferite ricevute, è fare del male subito l’occasione di un gesto di amore, è creare pace con una sovrabbondanza di amore che vince l’odio e la violenza sofferti. Il Risorto ha vinto in se stesso, nella sua persona, con l’amore, il male patito e, manifestando ai discepoli la continuità del suo amore nei loro confronti, comunica loro anche la via per partecipare alla sua vita di Risorto: vincere il male con il bene, rispondere alla cattiveria con la dolcezza, far prevalere la grazia sulla vendetta e sulla rivalsa. Prima di essere capacità di perdono nei confronti di altri, lo Spirito insegna al credente a riconoscere il male che abita in lui e a vincerlo con il bene e l’amore. Del resto, come potrebbe stabilire la pace fuori di sé chi non ha stabilito la pace in se stesso? Come potrebbe amare il nemico esterno chi non ha cominciato a far prevalere l’amore sui nemici interiori e sull’odio di sé?

    Frutto dello Spirito, il perdono è evento escatologico prima che etico. Tuttavia, il dinamismo umano del perdono è lungo e faticoso. Per perdonare occorre rinunciare alla volontà di vendicarsi; riconoscere che si soffre per il male subito e che tale male ci ha privati realmente di qualcosa; condividere con qualcuno il racconto del male subito; dare il nome a ciò che si è perso per poterne fare il lutto; dare alla collera il diritto di esprimersi; perdonare a se stessi (soprattutto il male subito da persone amate o vicine suscita pesanti sensi di colpa che rischiano di imprigionare per tutta la vita); comprendere l’offensore, cioè guardarlo come un fratello che il male ha allontanato da me; trovare un senso al male ricevuto; sapersi perdonati da Dio in Cristo. Questo cammino il credente lo vive aprendosi alle energie dello Spirito che fanno regnare Cristo in lui e nei suoi rapporti.

     Lo Spirito è dono e promessa: le due cose a un tempo. Come dono esso è verificabile nella vita del credente e della chiesa nei frutti di carità, pace, benevolenza, pazienza, mitezza; come promessa esso apre il futuro, suscita la speranza, da una direzione di cammino. Nel nostro testo, lo Spirito è dono e impegno: dono del Risorto che impegna nella missione i discepoli. Missione che, avendo al suo cuore la remissione dei peccati, è essenzialmente far sperare, dare una forma vivibile al tempo degli uomini, dischiudere orizzonti di senso narrando il perdono di Dio.

          Lo Spirito, in quanto dono di Dio, dona al credente e alla chiesa la forma Christi. Come il Risorto dona lo Spirito attraverso il suo corpo, corpo ferito e risorto, così lo Spirito, accolto dai discepoli, vivifica il loro corpo psicofisico (paralizzato dalla paura) e il corpo ecclesiale che essi formano (immobilizzato nella chiusura). Il Figlio, inviato dal Padre, ha donato agli uomini il volto e l’umanità di Dio, e ora dona loro il respiro, il soffio di Dio grazie a cui essi potranno donare al mondo, con i loro corpi, le loro vite e le relazioni che vivranno, la narrazione del volto di Cristo. Narrazione che nel donare il perdono trova il suo momento più alto. Non a giudicare o a condannare è chiamata la chiesa ma a narrare la grande opera del Dio che ha risuscitato Gesù dai morti: la remissione dei peccati, il perdono.

 


Spirito di Dio,

che agli inizi della creazione

ti libravi sugli abissi dell’universo

e trasformavi in sorriso di bellezza

il grande sbadiglio delle cose,

scendi ancora sulla terra

e donale il brivido dei cominciamenti.

Questo mondo che invecchia,

sfioralo con l’ala della tua gloria.

(Don Tonino Bello).

 

Preghiere e racconti 

Come si può parlare dello Spirito Santo?

Se non era facile parlare ai contemporanei di Dio, ancora più difficile è stato parlare loro del Figlio di Dio. Ma come si deve parlare dello Spirito santo di Dio, che non si può concepire né rappresentare e, certamente, neppure dipingere?

Nella storia dell’arte occidentale c’è un pittore, al quale più che ad altri si attribuisce un anelito di spiritualizzazione. Molti dei suoi dipinti sono pervasi di un’inquietudine estatica. Lo spazio da lui dipinto è spesso più accennato simbolicamente che reale; domina la verticale, il movimento ascensionale; le sue figure sembrano stirate artificialmente, allungate in maniera innaturale; il gioco delle ombre e delle luci è altamente drammatico; i contorni sfumano. La bellezza è qui in larga misura smaterializzata – anche a prescindere dagli occhi espressivi di molte figure.

Questo pittore proviene dall’arte greco-bizantina, tuttavia a Venezia e a Roma, presso i grandi maestri Tiziano, Bassano e Tintoretto, si era appropriato delle acquisizioni del rinascimento e del manierismo. E tutto questo coniugava con la religiosità popolare mistica della Spagna, lui che non era spagnolo e che tuttavia era più spagnolo degli spagnoli: Domenikos Theotokópoulos di Creta detto El Greco (1541-1614), non soltanto pittore, ma anche scultore, architetto e teorico dell’arte.

Nel suo ultimo periodo creativo questo artista molto raffinato, prossimo ai settant’anni e sempre più assistito dal figlio nei suoi lavori, aveva provato a rappresentare un oggetto che, rispetto al Natale, al Venerdì santo o alla Pasqua, è infinitamente meno presente nella pittura occidentale: la Pentecoste, la festa dell’effusione dello Spirito santo. In questo dipinto che tende verso l’alto – ora al Prado di Madrid -, in uno scenario surreale su sfondo grigioverde, si vede un gruppo di persone, dominato dallo Spirito e composto da due donne e da una dozzina di uomini. Essi sono in preda a un’appassionata eccitazione, evidente dai volti e dai gesti: alcuni protendono le mani verso l’alto, altri allungano il collo e altri ancora guardano in estatico rapimento. In alto ci sono dieci figure, quasi come in un dipinto greco-bizantino, tutte alla stessa altezza, dietro le quali, in posizione obliqua, altre figure Si piegano in atteggiamento di sorpresa. Le loro vesti, dai colori molto intensi – verde, azzurro, giallo, rosso e colori terrei -, ricevono luce dall’alto. Sopra ciascuna delle figure fluttua una piccola abbagliante lingua di fuoco, che rende le figure rappresentate ancor più profilate, mosse ed estatiche. Un dipinto altamente drammatico di un’audacia quasi espressionistica, e tuttavia concentrato, smaterializzato, spiritualizzato.

E lo Spirito stesso, lo Spirito santo? Eccolo lassù in alto, in uno splendore divino, che illumina l’oscurità dello spazio. Rappresentato mediante quel simbolo che a partire dal battesimo di Gesù viene usato molto presto anche per le raffigurazioni della Pentecoste: il simbolo della colomba. Fin nell’alto medioevo esso rimane quello prevalente e viene ripreso a partire dal secolo XVI/XVII, appunto nel tempo di El Greco.

«Ma nella teologia non si parla continuamente – con riferimento ad alcune affermazioni del vangelo di Giovanni – dello Spirito santo come di una persona (il “Consolatore”)? E non compare perciò, per lo meno nell’arte medievale, in figura spesso direttamente umana?»

In effetti, nell’arte medievale lo Spirito viene spesso rappresentato, insieme a Dio e al suo Figlio, come la terza di tre figure umane uguali – tre angeli o dèi. O proprio all’opposto: a partire dal secolo XIII fino al rinascimento italiano la trinità di Padre, Figlio e Spirito veniva spesso dipinta perfino come un’unica figura con tre teste o tre volti (Tri-kephalos) – una divinità sotto tre modalità, dunque. Ma entrambi – triteismo o modalismo – non sono oggi ugualmente inaccettabili per l’uomo contemporaneo?

Ma si ascolti e ci si stupisca: le due rappresentazioni sono state vietate dai papi: già Urbano VIII vietava nel 1628 queste immagini troppo umane della Trinità, e a partire dall’illuminato Benedetto XIV (1745) lo Spirito santo può essere rappresentato soltanto nella figura della colomba, decisione ribadita ancora nel nostro secolo, nel 1928, dal Sanctum Officium, dall’autorità dell’Inquisizione romana, ora denominata Congregazione della fede. Ciò induce ad affrontare l’interrogativo fondamentale.

 

Che cosa significa Spinto santo?

Come si sono immaginati gli uomini dell’antico tempo biblico lo «Spirito» e l’agire invisibile di Dio? Percepibile e tuttavia non percepibile, invisibile e tuttavia potente, di vitale importanza come l’aria che si respira, carico di energia come il vento, la tempesta, questo è lo Spirito. Tutte le lingue conoscono una parola per indicare ciò, e la diversità del genere in cui lo collocano dimostra che lo spirito non è così facilmente determinabile: spiritus in latino è maschile (come anche «lo» spirito in italiano), ruah invece in ebraico è femminile, mentre il greco conosce il neutro pneuma.

Lo spirito, quindi, è in ogni caso una realtà totalmente diversa da una persona umana. La «ruah»: secondo l’inizio del racconto della creazione è quello «scroscio» o «tempesta» di Dio che aleggia sopra le acque. E il «pneuma»: sta, anche secondo il Nuovo Testamento, in opposizione alla carne», alla realtà creata, transeunte, ed è la potenza e la forza viva che promana da Dio. Lo Spirito è quindi quella forza e potenza di Dio che opera creando o anche distruggendo, come vita o come giudizio, che opera sia nella creazione sia nella storia, in Israele come anche, in seguito, nelle comunità cristiane. Secondo la Bibbia, questa potenza può raggiungere l’uomo con forza o con levità, può indurre in estasi singole persone o anche interi gruppi, come appunto quello raffigurato nel quadro di El Greco. Lo Spirito opera nei grandi uomini e nelle grandi donne, in Mosè e nei «giudici» d’Israele, nei guerrieri, nei cantori e nei re, nei profeti e nelle profetesse, ma anche – come nel nostro quadro – negli apostoli e nelle discepole. Il centro nel quadro è chiaramente rappresentato da Maria madre di Gesù in veste rossa, verso la quale si piega la giovane Maria di Magdala.

Ma in che senso questo Spirito è lo Spirito santo? Lo Spirito è «santo» in quanto viene distinto dallo spirito non santo dell’uomo e del suo mondo e deve essere visto come lo Spirito dell’unico Dio santo. Lo Spirito santo è lo Spirito di Dio. Neppure nel Nuovo Testamento lo Spirito santo è – come spesso nella storia delle religioni – un qualche fluido magico, sostanziato, misteriosamente soprannaturale, di natura dinamica («qualcosa» di spirituale) o un essere magico di tipo animistico (un fantasma o uno spettro). Anche nel Nuovo Testamento lo Spirito santo non è che Dio stesso.  Dio stesso, in quanto egli è vicino agli uomini e al mondo, anzi egli diventa loro intimo in quanto potenza che afferra, ma non è afferrabile, in quanto forza che vivifica, ma anche giudica, in quanto grazia che dona, ma non è a disposizione dell’uomo.

C’è però una domanda: proprio il simbolo della colomba (in origine uccello messaggero delle dee dell’amore nell’antico Oriente), che ha a sua volta soppiantato la rappresentazione antropomorfica dello Spirito santo, non evoca associazioni antropomorfiche?  Risposta: in ogni caso questo simbolo dell’elemento materno-femminile, del dono della vita, dell’amore e della pace – entrato nel racconto del battesimo di Gesù forse passando attraverso l’antica tradizione ebraica della sapienza (Filone) -, sottolinea la dimensione femminile in Dio, che è tanto importante quanto quella maschile, perché in Dio stesso, ribadiamolo ancora una volta, la differenziazione sessuale è inclusa e insieme viene superata. Va però ammesso che la maggior parte dei fraintendimenti sullo Spirito santo provengono dal fatto che lo si è staccato da Dio e reso autonomo alla stregua di una figura mitologica. Comunque proprio il concilio di Costantinopoli del 381, al quale dobbiamo l’estensione allo Spirito santo della professione di fede, originariamente cristologica, del concilio di Nicea del 325, afferma esplicitamente: lo Spirito è della medesima natura del Padre e del Figlio.

In nessun caso, dunque, si può concepire lo Spirito santo come un terzo, come una realtà tra Dio e l’uomo. No, con la parola Spirito è intesa la vicinanza personale di Dio stesso agli uomini, altrettanto poco separabile da Dio quanto il raggio dal sole. Se dunque ci si chiede come il Dio invisibile e inafferrabile sia vicino, presente ai credenti, alla comunità di fede, la risposta del Nuovo Testamento suona concorde: Dio è vicino a noi uomini nello Spirito; è presente nello Spirito, mediante lo Spirito, anzi, come Spirito. E se ci si chiede come Gesù Cristo, elevato e accolto presso Dio, sia vicino ai credenti e alla comunità di fede, la risposta, secondo Paolo, suona: Gesù è diventato uno «Spirito vivificatore» (1 Cr 15, 45). Anzi, «il Signore (Il Kyrios, quindi Gesù, il glorificato) è lo Spirito» (2Cor 3,17). Ciò significa che lo Spirito di Dio ora è anche lo Spirito del Glorificato presso Dio, così che ora il Signore elevato presso Dio è nel modo di esistere e agire dello Spirito. Ora perciò egli può essere mediante lo Spirito, nello Spirito, in quanto Spirito. L’incontro di Dio, del Kyrios e dello Spirito con i credenti è in realtà un unico e medesimo incontro. Ma si noti bene: Dio e il suo Cristo non sono presenti soltanto attraverso il ricordo soggettivo dell’uomo o attraverso la fede. Essi sono presenti piuttosto in virtù della realtà spirituale, dell’attività di Dio e di Gesù Cristo stesso, che vengono incontro all’uomo.

 

Credere nello Spirito Santo

Credere nello Spirito santo, nello Spirito di Dio, significa per me ammettere fiduciosamente che Dio stesso può farsi presente nel mio intimo, che egli come potenza e forza di grazia può diventare il signore del mio intimo ambivalente, del mio cuore spesso così insondabile. E, ciò che qui è per me particolarmente importante: lo Spirito di Dio non è uno spirito di schiavitù. Egli è comunque lo Spirito di Gesù Cristo, che è lo Spirito di libertà. Questo Spirito di libertà promanava già dalle parole e dalle azioni del Nazareno. Il suo Spirito è ora definitivamente lo Spirito di Dio, da quando il Crocifisso è stato glorificato da Dio e vive e regna nel modo di essere di Dio, nello Spirito di Dio. Perciò a piena ragione Paolo può dire: «Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà» (2Cor 3,17). E con ciò non s’intende soltanto una libertà dalla colpa, dalla legge e dalla morte, ma anche una libertà per l’agire, per una vita nella gratitudine, nella speranza e nella gioia (…).

Questo Spirito di libertà, in quanto Spirito del futuro, mi spinge in avanti: non nell’aldilà della consolazione, ma nel presente della prova.

E poiché so che lo Spirito santo è lo Spirito di Gesù Cristo, io ho anche un criterio concreto per saggiare e discernere gli spiriti. Dello Spirito di Dio non si può più abusare come di una forza divina oscura, senza nome e facilmente equivocabile. No, lo Spirito di Dio è con tutta chiarezza lo Spirito di Gesù Cristo. E ciò significa in modo del tutto concreto che né una gerarchia né una teologia e neppure un fanatismo che vogliano richiamarsi allo «Spirito santo» oltre Gesù, possono requisire lo Spirito di Gesù Cristo. Qui hanno i loro limiti ogni ministero, ogni obbedienza, ogni partecipazione alla vita della teologia, della chiesa e della società.

Credere nello Spirito santo, nello Spirito di Gesù Cristo significa per me, anche di fronte ai molti movimenti carismatici e pneumatici: che lo Spirito non è mai una mia propria possibilità, ma è sempre forza, potenza, dono di Dio, da ricevere con fiducia incondizionata. Egli quindi non è un non santo spirito del tempo, della chiesa, del ministero o dell’entusiasmo; egli è sempre il santo Spirito di Dio, che soffia dove e quando vuole, e non si lascia catturare da nessuno: come giustificazione di un potere assoluto di insegnamento e di governo, di infondate leggi dogmatiche della fede o anche di un fanatismo religioso e di una falsa sicurezza della fede. No, nessuno – né vescovo né professore, né parroco né laico – «possiede» lo Spirito, ma ognuno può invocare di continuo: «Vieni, santo Spirito».

Ma, poiché ripongo la mia speranza in questo Spirito, io posso, con buone ragioni, credere non certo nella chiesa, ma nello Spirito di Dio e di Gesù Cristo anche in questa chiesa, che è composta da uomini fallibili come lo sono anch’io. E, poiché ripongo la mia speranza in questo Spirito, io sono preservato dalla tentazione di staccarmi, rassegnato o cinico, dalla chiesa. Poiché ripongo la mia speranza in questo Spirito io, nonostante tutto, posso dire in buona coscienza: credo la santa chiesa. Credo sanctam ecclesiam.

(H. KUNG, Credo). 

 

La Chiesa ha bisogno…

La Chiesa ha bisogno della sua perenne pentecoste. Ha bisogno di fuoco nel cuore, di parole sulle labbra, di profezia nello sguardo. La Chiesa ha bisogno d’essere tempio dello Spirito Santo, di totale purezza, di vita interiore. La Chiesa ha bisogno di risentire salire dal profondo della sua intimità personale, quasi un pianto, una poesia, una preghiera, un inno, la voce orante cioè dello Spirito Santo, che a noi si sostituisce e prega in noi e  per noi «con gemiti ineffabili», e che interpreta il discorso che noi da soli non sapremmo rivolgere a Dio. La Chiesa ha bisogno di riacquistare la sete, il gusto, la certezza della sua verità e di ascoltare con inviolabile silenzio e con docile disponibilità la voce, il colloquio parlante nell’assorbimento contemplativo dello Spirito, il quale insegna «ogni verità».

E poi ha bisogno la Chiesa di sentir rifluire per tutte le sue umane facoltà, l’onda dell’amore che si chiama carità e che è diffusa nei nostri cuori proprio «dallo Spirito Santo che ci è stato dato». Tutta penetrata di fede, la Chiesa ha bisogno di sperimentare l’urgenza, l’ardore, lo zelo di questa carità; ha bisogno di testimonianza, di apostolato. Avete ascoltato, voi uomini vivi, voi giovani, voi anime consacrate, voi fratelli nel sacerdozio? Di questo ha bisogno la Chiesa. Ha bisogno dello Spirito Santo in noi, in ciascuno di noi, e in noi tutti insieme, in noi Chiesa. Sì, è dello Spirito Santo che, soprattutto oggi, ha bisogno la Chiesa. Dite dunque e sempre tutti a lui: «Vieni!»

(PAOLO VI, Discorso del 29 novembre 1972).

 

Omelia di Papa Francesco pronunciata per la Santa Messa di sabato 24 maggio 2014 presso l’International Stadium di Amman: 

  

Nel Vangelo abbiamo ascoltato la promessa di Gesù ai discepoli: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16). Il primo Paraclito è Gesù stesso; l’«altro» è lo Spirito Santo. Qui ci troviamo non lontano dal luogo in cui lo Spirito Santo discese con potenza su Gesù di Nazareth, dopo che Giovanni lo ebbe battezzato nel fiume Giordano (cfr Mt 3,16), e oggi mi recherò li. Dunque il Vangelo di questa domenica, e anche questo luogo nel quale grazie a Dio mi trovo pellegrino, ci invitano a meditare sullo Spirito Santo, su ciò che Egli compie in Cristo e in noi, e che possiamo riassumere in questo modo: lo Spirito compie tre azioni: prepara, unge e invia.

 

Nel momento del battesimo, lo Spirito si posa su Gesù per prepararlo alla sua missione di salvezza; missione caratterizzata dallo stile del Servo umile e mite, pronto alla condivisione e alla donazione totale di sé. Ma lo Spirito Santo, presente fin dall’inizio della storia della salvezza, aveva già operato in Gesù nel momento del suo concepimento nel grembo verginale di Maria di Nazareth, realizzando l’evento mirabile dell’Incarnazione: “lo Spirito Santo ti colmerà, ti adombrerà – dice l’Angelo a Maria – e tu partorirai un Figlio al quale porrai nome Gesù” (cfr Lc 1,35).

 

In seguito, lo Spirito Santo aveva agito in Simeone e Anna nel giorno della presentazione di Gesù al Tempio (cfr Lc 2,22). Entrambi in attesa del Messia; entrambi ispirati dallo Spirito Santo, Simeone ed Anna alla vista del Bambino intuiscono che è proprio l’Atteso da tutto il popolo. Nell’atteggiamento profetico dei due vegliardi si esprime la gioia dell’incontro con il Redentore e si attua in certo senso una preparazione dell’incontro tra il Messia e il popolo.

 

I diversi interventi dello Spirito Santo fanno parte di un’azione armonica, di un unico progetto divino d’amore. La missione dello Spirito Santo, infatti, è di generare armonia – Egli stesso è armonia – e di operare la pace nei differenti contesti e tra i soggetti diversi. La diversità di persone e di pensiero non deve provocare rifiuto e ostacoli, perché la varietà è sempre arricchimento. Pertanto, oggi, invochiamo con cuore ardente lo Spirito Santo, chiedendogli di preparare la strada della pace e dell’unità.

 

In secondo luogo, lo Spirito Santo unge. Ha unto interiormente Gesù, e unge i discepoli, perché abbiano gli stessi sentimenti di Gesù e possano così assumere nella loro vita atteggiamenti che favoriscono la pace e la comunione. Con l’unzione dello Spirito, la nostra umanità viene segnata dalla santità di Gesù Cristo e ci rende capaci di amare i fratelli con lo stesso amore con cui Dio ci ama. Pertanto, è necessario porre gesti di umiltà, di fratellanza, di perdono, di riconciliazione. Questi gesti sono premessa e condizione per una pace vera, solida e duratura.

 

Chiediamo al Padre di ungerci affinché diventiamo pienamente suoi figli, sempre più conformi a Cristo, per sentirci tutti fratelli e così allontanare da noi rancori e divisioni e poter amarci fraternamente. È quanto ci ha chiesto Gesù nel Vangelo: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito, perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,15-16).

 

E infine lo Spirito Santo invia. Gesù è l’Inviato, pieno dello Spirito del Padre. Unti dallo stesso Spirito, anche noi siamo inviati come messaggeri e testimoni di pace. Quanto bisogno ha il mondo di noi come messaggeri di pace, come testimoni di pace! E’ una necessità che ha il mondo. Anche il mondo ci chiede di fare questo: portare la pace, testimoniare la pace!

 

La pace non si può comperare, non si vende. La pace è un dono da ricercare pazientemente e costruire “artigianalmente” mediante piccoli e grandi gesti che coinvolgono la nostra vita quotidiana. Il cammino della pace si consolida se riconosciamo che tutti abbiamo lo stesso sangue e facciamo parte del genere umano; se non dimentichiamo di avere un unico Padre nel cielo e di essere tutti suoi figli, fatti a sua immagine e somiglianza.

 

In questo spirito abbraccio tutti voi: il Patriarca, i fratelli Vescovi, i sacerdoti, le persone consacrate, i fedeli laici, i tanti bambini che oggi ricevono la Prima Comunione e i loro familiari. Il mio cuore si rivolge anche ai numerosi rifugiati cristiani; anche tutti noi, con il nostro cuore, rivolgiamoci a loro, ai numerosi rifugiati cristiani provenienti dalla Palestina, dalla Siria e dall’Iraq: portate alle vostre famiglie e comunità il mio saluto e la mia vicinanza.

 

Cari amici, cari fratelli, lo Spirito Santo è disceso su Gesù presso il Giordano e ha dato avvio alla sua opera di redenzione per liberare il mondo dal peccato e dalla morte. A Lui chiediamo di preparare i nostri cuori all’incontro con i fratelli al di là delle differenze di idee, lingua, cultura, religione; di ungere tutto il nostro essere con l’olio della sua misericordia che guarisce le ferite degli errori, delle incomprensioni, delle controversie; la grazia di inviarci con umiltà e mitezza nei sentieri impegnativi ma fecondi della ricerca della pace. Amen!

 

Si compie ciò che era prefigurato in quei giorni

Fratelli, è iniziato un giorno di grazia, in cui la santa chiesa risplende agli occhi dei fedeli e riscalda i loro cuori. Celebriamo questo giorno in cui il Signore Gesù Cristo, dopo la sua risurrezione, glorificato dalla sua ascensione, inviò lo Spirito santo. Sta scritto nell’evangelo: «Se uno ha sete, venga a me e beva; chi crede in me, dal suo seno fluirà acqua viva» e l’evangelista prosegue: «Diceva questo dello Spirito santo che dovevano ricevere quelli che avrebbero creduto in lui. Infatti non era stato ancora dato loro lo Spirito perché Gesù non era stato ancora glorificato» (Gv 7,37-39). Gesù, risorto dai morti e asceso al cielo, doveva ancora inviare lo Spirito santo che aveva promesso. Così avvenne. Il Signore, dopo essere risorto dai morti, passò quaranta giorni con i suoi discepoli, poi ascese al cielo e il cinquantesimo giorno, che oggi celebriamo, inviò lo Spirito santo come sta scritto: «Venne all’improvviso un rombo dal cielo, come di vento che si abbatte gagliardo e apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,1-4). Quel vento purificava i cuori dalla paglia carnale, quel fuoco consumava il fieno degli antichi desideri cattivi, quelle lingue con cui parlavano quelli che erano colmi di Spirito santo prefiguravano la chiesa che sarebbe stata presente nelle lingue di tutte le genti. Come infatti dopo il diluvio gli uomini superbi e malvagi edificarono contro il Signore una torre altissima per cui il genere umano meritò di essere diviso in lingue diverse così che ogni popolo parlava la propria lingua senza essere compreso dagli altri (cfr. Gen 11,1-9), così l’umile fervore dei fedeli riportò all’unità della chiesa la diversità di quelle lingue perché ciò che la discordia aveva diviso fosse radunato dalla carità e le membra disperse del genere umano, quali membra di un solo corpo, venissero riunite, ben compaginate, a Cristo, loro unico capo, e si fondessero nell’unità del santo corpo mediante il fuoco dell’amore. […] Voi, fratelli miei, membra del corpo di Cristo, germogli di unità, figli della pace, trascorrete questa festa nella gioia, celebratela senza timore. In voi si compie infatti ciò che era prefigurato in quei giorni, quando venne lo Spirito santo poiché come allora chi riceveva lo Spirito santo, pure essendo una sola persona, parlava in tutte le lingue, così anche ora la chiesa, una tra tutti i popoli, parla tutte le lingue e voi, costituiti in tale unità, possedete lo Spirito santo.

(AGOSTINO DI IPPONA, Discorsi 271,1 Opere di sant’Agostino XXXII/2, pp. 1038-1040).

 

Cinquanta giorni dopo la Pasqua, celebriamo la solennità della Pentecoste, in cui ricordiamo la manifestazione della potenza dello Spirito Santo, il quale  come vento e come fuoco  scese sugli Apostoli radunati nel Cenacolo e li rese capaci di predicare con coraggio il Vangelo a tutte le genti (cfr At 2,1-13). Il mistero della Pentecoste, che giustamente noi identifichiamo con quell’evento, vero “battesimo” della Chiesa, non si esaurisce però in esso.

La Chiesa infatti vive costantemente della effusione dello Spirito Santo, senza il quale essa esaurirebbe le proprie forze, come una barca a vela a cui venisse a mancare il vento. La Pentecoste si rinnova in modo particolare in alcuni momenti forti, a livello sia locale sia universale, sia in piccole assemblee che in grandi convocazioni. I Concili, ad esempio, hanno avuto sessioni gratificate da speciali effusioni dello Spirito Santo, e tra questi vi è certamente il Concilio Ecumenico Vaticano II.

Possiamo ricordare anche il celebre incontro dei movimenti ecclesiali con il Venerabile Giovanni Paolo II, qui in Piazza San Pietro, proprio nella Pentecoste del 1998. Ma la Chiesa conosce innumerevoli “pentecoste” che vivificano le comunità locali: pensiamo alle Liturgie, in particolare a quelle vissute in momenti speciali per la vita della comunità, nelle quali la forza di Dio si è percepita in modo evidente infondendo negli animi gioia ed entusiasmo. Pensiamo a tanti convegni di preghiera, in cui i giovani sentono chiaramente la chiamata di Dio a radicare la loro vita nel suo amore, anche consacrandosi interamente a Lui.

Non c’è dunque Chiesa senza Pentecoste. E vorrei aggiungere: non c’è Pentecoste senza la Vergine Maria. Così è stato all’inizio, nel Cenacolo, dove i discepoli “erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la Madre di Gesù, e ai fratelli di lui”  come ci riferisce il libro degli Atti degli Apostoli (1,14).

(Benedetto XVI, Le parole del Papa alla recita del Regina caeli, 23.05.2010).

Vieni, o Spirito del cielo

Vieni, o Spirito del cielo,

manda un raggio di tua luce,

manda il fuoco creatore.

 

Misterioso cuor del mondo,

o bellezza salvatrice,

vieni dono della vita.

 

Tu sei il vento sugli abissi,

tu il respiro al primo Adamo,

ornamento a tutto il cielo.

 

Vieni, luce della luce,

delle cose tu rivela

la segreta loro essenza.

 

Concezione germinale

della terra e di ogni uomo,

gloria intatta della Vergine…

 

O tu Dio in Dio amore,

tu la luce del mistero,

tu la vita di ogni vita.

 

(David Maria Turoldo)  

 

 

 

 

 

Pentecoste, particolare dei mosaici, Duomo di Monreale.

© Su gentile concessione della Fabbriceria del Duomo di Monreale.


«O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli».
È con questa invocazione sulle labbra e nel cuore che la Chiesa celebra il mistero della Pentecoste cinquanta giorni dopo la Pasqua. Una volta compiuta l’opera che il Padre aveva affidato a Cristo, prima che il giorno di Pentecoste giungesse alla fine, fu inviato alla Chiesa lo Spirito Santo, dono del Risorto, per santificarla e perché i credenti avessero accesso alla vita divina. È lo Spirito del Padre e del Figlio che dà la vita, quale sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna (cf. Gv 4,14), Dono per eccellenza che il Padre fa agli uomini per richiamarli dalla morte alla vita (cf. Gv 7,38) e così custodirli fino al giorno della risurrezione finale in comunione con Cristo. Essi sono perciò resi partecipi, anche con i loro corpi mortali (cf. Rm 8,10), della medesima gloria del corpo risorto di Cristo.
Con l’effusione dello Spirito preannunciata dai profeti e realizzata dal Risorto, viene dunque inaugurato il tempo della Chiesa in cui il Paraclito conduce alla “verità tutta intera”, interiorizza il mistero di Cisto, lo rende presente per i credenti di ogni luogo e di ogni tempo, guida e sostiene la Chiesa nella sua missione di annuncio e di testimonianza del vangelo. Se è vero che «lo Spirito Santo operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato», tuttavia «fu nel giorno della Pentecoste che egli discese sui discepoli, per rimanere con loro in eterno, e la Chiesa apparve pubblicamente di fronte alla moltitudine, ed ebbe inizio mediante la predicazione e la diffusione del Vangelo in mezzo ai pagani» (Ad Gentes 4).

Tra i suggestivi mosaici che ricoprono quasi per intero la superfice della Cattedrale di Monreale, la scena della Pentecoste è posta nel complesso dell’illustrazione musiva delle apparizioni del Risorto ai suoi discepoli. Questi sono come disposti in semicerchio attorno a una mensa ideale. Da una semisfera posta in alto, simbolo del divino, si dipartono dodici raggi luminosi con delle fiammelle che raggiungono gli apostoli i quali danno vita a un unico e indivisibile disegno, poiché una sola è la rete che li unisce tra di essi e che li congiunge a Dio. Colpisce l’essenzialità della scena nella quale si nota immediatamente non solo l’assenza di ogni architettura e di ogni riferimento a un possibile luogo fisico ben preciso, ma soprattutto l’assenza della Madre del Signore. In realtà Maria è il simbolo più forte e l’immagine più pura della Chiesa ricolma di Spirito Santo.
Questa verità risalta maggiormente se si prende in considerazione il fatto che «nell’economia della grazia, attuata sotto l’azione dello Spirito Santo, c’è una singolare corrispondenza tra il momento dell’incarnazione del Verbo e quello della nascita della Chiesa. La persona che unisce questi due momenti è Maria: Maria a Nazareth e Maria nel cenacolo di Gerusalemme. In entrambi i casi la sua presenza discreta, ma essenziale, indica la via della “nascita dallo Spirito”. Così colei che è presente nel mistero di Cristo come madre, diventa – per volontà del Figlio e per opera dello Spirito Santo – presente nel mistero della Chiesa.

Anche nella Chiesa continua ad essere una presenza materna». Lo scrive Giovanni Paolo II al n. 24 della Redemptoris Mater. Gli fa eco Benedetto XVI il quale nella Spe salvi si rivolge a Maria con una preghiera con la quale il popolo di Dio in cammino verso la Gerusalemme celeste, rigenerato dall’acqua e dallo Spirito, può concludere il tempo pasquale: «Presso la croce, in base alla parola stessa di Gesù, tu eri diventata madre dei credenti. In questa fede, che anche nel buio del Sabato Santo era certezza della speranza, sei andata incontro al mattino di Pasqua.
La gioia della risurrezione ha toccato il tuo cuore e ti ha unito in modo nuovo ai discepoli, destinati a diventare famiglia di Gesù mediante la fede. Così tu fosti in mezzo alla comunità dei credenti, che nei giorni dopo l’Ascensione pregavano unanimemente per il dono dello Spirito Santo (cf. At 1,14) e lo ricevettero nel giorno di Pentecoste» (n. 50).

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004;2007-.

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– Comunità domenicana di Santa Maria delle Grazie, La grazia della predicazione. Tempo di Quaresima e Tempo di Pasqua, in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano»  95 (2014) 2, pp.67.

– C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.

– E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A, Milano, Vita e Pensiero, 2010.

– F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità. Anno A, Padova, Messaggero, 2001.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– J.M. BERGOGLIO – PAPA FRANCESCO, Matteo, il Vangelo del compimento, a cura di Gianfranco Venturi, LEV 2016.

– UFFICIO LITURGICO NAZIONALE (CEI), Svuotò se stesso… Da ricco che era si è fatto povero per voi. Sussidio CEI quaresima-pasqua 2014.

– Immagine della domenica, a cura di García-Orsini-Pennesi.

 

PER L’APPROFONDIMENTO

PASQUA PENTECOSTE