XXXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Prima lettura:Sapienza 11,22-12,2

Signore, tutto il mondo davanti a te è come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra. Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta? Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza? Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita. Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore.                                           

 

Il brano della prima lettura è tratto dal libro della Sapienza, che è stato scritto direttamente in greco, da ebrei ellenizzati, e che non è entrato nel canone ebraico, ma è arrivato alle chiese cristiane dalla traduzione greca della Bibbia cosiddetta dei Settanta.

      L’autore sta magnificando la grandezza di Dio e paragona tutto l’universo dinanzi a lui a della polvere «sulla bilancia» (Sap 11,22). Il richiamo è a Is 40,15, dove però «pulviscolo sulla bilancia» sono le nazioni.

      La seconda parte del versetto ribadisce lo stesso concetto con un’altra bella immagine: «tutto il mondo davanti a te è… come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra» (Os 6,4: dove il paragone della rugiada è applicato a Efraim e Giuda; cf. Os 13,3).

Subito dopo aver contrapposto la piccolezza dell’universo alla grandezza di Dio, l’autore ne sottolinea la misericordia e l’amore infinito.

      Dio fa conoscere la sua onnipotenza attraverso la compassione e il perdono. Egli dimentica i peccati in vista della conversione (Sap 11,23). «Io non godo, dice il Signore attraverso il profeta Ezechiele, della morte dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva» (Ez 33,11).

      L’amore di Dio non è rivolto solo agli esseri umani, ma a tutte le creature, che sono venute all’esistenza e vi rimangono proprio grazie al suo amore. «Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su ogni creatura» (Sal 145,9).

      L’esistere delle creature è una chiamata di Dio; tutte le cose appartengono a Dio, che è «Signore, amante della vita». Il suo «spirito incorruttibile è in tutte le cose» (Sap 11,26; cf. Sap 1,13-14). Lo Spirito di Dio non è solo nell’uomo (Gn 2,7), ma in ogni essere vivente, che vive grazie al dono continuo di Dio: «se nascondi il tuo volto vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra» (Sal 104,29-30).

      Il versetto 2 del cap. 12 riprende il concetto iniziale della pedagogia di Dio verso il peccatore: egli castiga con parsimonia e ammonisce con insistenza allo scopo di chiamare i peccatori a conversione.

 

Seconda lettura: 2Tessalonicesi 1,11-2,2

Fratelli, preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede, perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo. Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente.

 

L’apostolo nei versetti 11 e 12 che chiudono il primo capitolo della seconda lettera ai Tessalonicesi dichiara di pregare «di continuo» per i cristiani di Tessalonica. Egli sottolinea di nuovo le implicazioni etiche della prospettiva escatologica raccomandate loro nelle parole immediatamente precedenti. Questa prospettiva non è solo un incentivo alla paziente sopportazione della sofferenza per amore di Cristo; è anche un incitamento per una vita di azione positiva in armonia con il fine per il quale Dio li ha chiamati. Dio, che chiama «al suo regno e alla sua gloria» (1Tes 2,12), chiede una condotta adeguata alla chiamata e dona il suo Spirito, perché abitando nei credenti, li renda capaci di comportarsi secondo la sua giustizia.

      La «grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo» è lo Spirito stesso di Dio, che rende simili a lui e fa capaci di glorificare il suo nome. La comunità cristiana deve nella sua testimonianza rendere visibile la gloria di Cristo e questo è possibile solo col dono dello Spirito.

      Gli altri due versetti esortano ad evitare i falsi allarmismi riguardo alla nuova venuta di Gesù, tanto attesa nelle prime comunità cristiane. Paolo implora i Tessalonicesi, perché rendano la loro testimonianza senza lasciarsi «confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera» (2Ts 2,2). Non ci si deve far ingannare da nessuno (cf. Mt 24,4); si deve attendere fiduciosi la venuta del Signore, senza farsi prendere dalla paura di una catastrofe imminente, paura che non è mai buona consigliera e non lascia la serenità necessaria per affrontare le vere necessità della vita presente.

 

Vangelo: Luca 19,1-10

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».   

 

Esegesi 

      I vangeli, in particolare Luca, ci presentano più volte Gesù che sta in mezzo ai pubblicani e ai peccatori: «Si avvicinarono a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo» (Lc 15,1), «mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli» (Mt 9,10). Tale comportamento provoca lo stupore della gente: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro!» (Lc 15,2). Luca, però, sottolinea che è proprio questa la missione di Gesù: avvicinare i peccatori e portarli a conversione. «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori affinché si convertano» (Lc 5,32).

      Predicare il perdono e la conversione è anche la missione dei discepoli: «Nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati a cominciare da Gerusalemme» (Lc 24,47). Dio stesso gioisce per la conversione del peccatore: «ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7.10).

      In questo quadro si situa l’episodio di Zaccheo. Questo personaggio viene presentato come capo dei pubblicani (architelones), vale a dire degli esattori delle tasse, e ricco. Il vocabolo greco architelones è usato solo qui in tutto il Nuovo Testamento e non si trovano esempi nemmeno nella letteratura profana. Luca vuole sottolineare probabilmente che Zaccheo era un esattore importante a Gerico, era potente, oltre ad essere ricco, apparteneva perciò a quella categoria della quale Gesù aveva detto: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Lc 18,25; cf. Mt 19,24; Mc 10,25). È così assolutamente evidente, che la sua conversione è opera della potenza di Dio misericordioso. Infatti «ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio», (Lc 18,27; cf. Mt 18,26; Mc 10,27).

      Zaccheo è mosso dalla curiosità di vedere Gesù e sale su un albero, perché altrimenti la sua bassa statura gli impedirebbe di vedere, dato il grande accorrere di gente, attratta dalla fama di Gesù.

      Gesù, giunto sotto l’albero, invita Zaccheo a scendere «in fretta» (speusas participio aoristo di speudo, agendo in fretta, affrettandoti, festinans nella Volgata); e Zaccheo «in fretta» scese (Lc 19,5.6). Questa fretta indica la sollecitudine nella chiamata e la prontezza nella risposta. Zaccheo accoglie Gesù «pieno di gioia», mentre chi osservava mormorava sulla condotta di Gesù: «È entrato in casa di un peccatore!» (Lc 19,7, cf. 5,30:15,2), Zaccheo, nel ricevere Gesù a casa sua, esprime con gesti concreti la sua volontà di conversione: dona la metà dei suoi beni ai poveri e ristabilisce la giustizia, che aveva violato, restituendo il quadruplo a coloro a cui aveva estorto denaro ingiustamente. Zaccheo prende come misura del risarcimento quello prescritto in Esodo 21,27. Egli ritorna ad accollarsi il «giogo dei precetti», che nella sua professione aveva più volte violato e rientra quindi a pieno titolo nell’alleanza di Dio col suo popolo.

      Gesù, infatti, nell’annunciargli la salvezza sottolinea che «anch’egli è figlio di Abramo», vale a dire che l’alleanza con Dio, che è un atto di amore gratuito di Dio stesso, non si rompe con i peccati degli uomini. Dio è fedele alla sua promessa ed è sempre in attesa della conversione. Gesù «è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10) a testimonianza della misericordia del Padre.  

  

L’immagine della domenica

 
 

Ricerca di Dio 

Dio ha preparato segni tangibili per farsi riconoscere

da chi lo cerca con sincerità

li ha tuttavia mascherati

in modo tale che egli potrà essere scoperto

solo da chi lo cerca con tutto il suo cuore.

(Blaise Pascal)

 

Meditazione

      Il testo della Sapienza parla del Dio che ha misericordia (vb. eleéo: Sap 11,23) di tutti e non guarda ai peccati degli uomini in vista della loro conversione (metánoia: Sap 11,23); il vangelo presenta Zaccheo come uomo che fa esperienza della misericordia del Signore ed esempio concreto di conversione.

      Zaccheo cerca di vedere Gesù, ma la folla gli è di ostacolo. Per incontrare Gesù occorre uscire dalla folla, osare la propria singolarità, assumere i propri limiti per trovare il proprio personale cammino, occorre il coraggio di «cantare fuori dal coro».

      La grandezza del piccolo Zaccheo sta nell’intelligente assunzione del limite della propria statura e nel trovare aiuto in un albero di sicomoro su cui sale per poter vedere Gesù. I limiti precisi che ci abitano (fisici, morali, intellettuali ecc.), quando siano assunti con maturità e intelligenza, non ci impediscono di incontrare il Signore, ma ci consentono di far avvenire tale incontro nella verità. Questa assunzione ci rende anche intelligenti nel saper ricorrere alle creature che ci vivono accanto perché suppliscano alla nostra indigenza.

      Capo dei pubblicani e ricco, Zaccheo probabilmente si è arricchito in modo disonesto, sfruttando le possibilità offerte dal sistema di riscossione delle imposte. Egli, che può essere etichettato come peccatore e disonesto, è abitato dal desiderio di incontrare Gesù, e cerca con tutte le sue forze di vederlo. Il testo afferma che Zaccheo «cercava di vedere chi era Gesù (tís estin)» (Lc 19,3), insinuando forse il desiderio di una conoscenza profonda di Gesù.

      E anche Gesù non si ferma al giudizio esteriore che potrebbe rinchiudere Zaccheo nel cliché del peccatore, non si rassegna a considerarlo solamente un peccatore, ma manifesta il suo desiderio di incontrarlo, di avere comunione con lui. E così narra il desiderio di Dio di incontrare ogni uomo, in particolare i peccatori. Il testo ci presenta così l’incontro del desiderio di Dio e del desiderio dell’uomo, che è, per entrambi, desiderio di salvezza.

Zaccheo cerca di vedere Gesù, di riconoscerlo, ma scopre di essere visto e conosciuto da Gesù stesso («Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo…”»: Lc 19,5), che addirittura gli manifesta l’intenzione di fermarsi a casa sua, quasi fosse una sua vecchia conoscenza. Il cammino che Zaccheo percorre per incontrare Gesù (correre avanti per evitare la folla, salire su un albero situato là dove Gesù sarebbe passato) sfocia nella scoperta che Gesù era già in cammino per incontrarlo: «Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). Spesso le nostre ricerche e i nostri cammini spirituali trovano il loro esito nella scoperta che il Signore già ci cercava ed era in cammino verso di noi. Queste nostre ricerche sono il nostro predisporre tutto all’evento della grazia. La forza dello sguardo di Gesù, che in Zaccheo non vede il pubblicano, il peccatore, l’uomo di bassa statura, il ricco, ma un uomo e un figlio di Abramo (Lc 19,9), conduce Zaccheo a ritrovare la vista, a redimere il suo sguardo. Ora egli vede tutti coloro a cui ha sottratto denaro ingiustamente, vede i poveri, e interviene concretamente in loro favore (Lc 19,8). Zaccheo vuole vedere Gesù (Lc 19,3) e incontra il Signore (Lc 19,8) e i gesti di conversione che Zaccheo attua non nascono da un atteggiamento di rimprovero di Gesù, ma dall’incondizionata e stupefacente accoglienza che Gesù gli riserva. Certo, a fronte di questo, resta sempre la possibilità di uno sguardo non evangelizzato, uno sguardo che in Zaccheo non vede che il peccatore e in Gesù una persona di cui scandalizzarsi: «Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!» (Lc 19,7).

      Ha scritto don Primo Mazzolari commentando questo testo: «Io posso anche non vedere il Signore: lui mi vede sempre, non può non vedermi. Io posso scantonare, lui no. L’amore si ferma sempre e viene inchiodato dalla pietà. Io guardo e mi scandalizzo, guardo e giudico, guardo e condanno, guardo e tiro diritto: lui mi guarda, si ferma e si muove a pietà».

 

Preghiere e racconti

 

Condivisione della propria vita 

 

     Dio mi ha salvato, Dio mi ha rivelato a me stesso. Non ero quindi ciò che si diceva di me. Io sono ciò che Dio dice di me. Ed è certamente a tale riguardo che si deve mettere in guardia, ancora una volta, contro un’eccessiva moralizzazione della fede… La nostra risposta alla proposta di Dio non è solo morale e virtuosa, non è solo risposta in moneta spicciola che tarpa le ali alla fede. Certo, bisogna avere una condotta morale. La cosa è talmente evidente che si è quasi imbarazzati a ricordarlo. Ma la morale è ben lontana dall’essere tutta la nostra risposta all’offerta di Dio. Essa riguarda il fine stesso della vita. E appello alla condivisione della propria vita; uomo, tu sei fatto per ben più della semplice etica. E in essa non si trova per me la tua unica risposta, né la tua sola prova nell’ultimo giorno. D’altronde, non hai bisogno di battere insistentemente alla porta dei templi per essere morale, ma per costruire il mio Regno!…

(A. Gesché, L’uomo, Dio per pensare II),

 

L’icona di un itinerario pastorale “per vedere Gesù”

 

      Gesù era uno di quei bei tipi di fronte ai quali nessuno era riuscito a restare indifferente. Suscitava entusiasmo o faceva arrabbiare. L’hanno cercato in tanti, per le ragioni le più strane. Lo cercavano quelli che attendevano da lui la guarigione, una buona parola, almeno un sorriso per continuare a sperare. Con la stessa decisione lo cercavano per eliminarlo, con la scusa che era pericoloso perché metteva in crisi l’osservanza formale della legge. Anche i suoi genitori e gli amici, ogni tanto hanno dovuto mettersi a cercarlo: all’improvviso spariva e nessuno sapeva dove era finito.

      La sua esistenza era incominciata sotto il segno della ricerca. Per metterlo al mondo, Maria e Giuseppe hanno dovuto cercare un angolo tranquillo, perché per questa famiglia di poveretti non c’ era posto da nessuna parte. L’hanno cercato i pastori, i magi, il re Erode. Anche chi voleva arrestarlo e non voleva sbagliare persona; l’hanno cercato coloro che volevano vederlo, per l’ultima volta, nel sepolcro.

      I suoi discepoli, spesso, hanno tentato di mettere un poco d’ordine nell’affannosa ricerca di Gesù. Hanno stabilito degli orari, per lasciargli qualche ora di sonno. Hanno selezionato quelli che avevano diritto da quelli che invece davano solo fastidio. Per questo, volevano escludere i bambini, chiassosi e confusionari, e i peccatori, troppo pericolosi per la dignità. Poverini…       lo facevano per difendere l’esistenza di Gesù, tirato da tutte le parti. Volevano organizzare le cose come si faceva di solito: distinguere tra le richieste buone e quelle inutili, tra le domande serie e quelle soltanto curiose. Gesù non c’è mai stato. Era fuori dei suoi schemi. Chi ama e vuole la vita, non può di sicuro fare un elenco di priorità né può decidere in anticipo chi lo cerca davvero o chi invece si prende gioco di lui.

 

La voglia di vedere Gesù

 

      “Zaccheo desiderava vedere chi fosse Gesù ma non riusciva perché c’era molta gente e lui era troppo piccolo”.

      Le pagine del Vangelo sono piene di racconti che potrebbero avere tutti uno stesso titolo: la voglia di vedere Gesù. Una storia, però, è più simpatica di tutte, quella di Zaccheo. La dovrebbe meditare la gente che, come noi, discute continuamente sulle domande dei giovani, per decidere meglio la qualità del servizio educativo e pastorale.

Zaccheo era un poco di buono. Lo sapevano tutti e glielo dicevano in faccia con un po’ di ritegno solo perché era un uomo potente e con i potenti è meglio andarci cauti. Lo sapeva bene anche lui, ma non gliene importava nulla (o quasi). Tanto lui aveva i soldi. E con i soldi risolveva tutti i problemi.

      Il suo guaio erano i soldi. Molti glieli invidiavano; moltissimi gli contestavano il modo con cui se li procurava. Zaccheo era un esattore delle tasse, uno di quelli che senza pietà spillava denaro a destra e a manca per conto dei Romani. Un pò di soldi li consegnava; un po’ se li teneva. E così aveva una barca di soldi e di nemici. Tutto questo, i buoni ebrei, attaccati ai soldi come tutti i nazionalisti esasperati, non glielo perdonavano davvero.

      Un giorno, viene a sapere che dalla sua città doveva passare Gesù. S’incuriosisce. “Lo devo vedere”, decide subito, “parlano tanto di lui… se non ne approfitto adesso, mi mancherà per sempre”. Ne parla con gli amici. Lo prendono in giro: “Zaccheo… hai deciso di convertirti… non ti bastano più i tuoi soldi? Pensa alla faccia dei tuoi nemici… Non dar loro questa consolazione”. Zaccheo è deciso: “Non c’è pericolo. Lo voglio vedere, punto e basta. Mi va simpatico, con quella banda di pescatori che si tira dietro”. Qualcuno gli sussurra: “Zaccheo, attento. Gesù è un tipo pericoloso”. “Per carità… tranquilli. Ci sono abituato. Io lo lascio parlare, come faccio con tutti. E poi faccio quello che mi pare. I soldi li ho io, non lui, che è un morto di fame, senza fissa dimora”.

Zaccheo si organizza per vedere Gesù. Studia le varie possibilità. Rinuncia alla soluzione troppo semplice di convincere, con qualche elemosina al posto giusto, di far passare Gesù sotto le finestre di casa sua. Preferisce scendere lui sulla strada. Ma c’è un problema. Zaccheo ha un piccolo difetto fisico: è basso di statura. Lo scopre adesso. Se si mescola alla folla, addio possibilità di vedere Gesù.

      Non riuscirebbe a vedere nulla. Zaccheo ci pensa. Chiede consiglio. Poi decide di testa sua: “Mi arrampico su un albero, in barba alla dignità”.

 Si organizza per stare tranquillo, appollaiato sul suo albero, fino al passaggio di Gesù. “Lo voglio vedere”. Finalmente passa Gesù. Zaccheo tiene il fiato. È il momento più difficile. Se qualcuno si accorge, povera la sua dignità e addio faccia tosta. Domani, nell’ufficio delle imposte, tutti lo guarderanno con un tono che ti prende giro alla testa ai piedi.

      Ecco, Gesù. Boh…tutto lì? Che capita? Si ferma? Si ferma proprio sotto l’albero di Zaccheo. Scende dalla cavalcatura e guarda in alto. “Zaccheo….”. Zaccheo trema di vergogna. “Zaccheo, vieni giù, devo parlarti”. Ormai è fatta. Zaccheo scende e si mette davanti a Gesù pronto a tutto. Gesù gli sorride. Sorride a Zaccheo? Poi parla. Altro che rimproveri…neppure un buon consiglio. Dice Gesù: “Zaccheo, ho deciso: oggi vengo a pranzo a casa tua. Ti va?”.

Zaccheo si sente un colpo a cuore. Voleva vedere Gesù per curiosità, per non essere tagliato fuori quando tra gli amici si parlava di lui. E adesso Gesù sconvolge tutti i suoi piani. Si propone come ospite della sua casa e della sua vita. Zaccheo non ci pensa due volte. Risponde al volo, con una gioia traboccante: “Gesù, grazie. Vieni. Preparo in fretta. Ci facciamo un pranzo di quelli da ricordare”.

Gesù ha buttato le braccia al collo a Zaccheo. Non gli ha fatto nessun rimprovero né ha posto alcuna condizione. Gli ha restituito tutta la dignità. L’ha riconciliato con se stesso…la prima persona dopo anni di rimproveri, noiosi quanto inutili. Può ospitare Gesù a casa sua: se Gesù l’ha detto, è segno che lui può farlo. Zaccheo ritrova la gioia di stare in compagnia con se stesso. Però…l’abbraccio di Gesù butta per aria tutto. Interpella e inquieta. “Se non cambio vita”, pensa Zaccheo, “cosa è venuto a fare Gesù nella mia casa?”. Si butta nell’entusiasmo della conversione. Cambia vita, in quel modo esagerato che solo l’amore e il perdono sanno scatenare: “Restituisco quello che ho rubato: quattro volte tanto. I miei soldi li dono ai poveri. Divido la mia vita con loro. Da oggi, cambio…tutto”.

      Qualcuno brontola. Non capisce più. Accidenti…di questo passo, dove si fa a finire? Quel Gesù lì è proprio pericoloso. Fa diventare bene il male. La voglia di Zaccheo di vedere Gesù non era “buona”. Gesù doveva sgridarlo e basta. Questo modo di fare è troppo rassegnato. Adesso interviene Gesù. Non ne può più con questa mania di giudicare, di dividere, di valutare prima di accogliere.

      Alza la voce: “Insomma…non vi rendete conto che la salvezza di Dio è entrata oggi nella vita di Zaccheo?”. Zaccheo è un uomo nuovo: salvato dall’abbraccio accogliente di Dio, si è riconciliato finalmente con se stesso e con gli altri. La sua povera voglia di vedere Gesù gli ha trasformato la vita: il più piccolo dei semi è diventato albero grande.

(a cura di Riccardo Tonelli)

 

Si invita senza essere invitato

 

    Ed ecco un uomo di nome Zaccheo (Lc 19,2). Zaccheo è sul sicomoro, il cieco è sulla strada. Il Signore aspetta l’uno per fargli misericordia, rende onore all’altro con la sua visita. Interroga il cieco per guarirlo, si invita a casa di Zaccheo senza essere invitato. Sapeva infatti che grande sarebbe stata la ricompensa del suo ospite e che se questi non aveva ancora sentito il suo invito, ne aveva sentito il desiderio […] I ricchi imparino che la colpa non sta nelle ricchezze, ma nel non saperle usare, poiché se le ricchezze per i malvagi sono un impedimento, nei buoni sono di aiuto in vista del bene.

Sì, il ricco Zaccheo è stato scelto da Cristo, ma poiché ha distribuito la metà dei suoi beni ai poveri e ha restituito il quadruplo di quanto aveva rubato – l’una delle due cose non basta e la generosità non ha valore se permane l’ingiustizia dal momento che si chiedono dei doni e non ciò che si ha rubato – ha ricevuto una ricompensa più grande di quanto ha donato. Ed è una buona cosa annotare che costui era capo dei pubblicani. Chi, infatti, potrebbe disperare di sé dal momento che giunse alla fede anche Zaccheo che traeva il suo guadagno dalla frode? Ed era ricco, dice l’evangelo, affinché tu sappia che non tutti i ricchi sono avari. Come mai la Scrittura non precisa l’altezza di nessun altro se non la sua dicendo che era piccolo di statura (Lc 19,3)? Vedete se per caso non era piccolo a motivo della sua malvagità o piccolo nella fede. Non aveva ancora promesso niente quando era salito sul sicomoro, non aveva ancora visto Cristo e per questo era ancora piccolo […] Zaccheo sul sicomoro è il frutto nuovo del tempo nuovo.

(AMBROGIO, Sul vangelo di Luca, 8,82. 85-87.90,SC 52, pp. 136-138).

 

Cambio io

 

    C’è stato un momento della mia vita in cui volevo cambiare le cose e gli altri. Ora desidero solo cambiare me stesso e meritarmi il Tuo amore.

(E. OLIVERO, L’amore ha già vinto – pensieri e letture spirituali, Cinisello Balsamo (MI), 2005, 134).

 

Strategia dell’anatra

 

    Tre giovani avevano compiuto diligentemente i loro studi alla scuola di grandi maestri. Prima di lasciarsi fecero una promessa: avrebbero percorso il mondo e si sarebbero ritrovati dopo un anno, portando la cosa più preziosa che fossero riusciti a trovare.

Il primo non ebbe dubbi: partì alla ricerca di una gemma splendida ed inestimabile. Attraversò mari e monti e deserti, salì montagne e visitò città sinché non l’ebbe trovata : era la più splendida gemma che avesse mai rifulso sotto il sole. Tornò allora in patria in attesa degli amici.

Il secondo tornò dopo poco tenendo per mano una ragazza dal volto dolce e attraente.

“Ti assicuro che non c’è nulla di più prezioso di due persone che si amano” disse.

Si misero ad aspettare il terzo amico.

Molti anni passarono prima che questi arrivasse. Era infatti partito alla ricerca di Dio. Aveva consultato i più celebrati maestri di tutte le contrade, ma non aveva trovato Dio: Aveva studiato e letto, ma senza trovare Dio. Aveva rinunciato a tutto, ma Dio non lo aveva trovato.

Un giorno, spossato per tanto girovagare, si abbandonò nell’erba sulla riva di un lago. Incuriosito seguì le affannate manovre di un’anatra che in mezzo ai canneti cercava i piccoli che si erano allontanati da lei. I piccoli erano numerosi e vivaci, e sino al calar del sole l’anatra cercò, nuotando senza posa tra i canneti, finché non ebbe ricondotto sotto la sua ala l’ultimo dei suoi nati.

Allora l’uomo sorrise e fece ritorno al paese.

Quando gli amici lo videro, uno gli mostrò la gemma e l’altro la ragazza che era diventata sua moglie, poi pieni di attesa gli chiesero: “ E tu, cos’hai trovato di prezioso? Qualcosa di magnifico, se hai impiegato tanti anni: Lo vediamo dal tuo sorriso…”.

“Ho cercato Dio”- rispose il terzo giovane.

“E lo hai trovato?” chiesero i due, sbalorditi.

“Ho scoperto che era Lui che cercava me…”

(B. Ferrero, La vita è tutto quello che abbiamo, Leumann, Elle Di Ci, 2004).

 

Ho cercato Dio

 

Ho cercato Dio

con la mia lampada così brillante

che tutti me la invidiavano.

Ho cercato Dio negli altri.

Ho cercato Dio nelle piccolissime tane dei topi.

Ho cercato Dio nelle biblioteche.

Ho cercato Dio nelle università.

Ho cercato Dio col telescopio e con microscopio.

Finché mi accorsi che avevo dimenticato quello che cercavo.

Allora, spegnendo la mia lampada,

gettai le chiavi, e mi misi a piangere…

e subito, la Sua Luce fu in me…

(Angelus Silesius).

 

La sete di Dio

 

Un discepolo andò dal suo maestro e gli disse: «Maestro, voglio trovare Dio». E il maestro sorrise. E siccome faceva molto caldo, invitò il giovane ad accompagnarlo a fare un bagno nel fiume. Il giovane si tuffò e il maestro fece altrettanto. Poi lo raggiunse e lo agguantò, tenendolo a viva forza sottacqua. Il giovane si dibattè alcuni istanti, finché il maestro lo lasciò tornare a galla. Quindi gli chiese che cosa avesse desiderato di più mentre si trovava sott’acqua. Il discepolo rispose: «L’aria, evidentemente». «Desideri Dio allo stesso modo e la sua parola allo stesso modo?» gli chiese il maestro. «Se lo desideri così, non mancherai di trovare lui e la sua parola. Ma se non hai in te questa sete ardentissima, a nulla ti gioveranno i tuoi sforzi e i tuoi libri. Non potrai trovare la fede se tu non la desideri come l’aria per respirare».

(Racconto dei Padri del Deserto).

 

Tardi ti ho amato

 

Tardi ti ho amato,

Bellezza tanto antica e tanto nuova;

tardi ti ho amato!

Tu eri dentro di me, e io stavo fuori,

ti cercavo qui, gettandomi, deforme,

sulle belle forme delle tue creature.

Tu eri con me, ma io non ero con te.

Mi tenevano lontano da te le creature

che, pure, se non esistessero in te,

non esisterebbero per niente.

Tu mi hai chiamato

e il tuo grido ha vinto la mia sordità;

hai brillato,

e la tua luce ha vinto la mia cecità;

hai diffuso il tuo profumo,

e io l’ho respirato, e ora anelo a te;

ti ho gustato,

e ora ho fame e sete di te;

mi hai toccato,

e ora ardo dal desiderio della tua pace.

(Agostino d’Ippona, Le Confessioni, 10,27). 

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

COMUNITÀ DI S. EGIDIO, La Parola e la storia, Milano, Vita e Pensiero, 2012.

COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, Milano, Vita e Pensiero, 2008-2009.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

Immagine della domenica, a cura di García-Orsini-Pennesi.

 

PER L’APPROFONDIMENTO:

XXXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO (C)