La mafia uccide solo d’estate

Le stragi di mafia? Ve le racconto io!

di Ermanno Giuca

Pif, conduttore di Mtv, approda al cinema con “La mafia uccide solo d’estate”. Gli anni dello stragismo raccontati attraverso gli occhi di un bambino palermitano, che da grande vuole fare il giornalista.

Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, è noto al pubblico televisivo (in particolare quello giovanile) per il Testimone, programma televisivo in onda su Mtv, che lui stesso conduce. Con una semplice telecamera ed una massiccia dose di irriverenza, Pif realizza inchieste giornalistiche, intervistando personaggi celebri, intrufolandosi in eventi ufficiali o raccontando semplicemente storie che non sempre trovano spazio nelle prime pagine dei quotidiani.

Stavolta, però, il salto è stato decisamente ambizioso. Il conduttore siciliano decide di scrivere, dirigere e interpretare un film tutto suo perché, come racconta lui, «era necessario raccontare una mafia che non si identificasse solo nella figura tarchiata di Totò Riina, ma una mafia che abita nel nostro stesso condominio! Una mafia che frequentava anche la Palermo per bene».

“La mafia uccide solo d’estate“, è una sorta di autobiografia, dove Pif prova a raccontarsi con gli occhi del piccolo Arturo che vive la sua giovinezza nella Palermo degli anni ottanta, la stagione delle stragi di mafia. Mentre lui cerca di farsi notare da Flora, la compagna di classe di cui è innamorato, attorno a sé saltano in aria le vite del generale Dalla Chiesa, di Boris Giuliano, di Pio La Torre fino alle bombe di Capaci e di via d’Amelio del 1992.
Dopo l’incontro con un giornalista, affittuario della casa del nonno, decide che da grande vuole fare proprio quel mestiere. Chiede, cerca, indaga, ma l’unica risposta che riceve da chi lo circonda è che quelle morti sono solo “questione di femmine”. Ben presto, però, riuscirà a conquistare Flora e a baciarla, mentre attorno a loro si celebrano i funerali di Falcone e Borsellino.

Ironizzare sui mafiosi e umanizzare i giudici è stato uno dei primi obiettivi che il regista si è posto, perché «Paolo Borsellino non era un santo ma era uno come noi». E su questa scìa, carta vincente del film sono le crude scene degli attentati corredate da una colonna sonora rilassata, divertente, quasi da commedia. Una forma di racconto che rende ancora più drammatico tutto ciò a cui lo spettatore assiste.

Riuscire a trasmettere alle nuove generazioni la tragicità di quegli anni e farlo nel modo più leggero possibile: Pif c’è riuscito raccontando agli italiani parte della sua storia di palermitano. La storia di un bambino che non fa altro che guardarsi attorno. Per fortuna, però, è ancora inverno.

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