Giovani e new media: allarme pensiero?

Giovani distratti. Giovani ve­loci, troppo, a scapito della profondità di ciò che fanno e pensano. Giovani che sanno po­co di tutto, ma nulla del tutto. Gio­vani mordi e fuggi, insomma, poco propensi a passare le ore, i giorni, gli anni su una specifica compe­tenza, abitanti del pianeta fast (e non solo per il food )…
A lamentar­sene sono genitori, docenti, capi del personale, sociologi. Mentre sull’altro versante loro – i giovani – si destreggiano con abilità di fu­namboli tra iPad, iPod, iPhone e quant’altro, suscitando ammira­zione/invidia da chi ancora va pia­no e va lontano. Due mondi a con­fronto, cui l’Università Cattolica sabato 19 gennaio dedicherà una giornata di studio dal titolo esplicito: «Allarme pensiero» (sottotitolo: «Gli studenti sanno sempre meno ragionare in modo strutturato, argomentato e critico?»).
«Dopo un passato da pubblicitario nelle multinazionali, sono approdato all’insegnamento universitario in varie facoltà di co­municazione – spiega Alberto Contri, ispiratore del convegno – e in questi anni ho visto una cre­scente presenza di ventenni che hanno difficoltà a parlare un italia­no strutturato e corretto, e ad ela­borare un pensiero critico pro­prio». Contri, oggi docente di Co­municazione Sociale allo Iulm e presidente di Pubblicità Progresso, è tutt’altro che lontano dal mondo dinamico e rapido dei media mo­derni, ma dal suo osservatorio il giudizio è netto: «Questo problema è trasversale presso i docenti di tutte le università e ovunque si ve­rifica con una evidenza statistica assoluta».
Per colpa di chi? Quale agente ‘mutante’ ha cambiato la generazione dei ventenni rispetto a quelle precedenti? Contri non ha dubbi: «Tutto questo è figlio di una opportunità che sta diventando un problema». L’opportunità è il «vul­canico irrompere di nuovi mezzi di comunicazione», il suo lato negati­vo è «quello che si chiama infor­mation overload , un sovraccarico di informazioni». A causa del quale i giovani, come centraline impazzite, diventano multi-tasking(multifunzioni), proprio come un computer può fare ma, a sentire i neurologi, non un uomo (non la sua corteccia cerebrale), pena la frammentazione del pensiero. Ben inteso, la colpa non è di Internet, ma dell’abuso che se ne fa, perché il pensiero si nutre concentrando­si, non disperdendosi, «altrimenti si diventa pancake people , come dicono gli americani, ‘uomo frit­tella’. Non a caso il Dsm, il manua­le per i disturbi mentali utilizzato dagli psichiatri di tutto il mondo, dal 2013 codificherà una sindrome da Internet-dipendenza».
Se poi anche il sistema scolastico si ade­gua alla superficialità che caratte­rizza i nostri tempi, l’«allarme pen­siero» diventa emergenza. Cinque, tira le fila Contri, gli errori educati­vi: «In prima elementare sono stati aboliti i riassunti, ovvero l’esercizio che sviluppa la memoria emotiva; poi sono stati ridotti ai minimi ter­mini il latino e il greco, che non so­no lingue morte ma ginnastica lo­gica; i bambini restano soli davanti alla tivù, non potenziando il senso critico; gli adolescenti ricevono o­verdose di videogiochi, sviluppan­do dipendenza; e nei licei le inter­rogazioni non sono più dialoghi ma test che disabituano a usare il cervello». L’allarme, a dire il vero, era già scattato vent’anni fa, quan­do le nuove tecnologie facevano capolino e uno dei più entusiasti, Marshall McLuhan, avvertiva: «Po­tenziano alcune facoltà, ne addor­mentano altre».
Come non disper­dere il patrimonio del passato sen­za rinunciare al nuovo? Con piccoli accorgimenti – propone Contri – dal ritorno al riassunto, ai video­giochi di ruolo (che stimolano il pensiero strategico) in luogo di quelli ‘sparatutto’, al divieto di u­sare il computer in classe se non per «una ricerca sorvegliata, in modo che non si possano far aiu­tare dasoftware che ormai fanno tutto al posto nostro». Ne sanno qualcosa gli studenti universitari di Contri, cui il docente chiede di spegnere cellulari e computer e fa­re a mano una divisione… «Non ne sono più capaci!». Più che di al­larme pensiero, Emanuela Con­falonieri parla dell’«allarme iden­tità» che ne consegue. «Credo che la frammentarietà del pensiero nei giovani dipenda da una ten­denza che hanno oggi a pensar­si nel presente, a sporgersi poco sul futuro», spiega la docente di Psicologia dello Sviluppo, che diri­ge anche l’Unità di ricerca in Psico­logia scolastica alla Cattolica di Mi­lano. Ragazzi abilissimi nel ‘navi­gare’, dunque, ma rallentati poi da «un interesse del qui ed ora, che non porta pensiero critico». Eppu­re la dimensione temporale tipica dell’adolescenza dovrebbe essere il futuro, ma perché ciò avvenga «oc­corre una modalità di pensiero più sviluppato, mentre spesso resta in­voluto, e questo dipende da tanti fattori, dalle nuove tecnologie a u­na cultura che non offre più chiari punti di riferimento». I valori, dice la docente, sono oggi più fluidi e indifferenziati e in questo magma i giovani si confondono, faticano a capire do­ve gettare l’ancora e lì strutturarsi.
«Tutto vero, ma non dimentichia­mo che in ogni epoca le generazio­ni più anziane si sono contrappo­ste alle nuove forme di pensiero – obietta d’altra parte Alessandro Antonietti, responsabile del servi­zio di Psicologia dell’apprendi­mento e dell’educazione alla Cat­tolica – e che le strategie conserva­trici risultano sempre perdenti, perché la storia va per cambia­menti culturali. Lo cantava Lucio Battisti: ‘Come può uno scoglio ar­ginare il mare?’. Se è vero che un approccio superficiale mette a ri­schio secoli di cultura acquisita, è giusto però anche individuare le potenzialità presenti in una nuova forma di pensiero che procede a salti e non più per passaggi logici consequenziali». È indubbio che le nuove tecnologie sono andate a modellare il pensiero dei giovani, ma «in passato è già successo pas­sando alla scrittura dall’oralità o alla televisione dalla radio».
Un pensiero meno struttura­to pare essere addirittura più adatto per le attività le­gate alla creatività, ma anche la ve­locità e la possibilità di tenere si­multaneamente presenti più ‘pez­zi di informazione’ hanno i loro ri­svolti positivi, come dimostra un recente esperimento: «Un gruppo di studenti osservava un dipinto di Antonello da Messina da una ri­produzione normale, un altro gruppo con il mouse ci girava den­tro virtualmente in versione tridi­mensionale. I primi hanno saputo riflettere sul quadro con profon­dità interpretativa e contemplati­va, i secondi con più fantasia inte­rattiva. Nessuno dei due è meglio o peggio, dipende dagli obiettivi».
Né mitizzare né demonizzare le nuove tecnologie, insomma, ma vegliare affinché da opportunità non diventino limite, e per questo occorre intelligenza anche negli e­ducatori. «Ad esempio è chiaro che oggi per fare una ricerca sul Brasile l’alunno fa ‘copia incolla’ da In­ternet e non elabora nulla – sugge­risce l’esperto –. Ma se gliela dia­mo su ‘Il Brasile visto dai brasiliani e dai turisti’ sarà costretto a fare ri­cerca e a mettere a confronto le fonti». Volente o nolente, a eserci­tare un pensiero critico. 
 
(di Lucia Bellaspiga)