Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia

 

VIII convegno nazionale delle associazioni locali Scienza&Vita

 

Pubblichiamo stralci della lectio magistralis del cardinale arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana che il 18 novembre scorso ha aperto a Roma “Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia”, VIII convegno nazionale delle associazioni locali Scienza&Vita. Alla tavola rotonda, moderata dal direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio, hanno partecipato gli onorevoli Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani, Pier Ferdinando Casini, Roberto Maroni

 

Nella gabbia invisibile del narcisismo

“Siamo tutti consapevoli della delicatezza dell’argomento in gioco, così come delle visioni diverse che spesso si confrontano, tanto da essere considerata – la vita umana – uno di quegli argomenti “divisivi” di cui è meglio non parlare, come se l’ordine sociale, basato sulla giustizia, potesse reggersi sull’ingiustizia che deriva dal non affrontare ciò che fondamentale, consapevoli che, storicamente, “se non abbiamo fatto abbastanza nel mondo, non è perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza” (Cei, La Chiesa Italiana e le prospettive del Paese, 1981, n. 13).
Tutti ci rendiamo conto che siamo dentro ad una crisi internazionale che non risparmia nessuno, e che nessuno, nel mondo, può atteggiarsi da supponente maestro degli altri. I grandi problemi dell’economia e della finanza, del lavoro e della solidarietà, della pace e dell’uso sostenibile della natura, attanagliano pesantemente persone, famiglie e collettività, specialmente i giovani. Su questi versanti, che declinano la cosiddetta “etica sociale”, la sensibilità e la presenza della Chiesa sono da sempre sotto gli occhi di tutti. Fanno parte del messaggio cristiano come inderogabile conseguenza: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Giovanni, 4, 20). ? una rete che si avvale di risorse provvidenziali e di quell’amore gratuito che nessuna legge può garantire poiché l’amore viene dal cuore e dall’Alto.
Ma oggi dobbiamo puntare la nostra attenzione sulla vita umana nella sua nudità: è evidente che gli aspetti citati fanno parte dell’esistenza concreta di ogni persona, ma essi non devono oscurare la vita nei momenti della sua maggiore fragilità e quindi di più pericolosa esposizione. Per questo credo sia inevitabile allargare, seppur brevemente, l’orizzonte per poter meglio affrontare il tema della vita umana nella sua assoluta indisponibilità o, se si vuole, sacralità. Per poter parlare di qualcosa, infatti, bisogna innanzitutto chiederci se esiste qualcosa fuori di noi. E, se esiste, possiamo conoscerla? Oppure siamo dentro ad una realtà unicamente costruita dal soggetto pensante, siamo alle prese solo con le nostre opinioni individuali, senza una presa diretta sulla realtà oggettiva? È il problema antico ma non scontato della conoscenza. Come rispondere? Dando fiducia al mondo e all’uomo! La conoscenza, infatti, parte da un atto positivo, di fiducia: fa appello al senso comune, all’esperienza universale. È più naturale, logico, istintivo, porre questo atto di fiducia oppure sfiduciare l’universo? È dunque un atto di sintonia, di comunione preriflessa con il mondo il punto di partenza del nostro rapportarci con il mondo, non il rinchiuderci nel sospetto e nel dubbio metodico e universale che – forse con aria di profonda intelligenza – accusa di fanatismo chi affermi che la verità esiste ed è conoscibile. La storia umana della conoscenza – nonostante grovigli a volte sofferti – corre sostanzialmente su questo filo e testimonia che, ogni qualvolta lo scetticismo si è imposto, gli esiti personali e sociali non sono stati più felici.
Il figlio di questo atteggiamento è lo scetticismo che genera inevitabilmente quel nulla di significato e di valore, quello svuotamento della vita e del mondo che già Nietzsche aveva annunciato. In realtà egli lo fa derivare dalla dichiarata “morte di Dio”, ma quando la ragione viene cancellata dall’orizzonte, anche la fede si indebolisce: “Cerco Dio! cerco Dio! Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Che mai facemmo a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?” (Nietzsche, La gaia scienza, Mondadori 1971, pagg. 125-126). Il nichilismo di senso e di valori nasce da una visione materialista dell’uomo e del mondo, e si alimenta allo spettro ridente del consumismo che porta a concepire l’esistenza come una spasmodica spremitura di soddisfazioni e godimenti fino all’estremo. Ma ben presto – lo vediamo nella cronaca – ne deriva una immane svalutazione della vita. Essa non è più custodita dal sigillo della sacralità e così quando non è più gradita o risulta faticosa la si vorrebbe eliminare.
Oggi si tende a pensare che, sul piano dell’etica, ognuno è costruttore di ciò che per lui, soggettivamente, ha importanza e significato; che il nostro compito è quello di comporre i diversi, a volte opposti, valori; che l’importante – quando va bene – è disturbare gli altri il meno possibile. Ma non esiste qualcosa a cui l’uomo possa rifarsi nella sua conoscenza e quindi adeguarsi raggiungendo così la verità? È fuori dubbio che non pochi di quelli che chiamiamo valori appartengono alla sfera della soggettività individuale e sociale. Ma è tutto solo così? Non esiste nulla di oggettivo in grado di essere metro della verità morale, che possa regolare, normare i miei comportamenti? Di solito, fino ad un certo punto di questo ragionare tutti si è concordi, ma quando entra in gioco la questione del “valido per tutti”, allora si accende una spia e sorge in noi una trincea difensiva quasi si sentisse in pericolo la propria libertà individuale, nervo sensibile dell’anima moderna.
Se l’uomo si realizza attraverso l’esercizio della propria libertà (in actu exercito), bisogna chiederci se qualunque forma di esercizio realizza la persona oppure no. A ben vedere, come qualunque agire non si qualifica da sé ma è qualificato da ciò verso cui tende – camminare per fare una passeggiata non è lo stesso che camminare per andare a fare una rapina – così la libertà, se per un verso è valore in se stesso in quanto è condizione di responsabilità, per altro verso non è la sorgente della bontà morale. Il fatto che un atto sia una mia scelta non qualifica l’agire come buono, vero, giusto.
Inoltre, non bisogna dimenticare che la bontà e il male morale non sono astrazioni lontane alle quali sacrificare gli uomini nei loro desideri individuali; il bene è tale perché mi fa crescere come persona mentre il male mi diminuisce nella mia umanità. Oggi la tendenza diffusa è rendere la libertà individuale un valore assoluto, sciolto non solo da vincoli e norme ma anche indipendente dalla verità di ciò che sceglie; in tale modo però essa si rivolta contro l’uomo e perde se stessa, diventa prigioniera di se stessa come ogni personalità narcisista. Ecco perché il Signore Gesù ricorda che la verità libera la libertà e rende libero l’uomo. Oggi vi è una certa allergia per ciò che si presenta come assoluto, cioè oggettivo, universale e definitivo: sembra di sentirsi come in una gabbia insopportabile. Ma, dobbiamo chiederci, qual è la vera prigione: l’assolutismo di una libertà individualista o l’assolutezza della verità?”.

(©L’Osservatore Romano 20 novembre 2011)

 

 

Il Card. Bagnasco a “Scienza & Vita”
Se la vita rimane miracolo indisponibile

“Dalla responsabilità e dai modi di affronto della vita nei suoi vari momenti si ha una prima e decisiva misura del livello umano della convivenza”. La Lectio Magistralis del Card. Angelo Bagnasco ha aperto venerdì 18 novembre a Roma l’ottavo Convegno nazionale dell’Associazione Scienza & Vita.
Punto cruciale, ha ricordato il Presidente della CEI, è “se la libertà individuale abbia o non abbia qualcosa di più alto a cui riferirsi e a cui obbedire” e che ne fonda l’assoluta indisponibilità.

file attached 2011.11.18 Relazione Scienza e Vita.doc

 


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